Presentato il libro del procuratore di Palermo al Gonzaga. Ospite anche Morosini: “Dietro il boss rete di fiancheggiatori”
“È importante ricordare agli studenti che cosa è la mafia e spiegare che Matteo Messina Denaro è un pezzo importante di una storia della mafia da un lato ma anche dello Stato che lo ha cercato e lo ha catturato dall'altro. È un racconto positivo per chi crede nella legalità: mettendola in maniera semplice è il bene che vince sul male". A dirlo è il procuratore capo di Palermo Maurizio de Lucia parlando coi giornalisti a margine della presentazione, al Gonzaga, del libro “La cattura. I misteri di Matteo Messina Denaro e la mafia che cambia” scritto insieme al giornalista Salvo Palazzolo. Per il procuratore il problema di successione in Cosa nostra “è sempre relativo perché è una struttura complessa che ha i suoi tempi per individuare i capi secondo un processo di individuazione di chi, dal punto di vista carismatico, è più autorevole. Per cui parlare di successori mi sembra inappropriato se cerchiamo una persona e non una struttura".
Certo è, però, che la mafia non è stata sconfitta e vuole tornare a fare affari. Dopo la cattura dell’ex Primula Rossa di Cosa nostra, arrestato presso la clinica La Maddalena di Palermo lo scorso 16 gennaio, dentro le consorterie mafiose la parola d’ordine “è quella di tornare a fare gli affari, quegli affari che Cosa nostra ha fatto per oltre un secolo e mezzo e che punta a rifare”. “Naturalmente - ha sottolineato - oggi con maggiore difficoltà perché le conoscenze e le capacità dello Stato di difendersi dalla mafia sono più elevate". Il procuratore di Palermo de Lucia ha anche parlato del rapporto fra la mafia palermitana e quella americana su cui nelle scorse settimane è stata portata a termine un'importante operazione in collaborazione con l'Fbi. “È un rapporto che non si è mai interrotto - ha sottolineato -. I rapporti fra la mafia americana e quella di Palermo sono rapporti che ci sono sempre stati, sui quali abbiamo fatto investigazioni e processi e purtroppo continueremo a farli per un certo tempo".
Tornando a “U Siccu”, com’era chiamato il capomafia di Castelvetrano morto lo scorso 25 settembre presso l'ospedale dell'Aquila dov’era detenuto al 41bis, il procuratore ha sottolineato che “c’era il pericolo che questa latitanza di 30 anni diventasse una specie di leggenda di una primula rossa che si sottrae allo Stato”. “Ecco perché abbiamo voluto scrivere questo libro e mettere insieme 13 anni di sentenze: per ricordare non solo chi e cosa fosse Matteo Messina Denaro ma che cos'è la mafia: il male”, ha aggiunto. "Quando abbiamo catturato Messina Denaro - ha aggiunto - abbiamo trovato un sacco di pizzini: alcuni servono per le indagini e quindi non ne conoscete il contenuto, altri erano riflessioni e spunti che quest'uomo scriveva con uso di parole che credo non sia giusto rimangano nel lessico dei mafiosi. Penso alla parola onore, ma anche al suo rapporto con Dio e la Chiesa, un rapporto che non appena entra in contraddizione con la mafia lui risolveva dicendo che a sbagliare era la chiesa, i preti, che stavano sul territorio e educavano i giovani".
Maurizio de Lucia rivendica la vittoria contro Cosa nostra dopo la cattura del boss di Castelvetrano, figlioccio di Totò Riina assieme a Giuseppe Graviano. Una vittoria nonostante anche se arrivata dopo 30 anni. Un traguardo che “dimostra che l'impunità non c'è e che la nostra ricerca di chi ha fatto del male continua finché non li prendiamo". "Il mistero dei 30 anni di latitanza è il paradigma di che cosa è la mafia e si spiegano grazie ai suoi fiancheggiatori che sono stati tanti e di diverse cerchie sociali - ha aggiunto -. Ci sono familiari, medici e ci sono tutti quelli che hanno girato la testa dall'altra parte o per paura o per convenienza. Dobbiamo ricordare che la mafia trapanese di Messina Denaro è diversa da quella palermitana: quella trapanese non è andata mai a vessare i commercianti con le estorsioni ma gli ha proposto affari".
Presente all’evento anche Piergiorgio Morosini, presidente del tribunale di Palermo, il quale ha precisato come “il problema della mafia non è solo un problema di sicurezza fisica dei componenti di una comunità, è un problema di sicurezza esistenziale. Le mafie attecchiscono dove c'è bisogno economico e ignoranza quindi lavoro e scuola sono i primi veri antidoti all'attecchire del fenomeno mafioso e questo lo hanno capito proprio i capi delle organizzazioni criminali". "Latitanze così lunghe come quella di Matteo Messina Denaro - ha precisato - si realizzano solo perché hanno potuto godere di alcune fragilità di alcuni territori. Per protrarre una latitanza ci vuole una rete di fiancheggiatori estesissima che si mantiene facendo dei favori, dando lavoro, dando protezione. Non c'è una data da fissare la fine di Cosa nostra ma sicuramente le modalità per decretarne la fine stanno in ciò che ognuno di noi può fare".
Foto © Paolo Bassani
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