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I carabinieri del comando provinciale di Palermo hanno eseguito un'ordinanza di custodia cautelare, emessa dal gip su richiesta della Dda, nei confronti di 3 persone (2 delle quali in carcere e una sottoposta agli arresti domiciliari), accusate, a vario titolo, di associazione mafiosa ed estorsioni aggravate dal metodo mafioso. Il provvedimento nasce da indagini condotte, dal 2021 al 2023 su delega della Dda guidata dal procuratore Maurizio de Lucia, sulla famiglia mafiosa di Corso Calatafimi. Il clan, che fa parte del mandamento di "Pagliarelli", controllava a tappeto le estorsioni nei confronti dei commercianti della zona.
Le indagini, che nel gennaio 2023 hanno già portato all'arresto di 7 persone nel corso dell'operazione antimafia "Roccaforte", condotta dal nucleo investigativo del comando provinciale di Palermo, avrebbero inoltre individuato il nuovo reggente, asceso al potere dopo l'arresto, nel 2020, del suo predecessore. Si tratta di Paolo Suleman, 47 anni, ritenuto molto vicino a Gianni Nicchi, considerato il delfino del padrino di Pagliarelli, Nino Rotolo. Suleman era già stato arrestato nel 2011 nel blitz "Hybris", con il quale si colpì il mandamento mafioso palermitano di Pagliarelli. Secondo gli investigatori del Nucleo investigativo del comando provinciale dei carabinieri, Suleman, finito di scontare la condanna a 8 anni, sarebbe tornato ad occuparsi soprattutto di estorsioni divenendo il reggente della famiglia mafiosa di Corso Calatafimi. Il gip di Palermo, accogliendo le richieste della Dda, ha inoltre disposto la custodia in carcere per Rosario Lo Nardo, 41 anni, e gli arresti domiciliari per Giuseppe Marano, di 71 anni. Dalle investigazioni è emerso che la "famiglia" gestiva sistematicamente il racket del pizzo. Le richieste di denaro alle vittime si intensificavano con l'approssimarsi delle festività natalizie e pasquali. Il denaro estorto ai commercianti della zona di Corso Calatafimi andava ad alimentare le casse dell'associazione e in parte veniva destinato al mantenimento degli uomini d'onore detenuti e delle loro famiglie. Il controllo del territorio era capillare. I boss del clan monitoravano gli esercizi commerciali, individuavano per tempo quelli di nuova apertura, avvicinavano i proprietari ancor prima dell'avvio dell'attività e chiedevano la cosiddetta "messa a posto". Spesso ricorrendo a minacce esplicite quando la vittima mostrava di resistere alle pretese. Emerge dall'inchiesta dei carabinieri che oggi ha portato a tre arresti. L'operazione, coordinata dalla Dda di Palermo, dimostra, inoltre, che la mafia conserva capacità intimidatoria. L'inchiesta ha svelato che un giovane è stato picchiato selvaggiamente in pieno giorno con una mazza di legno come punizione perché era stato infedele alla moglie. "L'operazione di oggi restituisce un quadro in linea con le più recenti acquisizioni investigative, ovvero quello di una cosa nostra affatto rassegnata a soccombere, che mantiene invece una piena operatività e che, anzi, è capace non solo di incutere generico timore nelle vittime ma anche di avvalersi della forza fisica quale forma estrema di controllo del territorio", hanno affermato gli investigatori dopo l'operazione. 

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