L’imputato, nonché omonimo del prestanome del boss, chiede di essere interrogato
Andrea Bonafede, l’operaio comunale e cugino omonimo del prestanome di Matteo Messina Denaro, nega di aver aiutato il capomafia durante la latitanza. Afferma di non averlo mai conosciuto e di averlo incontrato per caso. Ad immortalare l’incontro fra lui e Messina Denaro c’è un video registrato il 13 gennaio scorso, tre giorni prima della cattura della “Primula rossa”, in cui si vede il boss camminare tranquillamente a Campobello di Mazara per poi salire su un Alfa Romeo Giulietta. Una volta salito a bordo si avvicina un’auto del Comune con al volante Andrea Bonafede. L’auto si ferma, i due parlano, e successivamente Bonafede si rimette in moto.
L’operaio comunale nega di aver prelevato le ricette nello studio medico di Alfonso Tumbarello e di averle consegnate al parente (l’altro Bonafede, ndr) che diceva di essere gravemente ammalato.
Nei giorni scorsi l’imputato, giudicato in abbreviato condizionato dal Gup Rosario Di Gioia, ha chiesto di essere interrogato. Per smentire la ricostruzione il suo avvocato, Tommaso De Lisi, ha depositato una serie di messaggi scaricati dal cellulare di Bonafede in cui si evincerebbe come quest’ultimo fosse stato incaricato di recarsi in via Galileo Galilea, ad angolo con via Mare. Una zona poco distante dal luogo dell’incontro con il boss. Fa sapere che doveva occuparsi della sostituzione di una lampada guasta dell’illuminazione pubblica, come dimostrerebbe il furgone con i manutentori che seguiva l’auto del Comune.