Le dichiarazioni del boss di Castelvetrano nell'interrogatorio del 7 luglio scorso
Latitante senza limiti, con tanti amici e frequentazioni non solo nell'ambiente di mafia.
Rispondendo ai pm di Palermo Paolo Guido, Gianluca De Leo e Pierangelo Padova, che lo hanno interrogato il 7 luglio scorso nel supercarcere dell'Aquila, Matteo Messina Denaro mostrava spavalderia, nell'ammettere di non aver trascorso la latitanza solo a Campobello di Mazara (Trapani) ma anche nel capoluogo siciliano: "A Palermo facevo una vita libera come quella di Campobello. Bene o male voi avete scandagliato quella di Campobello, ma in genere sempre quella vita faccio, lo stesso 'fac-simile'. Le mie amicizie non e' che iniziano e finiscono solo nel mondo che voi considerate mafioso, erano dovunque". Il verbale è stato depositato all'udienza preliminare contro la maestra Laura Bonafede, amante del capomafia, catturato il 16 gennaio 2023 e morto il 25 settembre scorso: anche Bonafede, che è in carcere, risponde - come la figlia Martina Gentile, pure lei arrestata - di aver fatto parte del "cerchio magico" che proteggeva la latitanza di Messina Denaro.
La sua vita era, in soldoni, come quella di ogni altro cittadino. In base al suo racconto si era fatto fare anche dei tatuaggi nel centro del capoluogo tra il 2006 e il 2009 e di essersi fatto curare periodicamente da un dentista. “Non ho mai distinto tra ricchi e poveri, – ha proseguito – ovviamente se dovevo frequentare una persona povera non ci andavo col Rolex per una forma di educazione, se invece ero per i fatti miei con persone come me non avevo problemi, cioè non avevo quella forma di annacamento (vanto ndr), non volevo dimostrare niente”.
Descrivendo sé stesso Matteo Messina Denaro era arrivato a definirsi un “mafioso anomalo” senza nemici e “una garanzia per tutti”. “Sono, diciamo tra virgolette, un mafioso per come mi considerate voi, un poco anomalo, non mi sono inimicato nessuno nel territorio, intendo il mio paese. Chiunque mi vuole bene", o quasi.
Non tutti lo stimavano, anzi: "Giovanni Brusca stesso dice che mi voleva ammazzare, Raffaele Ganci mi voleva ammazzare, tutti abbiamo nemici, mi sono schifato perché avete portato voi a schifarmi, non potete arrestare dei menomati che passano per mafiosi, senza offendere i menomati”. Il riferimento è ai recenti arresti: “Cioè quando cominciate a prendere basse canaglie, gente a cui non rivolgevo nemmeno il saluto e li arrestate per mafiosità allora in quel momento il mio mondo è finito, proprio finito raso al suolo totale. Non ce n’è più”.
In particolare l'ex padrino ha fatto un nome: “Uno si chiama Pietro Stallone soprannome micarìa, un altro lavorava in una pizzeria, non lo salutava nessuno in paese, queste persone vengono arrestate per mafiosità, il mio mondo viene trasfigurato cioè non una metamorfosi normale è proprio una cosa indecente” aveva detto il boss insultando Luigi Abbate ‘u mitra, boss del rione Kalsa: "Fa più schifo di qualcuno che lo ha generato e lo fate passare per mafioso”. Il metro di misura è lui stesso: "Io sono sempre stato in quello che voi ritenete mafiosità una garanzia per tutti. Non ho mai rubato niente a nessuno. Parlo del mio ambiente, non ho mai cercato di prevaricare, né in ascese di potere, né per soldi”, ha spiegato.
"Non mi pento. Ma mai dire mai"
L'ex primula rossa di Castelvetrano ha detto sin da subito di non essere "il tipo di persona” interessata a collaboratore ma aveva fatto intendere di poter fare anche il contrario: "Poi nella vita mai dire mai intendiamoci”.
D'altronde aveva ribadito di non essere "stato mai un assolutista nel senso che non è che perché dico una cosa sarà sempre quella, io nella mia vita ho cambiato tante volte idea, però con delle basi solide” aveva detto Messina Denaro. La cosa importante è non passare per infame: "Il punto è io non sono il tipo di persona – e mi creda che è la verità, non me ne può fottere più niente – non sono il tipo di persona che vengo da lei e mi metto a parlare dell’omicidio, per rovinare a X, Y, non ha senso nel mio modo, mi spiego??”, aveva detto in un altro passaggio dell’interrogatorio, confermando di conoscere il gruppo di Totò Riina: "È una stupidità a dire non siamo amici o non ci conosciamo, è una grande stupidata perché l’ho detto (in un precedente interrogatorio ndr) lo so che il dottore Guido non ci ha creduto nemmeno per un nanosecondo però non è scritto da nessuna parte che debbo dire le mie cose giusto'”.
Giovanni Falcone © Archivio Letizia Battaglia
"Riduttivo dire che Falcone è morto per il maxi processo"
“Voi magistrati vi siete accontentati che il giudice Falcone sia stato ucciso perché ha fatto dare 15 ergastoli al maxiprocesso? […] Penso sia la cosa più importante, da dove nasce… quantomeno da dove nasce tutto […] Le stragi, l’input […] i grandi cambiamenti” ha detto il padrino nell'ultimo interrogatorio di cui avevamo già scritto lo scorso primo ottobre.
Il 7 luglio “u Siccu” ha messo a verbale che, a parer suo, gli inquirenti non avrebbero capito la vera origine della strage di Capaci, da cui, secondo il boss, parte la strategia terroristica mafiosa. E che si sarebbero accontentati di quello che avevano. Verità processuali, oltre che storiche, che per l’ex superlatitante non corrispondevano alla realtà. È doveroso sottolineare che il pericolo che si tratti dell’ennesimo depistaggio è dietro l’angolo, ma di certo Messina Denaro non era uno sprovveduto.
“Sì, sì, questa strage (Capaci, ndr)…, tutto da là parte”, rispose ai pm Messina Denaro. “Faccio un altro esempio: dopo non so quanti anni, avete scoperto che non c’entrava niente Scarantino (il falso pentito della strage di via d’Amelio, ndr) e non mi riferisco a voi, è un plurale maiestatis… Ora la mia domanda è, me la pongo, diciamo, da scemo: perché vi siete fermati a La Barbera? (Arnaldo La Barbera, l’ex capo della squadra mobile di Palermo che ha indagato sulle stragi sospettato di aver contribuito al depistaggio e accusato da alcuni collaboratori di giustizia di essere a libro paga dei Madonia, ndr) Perché La Barbera era all’apice di qualcosa... ha capito cosa… il contesto?”.
"Ho la famiglia rovinata"
"Io ho una famiglia rovinata... ma alla fin fine quale colpa ho avuto io? Posso avere colpe personali: impiccatemi, datemi tutti gli ergastoli che volete; ma che la mia famiglia sta pagando da una vita questo tipo di rapporto con me, perché mi viene sorella o mi viene fratello...". L'ex boss di Castelvetrano si lamentava delle indagini a carico dei suoi familiari con i pm di Palermo. "Io so soltanto una cosa - ha aggiunto - che, però non sto facendo nessun atto di accusa, quello che... che mi avete distrutto una famiglia, rasa al suolo, ci sono dei sistemi che non vanno, lasciamo stare le condanne, ci sono dei sistemi che non vanno; ora sento dire: case distrutte... perché mia mamma che è: latitante o mafiosa? Lei...la legge, lo Stato gli ha distrutto la casa, i mobili fatti a pezzettini. Cioè dove lo volete trovare un dialogo, quando ci sono questi comportamenti?", aveva detto ai magistrati mostrando un evidente risentimento.
Rosalia Messina Denaro
Soldi a casa della sorella
I magistrati gli avevano anche chiesto da dove venivano i soldi trovati a casa della sorella Rosalia, poi arrestata: “Mi servivano per mantenermi. Il denaro trovato a mia sorella è sicuramente origine di mia madre perché erano soldi di famiglia, ovviamente se mia madre mi poteva aiutare mi aiutava”. “Lei pensa che io uscivo a fare rapine o chiedere estorsioni? – aveva chiesto ai magistrati – Non ho mai chiesto estorsioni a nessuno, non ho mai fatto traffici di droga, non ho mai fatto rapine. I soldi erano nella disponibilità della mia famiglia, mia madre ha sempre cercato di conservare e dare a tutti, specialmente a me”.
"Mi avete preso per il male che avevo"
Matteo Messina Denaro aveva tenuto a ribadire che l'arresto del 16 gennaio del 2023 era stato possibile "per il male sennò non mi prendevate. Con la mente ho ricostruito tutto come è stato il discorso, so che non c’è stato nessun traditore”, aveva commentato. “La mattina che mi hanno arrestato la prima cosa che uno pensa è che qualcuno ha tradito. È stato tradito Gesù Cristo". Aveva anche raccontato di non essersi fidato del colonnello che gli assicurava che nessuno lo aveva tradito: “Poi ragionando ho detto: vero è. Ho letto le carte e mi sono fatto pure una logica“, aveva aggiunto. Il boss aveva anche precisato: “Mi avete preso per la malattia o per un errore mio, dirlo a mia sorella. Perché gliel’ho detto? Non volevo farmi trovare morto e nessuno in famiglia sapeva niente”.
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