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Il Tribunale collegiale di Vibo Valentia ha depositato le motivazioni della sentenza emessa il 20 novembre 2023 (presidente Brigida Cavasino, giudici a latere Germana Radice e Claudia Caputo) al termine del maxiprocesso Rinascita Scott contro i clan del Vibonese, con cui sono state condannate 200 persone sulle 338 che erano imputate nello storico procedimento istruito contro i clan vibonesi.
Per arrivare al deposito delle motivazioni, contenute in 3300 pagine, ci sono voluti ulteriori 90 giorni di proroga rispetto ai primi tre mesi.
Tra le condanne c'è anche quella a 11 anni nei confronti dell'avvocato ed ex parlamentare di Forza Italia Giancarlo Pittelli.
La sua condotta viene definita “tutt’altro che occasionale” dai giudici, secondo i quali emerge “con chiarezza” dall’esame organico di tutti gli elementi probatori come il penalista "costituisca un punto di riferimento stabile sul quale la consorteria fa affidamento per la risoluzione delle più svariate problematiche e per il soddisfacimento delle diverse esigenze che via via sorgono nella vita del sodalizio".
Dalla maxinchiesta i giudici mettono in evidenza la "assoluta e sistematica messa a disposizione di Giancarlo Pittelli in favore" del clan predominante nel Vibonese, i Mancuso. E rilevante è per i giudici anche la circostanza che Pittelli riceva l’incarico di curare le questioni di interesse del clan "direttamente" dal suo più “autorevole” rappresentante, cioè il superboss Luigi Mancuso, offrendo così "un contributo causale determinante all’associazione nel suo complesso" anche in un momento di particolare "fibrillazione" come quello in cui “si diffonde la inaspettata notizia della collaborazione con la giustizia di Andrea Mantella".

I rapporti con Mancuso

Per il Tribunale sono "numerose le vicende che dimostrano la stabile ed effettiva messa a disposizione dell'imputato nei confronti dell'associazione. Il rapporto tra Pittelli e Luigi Mancuso non si riduce ad una confidenzialità inusuale tra avvocato e capo-mafia, superando i limiti della mera contiguità compiacente, per risolversi nella ripetuta e concreta attivazione dell'imputato a beneficio della consorteria alla quale fornisce uno specifico e consapevole contributo. Non sarà solo Pittelli a strumentalizzare la fama criminale di Luigi Mancuso per incrementare il suo prestigio professionale e per facilitare alcune speculazioni edilizie, quanto anche Luigi Mancuso, soprattutto nella fase ascendente della sua parabola, ad avvalersi della rete di relazioni messagli a disposizione di Pittelli - ora nelle vesti di legale, ora in quelle di politico, ora di vero e proprio faccendiere - per scalare le vette del potere economico-malavitoso, calabrese e non solo". "Sono numerose e rilevanti - scrivono i giudici - le occasioni in cui il rapporto biunivoco tra Giancarlo Pittelli e Luigi Mancuso si è palesato all'esterno traducendosi ora in concreti contributi al boss e all'operatività della sua compagine, ora in obiettive agevolazioni di cui Pittelli ha goduto nel corso delle trattative relative ai suoi investimenti nel settore immobiliare". "I dialoghi intercettati non erano frutto di esagerazioni proferite da comprimari tanto adoranti, quanto male informati né di millanterie, bensì - sottolineano i giudici in sentenza - espressione di una reale collusione tra i due personaggi, ciascuno nel suo ambito, potente e influente". Emblematica per il Tribunale un'intercettazione in cui l'imputato Giovanni Giamborino spiegava che "molti dei contatti rilevanti che Luigi Mancuso aveva, e sui quali poteva contare, erano stati creati nel tempo grazie all'aiuto di Giancarlo Pittelli". Giamborino avrebbe anche messo in guardia il suo interlocutore "sul rischio di chiedere voti alla mafia in caso di competizioni elettorali poiché poi si rimane schiavi di certe dinamiche". Sarebbero anche provati, per i giudici, diversi incontri "riservati" tra Pittelli e Mancuso tra il 2014 e il 2017 "anche nel periodo in cui il boss si era reso irreperibile per sottrarsi agli obblighi della sorveglianza speciale".

Foto © Imagoeconomica

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