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Il Gip di Caltanissetta Santi Bologna ha respinto la richiesta di archiviazione per Maurizio Avola, killer mafioso catanese e collaboratore di giustizia dal novembre 1994 al 1997, indagato dalla Procura di Caltanissetta per calunnia aggravata e autocalunnia.
Il prossimo 5 ottobre è stata fissata l'udienza in Camera di Consiglio e il gip potrebbe decidere se archiviare, chiedere nuove indagini o addirittura l'imputazione coatta.
La notizia è stata riportata dal 'Fatto Quotidiano'.
La vicenda è relativa alle sue dichiarazioni fuorvianti che sono state inserite nel libro dello storico giornalista Michele Santoro “Nient’altro che la verità” (ed. Marsilio), scritto assieme al contributo di Guido Ruotolo. "Io posso dire che c'ero e sono uno degli esecutori materiali della strage di via d'Amelio. E sono l'ultima persona che ha visto lo sguardo di Paolo Borsellino prima di dare il segnale per l'esplosione". Sono queste alcune delle parole dell’ex killer di Cosa nostra catanese, con cui nel 2021 - in maniera tardiva e rocambolesca - ha tentato di riscrivere la storia delle stragi messe in atto dalla mafia nei primi anni ’90. Per i pm è “assai probabile” che le dichiarazioni di Avola “oltre a essere certamente non veritiere, possano essere state eterodirette da parte di soggetti, non identificati sulla scorta delle indagini in corso, interessati a porre in essere l’ennesimo depistaggio”. Mentre è intercettato Avola parla “di somme di denaro nell’ordine di complessivi 13.000 euro circa che lo stesso riferisce essere i proventi della pubblicazione del libro” ma “Avola è totalmente smentito in quanto Santoro gli ha versato somme di gran lunga inferiori quali contributo volontario (tra i mille e i millecinquecento euro)”. Per i pm, Avola nelle conversazioni intercettate “si dice convinto che tra gli inquirenti vi sia la convinzione che le sue dichiarazioni siano frutto di un complotto finalizzato a depistare le indagini sulla strage di Via D’Amelio, da egli stesso ordito con l’aiuto dell’avvocato Ugo Colonna, suo storico difensore e dei giornalisti Guido Ruotolo e Michele Santoro, quest’ultimo in contatto con appartenenti ai servizi segreti”.
Santoro, si legge sempre sul 'Fatto' ha replicato: “È ciò che Avola attribuisce alle intenzioni ostili degli inquirenti su di me. Punto. Il nulla”.
Il giornalista ha poi lamentato gravi lesioni "della nostra libertà di giornalisti di condurre un’inchiesta: siamo stati intercettati e monitorati e poi siamo stati sentiti come testimoni senza i diritti che dovrebbero essere garantiti a chi di fatto era già trattato come un indagato. Comunque non hanno trovato traccia di qualsiasi attività scorretta nostra”.
Fin da subito abbiamo evidenziato come le dichiarazioni di Avola, oltremodo tardive, rappresentassero l’ennesimo tentativo di depistaggio delle indagini che ancora oggi faticano a dare un volto e un nome ai mandanti esterni all’eccidio e a coloro che - con molta probabilità - in veste istituzionale hanno prelevato l’agenda rossa di Paolo Borsellino per poi “perderla” durante un imprecisato passaggio di mano della valigetta di pelle che la conteneva. I racconti di Avola sulla strage del 19 luglio 1992 non hanno trovato alcun riscontro oggettivo dagli accertamenti investigativi sia di natura documentale che storica.
La domanda è: perché Avola ha fatto queste dichiarazioni? “È stato frutto di un processo interiore molto tormentato” ha detto lui ai magistrati.
Questi ultimi però non la pensano così: parole “costruite a tavolino” che rappresentano “un ennesimo tentativo di depistaggio”.
Le dichiarazioni - legge sul 'Fatto' - del pentito per i pm “avrebbero potuto portare alla incriminazione di soggetti estranei alla strage di via D’Amelio ma ciò che è più grave a precludere ogni ulteriore possibile sviluppo investigativo rispetto alle piste, emerse in plurimi dibattimenti, del coinvolgimento nella fase ideativa ed esecutiva delle stragi di soggetti esterni a Cosa nostra”.


tribunale caltanissetta da sito trib giustizia it

Il Tribunale di Caltanissetta


Parole senza riscontro
"Borsellino scende dalla macchina e lascia lo sportello aperto - disse il pentito catanese -. Io mi fermo, mi giro e lo guardo, mi accendo una sigaretta. Lo guardo, mi giro e faccio il segnale, verso il furgone a Giuseppe Graviano e vado a passo elevato. Mi dà 12 secondi per allontanarmi. Ho avuto la sensazione che Emanuela Loi ha visto il led rosso dell'auto, lei alza il passo e non capisco se sta andando verso la macchina. A quel punto mi sono allontanato. Se non esplodeva la macchina avrebbero attaccato con i bazooka".

Già da queste affermazioni sorgevano alcune perplessità. Perché nelle testimonianze di Antonio Vullo, l'agente sopravvissuto all'attentato, non vi è il dato dello sportello della macchina lasciato aperto dal giudice. E se così fosse stato sarebbe stato anche facile ipotizzare che la borsa del giudice all'interno dell'auto non sarebbe stata ritrovata pressoché intatta. Ma è un'altra affermazione di Avola che non solo ci ha lasciato perplessi, ma ci fa fortemente dubitare del dichiarato del collaboratore di giustizia. "Il nostro ottavo uomo - ha affermato - era lo Stato non i servizi segreti. Hanno fatto una ricostruzione diversa, posso giurare che non c'erano uomini dei servizi. Io dovevo fare la guerra allo Stato".
E poi ancora ha affermato di essere stato lui a caricare la macchina, la Fiat 126 che rubò Gaspare Spatuzza, di esplosivo sconfessando quel che disse lo stesso ex boss di Brancaccio rispetto alla presenza di un uomo “non di Cosa nostra” all'interno del garage in via Villasevaglios. Oltre a parlare di sopralluoghi tecnici, Avola parlò a lungo con Bertone anche dell’incontro avvenuto il 17 luglio 1992 – due giorni prima della strage – in un appartamento proprio nei pressi del garage di via Villasevaglios a Palermo “dove c’erano tanti pupazzetti rosa”. Sotto quella palazzina Avola ci è andato con gli uomini della Dia di Roma – secondo quanto accertato –, ma indicando i posti agli inquirenti ha sbagliato.
Io credo che lui abbia visto Aldo Ercolano - ha detto -. Io ero al garage e lui non era un uomo d'onore. Ha detto una rilevante parte, ma non era un esecutore materiale della strage e non può sapere alcuni retroscena della strage Borsellino. O ha visto me o Aldo Ercolano. Lo dico con certezza. Non c'era nessuno dei servizi, ma solo boss e tutti di Cosa nostra”. Poi ha anche parlato dell'esplosivo usato e della preparazione dell'auto.
Nel comunicato viene citato anche il fatto: l'accertata presenza di Avola a Catania, "addirittura con un braccio ingessato, nella mattinata precedente il giorno della strage, là dove, secondo il racconto dell'ex collaboratore egli, giunto a Palermo nel pomeriggio del venerdì 17 luglio, avrebbe dovuto trovarsi all'interno di una abitazione sita nei pressi del garage di via Villasevaglios, pronto, su ordine di Giuseppe Graviano, a imbottire di esplosivo la Fiat 126 poi utilizzata come autobomba". Il Procuratore facente funzioni di Caltanissetta Gabriele Paci si disse colpito da Avola, che “anziché mantenere il doveroso riserbo su quanto rivelato a questo ufficio, abbia preferito far trapelare il suo asserito protagonismo nella strage di Via d'Amelio, oltre a quello di Messina Denaro, Graviano e altri, attraverso interviste e la pubblicazione di un libro. Lascia altresì perplessi che egli abbia imposto autonomamente una sorta di 'discovery' compromettendo così l'esito delle future indagini, dopo che l'ufficio aveva provveduto a contestargli le numerose contraddizioni del suo racconto e gli elementi probatori che inducevano a dubitare della veridicità di tale sua ennesima progressione dichiarativa".

Foto di copertina © Shobha

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