Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

Il presidente del Tribunale di Palermo: “Dobbiamo capire se ci sono stati dei nemici della ricerca della verità ‘dentro’ gli apparati statali”

Ci sono ancora degli approfondimenti aperti sulle stragi del biennio ’92-’93”. A sottolinearlo, a pochi giorni dall’anniversario dell’eccidio di via d’Amelio, è il presidente del Tribunale di Palermo Piergiorgio Morosini
A Il Sole 24 Ore, il giudice, ex consigliere del Csm, ha risposto in merito alla ricerca della verità sulle stragi.
Non ho una chiave di lettura: mi sembra che ancora sia poco chiaro il movente. Per quanto riguarda la strage di via d’Amelio. Anche le sentenze che hanno parlato di depistaggio e non hanno dato delle indicazioni univoche sul movente e questo è oggetto di approfondimenti che sono in corso. Una cosa è certa - ha voluto però precisare il presidente del Tribunale - a oltre 30 anni da una stagione di attacco al cuore della nostra democrazia, resta intatto il diritto alla ricerca della verità i cui titolari sono i cittadini italiani. La ricerca della verità non va coltivata solo nel circuito della giurisdizione ma anche in altre postazioni istituzionali. Forse occorrerebbero luoghi non vincolati alle regole molto rigide del processo penale. Dovrebbero essere postazioni istituzionali in cui anche intellettuali (storici, giornalisti) abbiano la possibilità di offrire un contributo per la ricostruzione di certi fatti”. In pratica, Morosini invita all’istituzione di una commissione parlamentare apposita sulle stragi di mafia. “Non vi è dubbio che per la gravità di quello che è successo, occorrerebbe anche forse uno sforzo di comprensione che va oltre. Noi dobbiamo capire se ci sono stati nel nostro paese dei nemici della ricerca della verità ‘dentro’ gli apparati statali come per le stragi di piazza Fontana e della stazione di Bologna. E questo rende tutto molto più complicato”, ha spiegato. Sempre parlando delle stragi di mafia e quindi degli anni ’90, Morosini ha commentato la recente sentenza della Cassazione sul processo trattativa Stato-mafia, che ha visto l’assoluzione di tutti gli imputati accusati di minaccia e attentato a corpo politico dello Stato. Morosini, che rinviò a giudizio gli ufficiali del Ros Mario Mori, Antonio Subranni, Giuseppe De Donno, i boss Leoluca Bagarella e Antonino Cinà e il senatore Marcello Dell’Utri, ha ribadito di non rinnegare quella decisione.
Ho il massimo rispetto della sentenza della Cassazione sulla cosiddetta ‘Trattativa Stato-mafia. Si è chiusa una lunga vicenda processuale ma non possiamo dire che dopo quella sentenza non vi siano pezzi mancanti nella ricostruzione anche giudiziaria di quella stagione. Non rinnego nulla di quello che è stato il mio contributo in quel processo”, ha affermato.

La mafia oggi
Nell’intervista, Morosini ha anche espresso la sua idea su come si sia trasformata oggi Cosa Nostra in Sicilia. “I dati che emergono dalle ultime indagini ci propongono un'idea dell'organizzazione che ancora, in certi quartieri cittadini e certe fasce della provincia, cerca di controllare il territorio anche attraverso le estorsioni, mi sembra poi che ci sia un rilancio in grande stile del traffico di stupefacenti E poi c'è tutta una parte che va approfondita con grande interesse e che riguarda però non solo la Sicilia ma gli interessi mafiosi in tutto il nostro paese con riferimento alla possibilità di intercettare le somme stanziate per il rilancio della nostra economia”.

I bastoni tra le ruote della riforma Nordio
Tuttavia, segnala il presidente del Tribunale, “il sistema legislativo negli ultimi anni con riforme varie non ci ha aiutato molto. Ci sono state molte riforme che hanno riguardato la giustizia penale molto ravvicinate tra loro e questo non ha consentito di implementare delle interpretazioni sulle norme in grado di rendere più fluente l'attività giudiziaria. Anzi l'hanno spesso inceppata. E questo è già di per sé un indebolimento sul fronte del contrasto giudiziario a certi fenomeni criminali. La macchina giudiziaria deve adattarsi a riforme anche molto consistenti e lo deve fare più volte in un arco temporale ristretto. Ciò rende le risposte meno tempestive e noi sappiamo che le risposte meno tempestive danno un vantaggio certo alla criminalità. Dovremmo interrogarci anche su questo quando discutiamo delle riforme”. Un riferimento alla riforma della giustizia che sta intraprendendo il ministro Carlo Nordio.
In questi giorni si sta discutendo della riforma dell'abuso d'ufficio che è stato modificato negli ultimi due decenni in diverse occasioni. Se passa la riforma dell'abuso d'ufficio il pubblico funzionario che fa favoritismi a vantaggio di persone a lui molto vicine non sarà più colpito dal punto di vista penale. lo credo che questo sia un fatto che indebolisce l’azione di contrasto nelle pubbliche amministrazioni. Ma proprio perché anche le élite mafiose sono molto concentrate sul controllo delle pubbliche amministrazioni forse possiamo dire che l'abolizione del reato di abuso d'ufficio alla fine si traduce in un indebolimento dell'azione di contrasto anche nei confronti dell'organizzazione mafiosa”, ha affermato.
Morosini dice di avere la sensazione “siano all'opera dei network criminali che usano le reti per fare affari. Le élite mafiose hanno abbandonato o comunque hanno aggiunto diciamo alla tradizione un altro modulo comportamentale che è quello di far parte di comitati d'affari dove dentro necessariamente ci deve essere il pubblico funzionario per le amministrazioni, l'imprenditore di riferimento per un certo tipo di attività”. “Ci deve essere a volte - ha spiegato - anche la copertura di un politico, di un personaggio politico che non necessariamente viene reclutato attraverso il voto di scambio ma che può essere diciamo contattato successivamente perché c'è una convergenza di interessi. E tutto quello che insomma la Cassazione chiama la mafia silente. Cui poi non applica neanche il paradigma del 416 bis perché non ci sarebbero le caratteristiche strutturali di quel reato”. Alla domanda se andrebbe riformato l'articolo 416 bis aggiornandolo alle nuove forme del fenomeno mafioso Morosini ha risposto che forse è necessario. “Oggi - ha ricordato - quando noi facciamo riferimento a quelle reti, a quei comitati d’affari, noi dobbiamo ragionare, soprattutto su vere forme di reato che sono legati molto all’evasione fiscale, alla corruzione, all’impiego di capitali, al riciclaggio. Al di là della figura di reato con la quale vogliamo colpire certi fenomeni abbiamo bisogno anche di specializzazioni diffuse nella polizia giudiziaria e nella magistratura”.

Foto © Imagoeconomica

ARTICOLI CORRELATI

Dalla riforma della giustizia alla sentenza Stato-mafia, parla il giudice Morosini

Riforma Nordio, Morosini: ''Indebolisce la lotta all'illegalità nelle pubbliche amministrazioni''

Sentenza processo Trattativa, il gup Morosini: ''Non rinnego ciò che ho fatto''

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos