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La vita di Luigi Ilardo è un racconto sconvolgente: da mafioso a collaboratore dello Stato. Dopo un decennio di detenzione, ha deciso di abbandonare Cosa Nostra per diventare un infiltrato al servizio delle forze dell'ordine. La storia della sua infiltrazione è una storia molto delicata, piena di tensioni, paure, confidenze. Ma c'è molto altro: ha anticipato rivelazioni scioccanti sui legami tra mafia, politica e servizi segreti.  Il suo coraggio ha portato all'arresto di numerosi latitanti; come ricompensa, però, trovò il tradimento.
Il 31 ottobre del 1995, in un casolare di campagna, vi erano Provenzano, Salvatore Ferro, Lorenzo Vaccaro, Giovanni Napoli e Nicola La Barbera. L'infiltrato, dopo il summit si trova faccia a faccia con Don Binu, si aspettò un blitz, ma non accadde nulla. Quel giorno erano solo in quattro a sapere cosa stava accadendo: il tenente colonnello Michele Riccio (che ha gestito l'infiltrazione di Luigi Ilardo), l'allora colonnello Mario Mori, l'allora maggiore Mauro Obinu e Sergio De Caprio, alias 'Ultimo'.
La sua morte, avvenuta il 10 maggio 1996, pochi giorni prima di entrare nel programma di protezione, è ancora orfana della verità. La figlia Luana Ilardo lotta per far luce su questo oscuro capitolo della storia italiana, mentre gli inquirenti indagano segretamente sui possibili mandanti esterni dell'omicidio. Finora, solo i membri della mafia sono stati puniti per questo crimine.
Tutto questo è stato riportato nel libro del giornalista Stefano Baudino "Luigi Ilardo: morte di un infiltrato", facente parte di una collana edita da 'La Gazzetta dello Sport'.
“Ciò che è certo - viene evidenziato da Baudino - è che la mafia apprese giusto in tempo che il confidente stava per diventare collaboratore di giustizia, provvedendo immediatamente a punirlo con la morte".
Un nome, “Oriente”, che solo alcuni degli addetti ai lavori sapevano. Gli stessi che seguivano il percorso di Ilardo di collaborazione con la giustizia che avrebbe dovuto ufficializzare a Roma tre giorni dopo la sua morte. Eppure Dia e Carabinieri non erano gli unici a sapere di questa seconda identità del capo mafia. Anche Cosa nostra, in qualche modo, ne era al corrente. Ma come avrebbe mai potuto saperlo?
I giudici della Prima sezione penale della Cassazione (presidente Monica Boni e relatore Magi) rigettando i ricorsi presentati dalle difese aveva confermato le condanne all'ergastolo per Giuseppe Madonia, Vincenzo Santapaola, in qualità di mandanti, Maurizio Zuccaro come organizzatore, ed a Orazio Benedetto Cocimano, come esecutore materiale. L'accusa al centro del processo era quella di concorso in omicidio pluriaggravato dalla premeditazione, dai motivi abietti e dalla finalità di agevolare Cosa Nostra.


ilardo luigi

Luigi Ilardo


"La collaborazione di Luigi Ilardo sarebbe stata non solo devastante per Cosa Nostra, non solo per quei politici che in quel periodo avevano probabilmente concluso degli accordi con la fazione provenzaniana, ma devastanti anche per parti deviate delle istituzioni", aveva detto, all'interno della trasmissione "Atlantide" del 18 novembre 2020, intervistato dal grande giornalista Andrea Purgatori, il magistrato Nino Di Matteo, che aveva poi aggiunto: "Sono tuttora convinto che sarebbe stata la collaborazione più importante dopo quella di Buscetta, perché Ilardo, anche per una sua storia personale e familiare, era un personaggio che sarebbe stato in grado di riferire non solo su aspetti di mafia ordinaria, ma sui rapporti tra la mafia e la 'Ndrangheta da una parte ed esponenti della massoneria e dell'eversione di destra dall'altra." Sarebbe dunque stata una "bomba a orologeria" che è stata "disinnescata dall'omicidio", motivo per cui questa vicenda va "collegata ad un quadro più generale che si ricollega a quello che è emerso sulle stragi."
Come riportato da Baudino, per Di Matteo il caso Ilardo ha 'sempre rappresentato un tassello fondamentale'. Prova ne sono alcuni 'stralci della sua requisitoria al processo Trattativa Stato-mafia, in cui largo spazio è stato dato alla vicenda'.
"Gino Ilardo - aveva continuato Di Matteo - nello stesso momento in cui ricopriva all'interno di Cosa nostra cariche apicali - la reggenza delle Province mafiose di Caltanissetta ed Enna - svelava in diretta, al colonnello Riccio, gli assetti, i segreti antichi, le dinamiche in divenire di Cosa Nostra e - per favore non dimenticatelo mai - non soltanto con riferimento alle vicende di ordinaria criminalità mafiosa, ma anche in riferimento a rapporti più alti e più inconfessabili di Cosa nostra con la politica, con la massoneria, con soggetti deviati e devianti dei servizi di sicurezza".
"Dopo tanti anni in cui ho seguito fin dalla fase dell'indagine anche questa vicenda, non esito a definire, perché ne sono convinto, quella di Ilardo come una storia unica, più unica che rara certamente, nel panorama delle vicende di mafia e antimafia nel nostro Paese. Una vicenda incredibile, una vicenda eccezionale, una vicenda vergognosa, una vicenda tragica nell'epilogo che ha avuto, intanto nei confronti - non dimentichiamolo mai - del suo protagonista principale, Gino Ilardo, ucciso a Catania il 10 maggio 1996, otto giorni dopo avere incontrato tre magistrati delle Procure distrettuali di Palermo e Caltanissetta, il colonnello Mori e altri ufficiali del Ros presso la sede centrale del Ros a Roma, e cinque giorni prima rispetto al momento in cui - la data era già stata fissata - Ilardo con il suo primo interrogatorio formale innanzi all'autorità giudiziaria, fissato per il 15 maggio, avrebbe assunto formalmente la veste di collaboratore di giustizia e sarebbe stato sottoposto al programma di protezione riservato ai collaboratori di giustizia. Cosa Nostra sostanzialmente, uccidendo Ilardo, ha dimostrato di potere stoppare sul nascere una collaborazione di altissimo livello che sarebbe stata devastante per l'organizzazione e per tutti coloro i quali colludevano con l'organizzazione mafiosa”.

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