Una vera e propria "corsa alle armi": la procura ha descritto la situazione rivelando momenti "di gravi fibrillazioni".
Alcuni membri del clan "Santapaola-Ercolano" stavano progettando l'omicidio di Pietro Gagliano, indicato nelle conversazioni degli indagati come appartenente al clan "Cappello-Bonaccorsi".
Secondo i magistrati l'assassinio avrebbe provocato una spirale di violenza che sarebbe poi sfociata in una nuova guerra tra clan. Il piano di morte sarebbe stato legato a quanto accaduto la sera del 21 ottobre, nella zona del "Passereddu", quartiere San Cristoforo, a Catania, dove - al termine di una discussione tra appartenenti ai due clan - Gagliano avrebbe sparato quattro colpi di postola ad alcuni appartenenti alla famiglia di Cosa nostra catanese.
Due di questi, rimasti illesi, avrebbero deciso la vendetta, nonostante alcuni membri di altri clan non erano d'accordo. Emblematico in tal senso il ruolo di Sebastiano Ercolano, figlio di Mario, condannato all'ergastolo per omicidio, e nipote di Aldo (detenuto per scontare una condanna per associazione mafiosa nell'ambito del processo "Dionisio"). Entrambi i fratelli, Mario e Aldo, sono cugini di Aldo Ercolano, detenuto all'ergastolo per l'omicidio del giornalista Giuseppe Fava, ucciso il 5 gennaio 1984, a sua volta figlio di Giuseppe Ercolano, sposato con Grazia Santapaola, sorella di Benedetto, capo storico della famiglia. Secondo quanto emerso nelle indagini, Sebastiano Ercolano, per lavare l'onta subita e riaffermare la "credibilità" della famiglia di Cosa nostra etnea, sarebbe stato uno degli ideatori e organizzatori del progetto, spingendosi sino a effettuare un sopralluogo presso l'immobile dove si nascondeva Gagliano, per valutare in prima persona come commettere il delitto, fuggire, eliminare tracce di residui di arma da sparo, quindi recarsi presso un locale notturno in modo da precostituirsi un alibi. Il giovane Sebastiano Ercolano avrebbe cercato di prendere le redini dell'associazione, sempre più concentrata a reperire sia le risorse finanziarie (dando nuovo slancio ai business criminali, derivanti per lo più dall'attività di spaccio di ingenti quantità di cocaina, hashish e marijuana), sia le armi necessarie a rafforzare la capacità d'intimidazione e a contrastare le consorterie rivali, così come ampiamente documentato dall'indagine.
Armamenti e droga
Nel blitz "Leonidi", eseguito da oltre cento Carabinieri nella Provincia di Catania , è stata constatata l'elevata disponibilità di armi ai clan e l'esistenza di un di un mercato assolutamente fiorente e trasversale, in quanto capace di soddisfare la domanda di tutti i gruppi mafiosi. Documentata inoltre una netta distinzione tra l'azione della "vecchia Mafia", dei "grandi" (ovvero dei sodali più anziani e di risalente affiliazione), da un lato, e l'azione della "Mafia giovane", spregiudicata, irruente, avvezza all'esibizione di status symbol sui social e alla vita gaudente, dall'altro. È emersa in particolare la posizione di Davide Enrico Finocchiaro, gravemente indiziato, allo stato, di essere responsabile dello storico gruppo del Villaggio Sant'Agata, che avrebbe più volte rivendicato con orgoglio la propria appartenenza a Cosa nostra catanese anche in quanto espressione di un gruppo "insignito di medaglie", ossia "i morti, gli ergastolani", volendo alludere ai sodali uccisi e agli omicidi commessi dal gruppo.
Numerose le perquisizioni, durante una delle quali, all'interno di un locale destinato alla raccolta dei terminali della rete fognaria di una palazzina, sono stati trovati 5 fucili da caccia, di cui tre a canne mozze, artigianalmente modificati, una pistola mitragliatrice di provenienza cecoslovacca, una pistola mod. Glock modificata, 352 munizioni di vario calibro, circa 6 chilogrammi di hashish suddiviso in panetti, un giubbotto antiproiettili, un lampeggiante blu per auto, vari kit per la pulizia delle armi e svariato materiale per travisamento, tra cui scaldacollo e guanti in pile. I 9 destinatari di fermo sono stati rintracciati e condotti nelle carceri di Catania.
L'autorità giudiziaria ha convalidato il fermo per Antonino Razza - che resta in carcere - disponendo per gli altri 8 soggetti la misura della custodia cautelare in carcere. I fermati sono Salvatore Assinnata, 51 anni, di Catania; Giuseppe Giuseppe, 43 anni, di Catania; Sebastiano Ercolano, 20 anni, di Catania; Davide Enrico Finocchiaro, 38 anni, di Catania; Salvatore Salvatore, 48 anni, di Catania; Salvatore Pietro Gagliano, 26 anni, di Catania; Salvatore Poidomani, 52 anni, di Catania; Antonino Razza, 35 anni, di Catania; Samuele Romeo, 24 anni, di Paternò.

Sventata guerra di mafia a Catania: ai ferri corti i ''Santapaola-Ercolano'' e ''Cappello-Bonaccorsi''
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- Luca Grossi