Il boss ai pm prima di morire parlò degli “input” e dei “grandi cambiamenti” dietro le stragi
“Voi magistrati vi siete accontentati che il giudice Falcone sia stato ucciso perché ha fatto dare 15 ergastoli al maxiprocesso? […] Penso sia la cosa più importante, da dove nasce… quantomeno da dove nasce tutto […] Le stragi, l’input […] i grandi cambiamenti”.
A parlare è Matteo Messina Denaro, nell’ultimo interrogatorio del 7 luglio. Due mesi prima di morire, il boss ha risposto alle domande del procuratore aggiunto Paolo Guido e dei pm Piero Padova e Gianluca De Leoper quasi quattro ore con la solita tecnica del “dire e non dire”, parlare ma senza collaborare. Si tratta degli “ultimi veleni del boss”, come li ha chiamati Lirio Abbate sulle pagine di “la Repubblica”, con cui l’ex Primula Rossa di Cosa nostra ha voluto lanciare un messaggio chiaro all’esterno: lui era uno dei pochi custodi di segreti indicibili su Cosa nostra e le cointeressenze esterne alla stessa che hanno orchestrato stragi e delitti eccellenti.
Il 7 luglio “u Siccu” ha messo a verbale che, a parer suo, gli inquirenti non avrebbero capito la vera origine della strage di Capaci, da cui, secondo il boss, parte la strategia terroristica mafiosa. E che si sarebbero accontentati di quello che avevano. Verità processuali, oltre che storiche, che per l’ex superlatitante non corrispondevano alla realtà. È doveroso sottolineare che il pericolo che si tratti dell’ennesimo depistaggio è dietro l’angolo, ma di certo Messina Denaro non era uno sprovveduto.
“Sì, sì, questa strage (Capaci, ndr)…, tutto da là parte”, rispose ai pm Messina Denaro. “Faccio un altro esempio: dopo non so quanti anni, avete scoperto che non c’entrava niente Scarantino (il falso pentito della strage di via d’Amelio, ndr) e non mi riferisco a voi, è un plurale maiestatis… Ora la mia domanda è, me la pongo, diciamo, da scemo: perché vi siete fermati a La Barbera (Arnaldo La Barbera, l’ex capo della squadra mobile di Palermo che ha indagato sulle stragi sospettato di aver contribuito al depistaggio e accusato da alcuni collaboratori di giustizia di essere a libro paga dei Madonia, ndr)? Perché La Barbera era all’apice di qualcosa... ha capito cosa… il contesto?”. Il boss ipotizzò: “E se La Barbera fosse ancora vivo, ci sareste arrivati o vi sareste fermati un gradino prima di La Barbera?”. Il procuratore aggiunto Guido gli rispose: “Lei si rende conto che queste sono cose sulle quali noi ci aspettiamo delle risposte, non delle domande”. E lui: “Perché in certe cose (i magistrati, ndr) si contentano e in altre cose no?» chiese ancora il boss. “Noi non dobbiamo fare qui una discussione, signor Messina Denaro”, gli risposero i pm facendogli presente che era lui che doveva rispondere alle domande e parlare. “Ma se ce le ho io, perché non le deve avere lei? Io che sono, più intelligente?” sviò il boss. “Perché secondo la nostra ricostruzione e quello che dicono le sentenze, lei è stato uno dei protagonisti di tutta questa storia”, continuò Paolo Guido.
Il procuratore aggiunto Paolo Guido © Deb Photo
Durante la conversazione Messina Denaro ha fatto anche riferimento al padre Francesco, capomafia di Trapani e vecchio amico di Salvatore Riina. L’ex latitante non accetta le ricostruzioni giudiziarie secondo cui lui gli è subentrato nella commissione di Cosa nostra mentre il vecchio padrino era vivo. “Una cosa che non ho mai sopportato è pensare che mio padre è stato descritto come il cameriere di qualcuno (dei corleonesi, ndr). E quindi mio padre cosa era il cameriere di queste persone o il mio cameriere? Mio padre era mio padre, fino a quando fu vivo, su questo non c’è ombra di dubbio”. E ancora: “A un tratto con mio padre vivo, io rischio, comando tutto e lui mi diventa il cameriere della consorteria?”. “Lei deve metterci nelle condizioni, e questo solo lei riesce a farlo, di ricostruire dei pezzetti di verità, che ci dirà lei e che le consentiranno anche di essere più sereno, rispetto alla sua storia, rispetto a questa schifezza che l’ha circondata prima e dopo e fino a qualche giorno fa. Questo è il nostro invito a riflettere”, rispose Guido.
“Ascolti, dottore Guido, e veda che quello che sto dicendo è verità... - controbatte Matteo Messina Denaro - tutti questi, chiamiamoli pentiti, che hanno detto, sì, qualche pezzo di verità, e hanno fatto fare dei processi, va bene, ma ognuno ha portato acqua al proprio mulino. E per farlo dicono cose che possono essere reali e coincidere con quello che cercate voi o con quello che interessa a voi, ben venga, giusto? Ma ci sono cose, però, che, per esempio, nessuno è mai arrivato, perché a me sembra un poco riduttivo dire che a Falcone lo hanno ucciso per la sentenza del maxiprocesso. Se poi voi siete contenti di ciò, ben venga, sono fatti vostri, ma la base di partenza non è questa... parlo di grandi cambiamenti”. A cosa si riferiva? Non lo precisò e di certo non può parlare da morto. Forse suo “fratello” Giuseppe Graviano - l’altro stragista ancora vivo, “figlioccio” anch’egli di Riina - se decidesse di collaborare potrebbe rispondere a questi interrogativi: Quali erano i grandi cambiamenti? E soprattutto, chi c’era dietro Capaci oltre Cosa nostra?
Rielaborazione grafica di copertina by Paolo Bassani
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