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La storia di Mario Francese, il coraggioso cronista giudiziario del ‘Giornale di Sicilia’ ucciso il 26 gennaio 1979 da Leoluca Bagarella, cognato di Salvatore ‘Totò’ Riina, “è una storia di grandi colpevoli ritardi. Non solo della giustizia. Palermo ha dimenticato per troppo tempo Mario Francese, trattato come un giornalista di serie B. Anche la lapide che lo ricorda è stata sistemata in viale Campania solo 27 anni dopo. La prima edizione del premio a lui intitolato è del 1993”. Sono parole amare quelle rilasciate in un’intervista a 'Repubblica' da Giulio Francese, figlio di Mario, già inviato del settimanale Il Diario. Fu così “che mi ritrovai a camminare al palazzo di giustizia accanto a mio padre. Si comportava come se avesse fretta di passarmi il testimone, ma era sempre rigoroso con me. E in quel momento non era solo un padre, era diventato un amico, un collega con cui confrontarsi”. I ricordi poi ritornano a quel 26 gennaio: “Arrivai quando già c’era parecchia gente in viale Campania. Vedendo quel cadavere per terra, coperto da un lenzuolo, pensai con cinismo che avrei fatto uno scoop. Poco dopo, Boris Giuliano mi disse che quell’uomo era mio padre. Rimasi impietrito. Oggi, mi rimprovero di non avere avuto coraggio” di “alzare il lenzuolo bianco per vedere il volto di mio padre. Ho fatto pace con me stesso solo tanti anni dopo, quando abbiamo organizzato una mostra fotografica: in uno degli scatti, si vede papà che alza il lenzuolo bianco dell’ennesimo morto di mafia, mentre gli altri colleghi stanno indietro. Stava sempre avanti lui, con umanità e tanta curiosità”. Con il suo lavoro, ricordiamo, Mario Francese documentò il sacco edilizio di Palermo e osservò da vicino il sistema degli appalti pubblici. Quando Cosa nostra, dopo il terremoto del Belice, approfittò della ricostruzione per fare grandi affari, Francese fece una inchiesta dalla quale emersero gli intrighi che si nascondevano dietro l'espropriazione dei terreni per la costruzione della diga Garcia. Basta leggere le motivazioni della sentenza della Cassazione che condannò esecutori e mandanti della sua uccisione, per capire il motivo per cui era ritenuto scomodo dai boss. Grazie alla sua "straordinaria capacità di fare collegamenti", come si legge, intuì l'evoluzione egemonica della mafia corleonese. Fu il primo cronista a fare il nome di Totò Riina, a intervistare sua moglie Antonietta Bagarella e a fare i nomi delle imprese collegate al boss, a parlare della frattura che c'era stata all'interno della "commissione mafiosa". La verità sull'uccisione di Francese è emersa grazie alla determinazione dei familiari e al loro impegno a chiedere giustizia, soprattutto quella del figlio Giuseppe che con un'inchiesta giornalistica aveva illuminato i retroscena dell'uccisione del padre fornendo agli inquirenti gli elementi per riaprire l'inchiesta, archiviata subito dopo l'omicidio. Il processo si svolse nel 2001 e si concluse con la condanna a trent'anni di reclusione del capomafia Totò Riina e degli altri componenti della "cupola" mafiosa: Francesco Madonia, Antonino Geraci, Giuseppe Farinella, Michele Greco, Leoluca Bagarella (esecutore materiale) e Giuseppe Calò. Fu assolto, invece, Giuseppe Madonia, accusato di essere stato il killer insieme a Bagarella. Nel processo bis, con rito ordinario, l'altro imputato, Bernardo Provenzano, fu condannato all'ergastolo. La Cassazione, nel 2003, confermò le condanne, anche se furono assolti i boss Pippo Calò, Antonino Geraci e Giuseppe Farinella.


francese giuseppe

Giuseppe Francese


Nell’intervista a 'Repubblica' Giulio Francese ha ricordato anche i momenti del processo: “Alcuni colleghi dichiararono: ‘Non avevamo capito il lavoro che stava facendo’. Un altro disse: ‘Era avanti di dieci anni’. Mario Francese raccontava la grande trasformazione in atto nell’organizzazione mafiosa con l’avvento dei Corleonesi: era la stagione del grande salto di qualità nelle relazioni con la politica e l’imprenditoria, attraverso il controllo degli appalti. E non è solo una storia del passato: alcuni nomi contenuti nelle inchieste di mio padre tornano oggi. Ecco perché è importante continuare a ricordare il giornalismo di Mario Francese, antico ma sempre moderno”. Un giornalismo estremamente diverso da quello degli anni ’70: “Credo che si sia ormai persa la curiosità di andare a toccare con mano i fatti - ha spiegato - E anche la voglia di fare determinate domande. Mio padre era un inguaribile entusiasta, un vulcano, era velocissimo a scrivere a macchina, aveva soprattutto una grande generosità: sosteneva i colleghi più giovani e anche nelle aule di giustizia si prodigava, una volta trovò un avvocato a una vedova di mafia che non riusciva a costituirsi parte civile. Amava stare in mezzo alla gente. E dopo la sua morte, è stata quella gente semplice a ricordarlo, in tanti mi fermavano per stringermi la mano”.


Il fratello Giuseppe Francese

Nell’intervista si è parlato anche di Giuseppe Francese, che nella notte tra il 2 e il 3 settembre 2002 decise di fare un gesto estremo, oppresso da un dolore che lo aveva accompagnato fin dal primo momento dopo l’omicidio del padre. In Giuseppe si alternavano la rassegnazione e la rabbia, quella rabbia che darà nome ad uno dei suoi articoli più importanti: "Castelli di rabbia”.
Giuseppe cominciò ad indagare, ad approfondire, a raccogliere ogni informazione possibile. Anche la famiglia si mise accanto a lui, alla ricerca di quella verità che sembrava non arrivare mai.
Cominciò a ricostruire quel delitto di mafia di cui nessuno voleva parlare, e lavorò duramente per trovare tutti i pezzi e metterli insieme. Lottò senza arrendersi mai, nemmeno quando trovava soltanto porte chiuse e bocche cucite. Poi finalmente la svolta: nel 2000, dopo un'attesa durata vent'anni, il caso dell'omicidio del giornalista Mario Francese venne riaperto. E fu proprio grazie al figlio Giuseppe. “È stata una ricerca determinante - ha detto Giulio - Per Giuseppe, il più piccolo di casa, era soprattutto un modo per ritrovare suo padre, ma intanto cercava la verità su ciò che era accaduto, e metteva in connessione nomi, fatti, circostanze”. Per questo “anche nel suo nome non dobbiamo smettere di ricordare Mario Francese e il giornalismo che faceva. In questo momento soprattutto, in cui tante trasformazioni sono in atto nella nostra città e a livello nazionale si tenta di mettere dei guinzagli alla stampa”.

Foto di copertina © Archivio Letizia Battaglia

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