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Davanti alla Corte anche la testimonianza dell'ufficiale pg della Dia Brocato

Il processo "Scotto + 1", meglio conosciuto come "Processo Agostino", è giunto alle sue battute finali. E questa mattina, presso l'aula bunker dell'Ucciardone di Palermo, sono stati sentiti due teste - ne restano ancora da sentire -, come richiesto dalla Procura generale, per chiarire alcune vicende che ruotano attorno al duplice omicidio dell'agente di polizia, Nino Agostino e di sua moglie (incinta), Ida Castelluccio, uccisi dalla mafia (e non solo) il 5 agosto 1989.
Citati come ex art.507, questa mattina sono stati uditi il collaboratore di giustizia Enzo Salvatore Brusca e il teste di pg Rosario Brocato. Il primo, rispetto a quanto dichiarato il 7 luglio 2021 agli inquirenti, riguardo al collegamento tra l'omicidio dei due coniugi e l'omicidio di Gaetano Genova (per cui proprio Brusca fu condannato). In particolare, a Brusca è stato chiesto di fare luce su quanto ebbero a riferirgli i fratelli Salvo e Nino Madonia. Prima di lui, è stato udito Brocato che ha risposto a domande a chiarimento rispetto a ulteriori attività investigative svolte negli scorsi mesi e depositate rispetto ad accertamenti specifici su elementi emersi nel corso del dibattimento che riguardano la figura di Giovanni Aiello, anche noto come “faccia da mostro” (deceduto). E anche sulla cattura di Antonino Madonia.
Davanti alla Corte, presieduta da Sergio Gulotta, sono imputati il boss dell'Arenella Gaetano Scotto, accusato di essere stato il killer assieme ad Antonino Madonia (per cui in abbreviato la Procura generale ha chiesto la condanna all'ergastolo), e Francesco Paolo Rizzuto, accusato di favoreggiamento.

Brusca: "Genova andava sequestrato per ricevere informazioni"
Sentito come teste assistito, Enzo Brusca, difeso dall'avv. Maria Laura Lima (in sostituzione al legale di fiducia, avv. Maffei), la procuratrice Lia Sava ha voluto chiarire il coinvolgimento dei fratelli Brusca (Giovanni ed Enzo) dietro l'omicidio Genovese. Ovvero, il giovanissimo vigile del fuoco che il 30 marzo 1990 a Palermo viene sequestrato, interrogato e poi ucciso perché diede un'indicazione importante a Emanuele Piazza, collaboratore esterno del Sisde nonché cacciatore di latitanti. Grazie a Genova venne arrestato il latitante Giovanni Sammarco, che si trovava all'interno di un centro sportivo in cui il vigile del fuoco stava facendo alcuni lavori con la piccola impresa edilizia che mise in piedi come secondo lavoro. A ordinare l'eliminazione di Genova furono i boss di Resuttana-San Lorenzo.


agostino castelluccio 546

Nino Agostino con sua moglie Ida Castelluccio


A uccidere fu Salvino Madonia, killer della famiglia di Resuttana - poi condannato a trent’anni di carcere in quanto esecutore materiale del delitto -, mentre il corpo venne consegnato da Salvatore Madonia ai fratelli Brusca, a San Giuseppe Jato, i quali fecero sparire il cadavere. Solo nel 1998 venne rinvenuto il corpo in seguito alla collaborazione con la giustizia di Enzo Salvatore Brusca. Una morte terribile quella di Genova, che rievocò quella di Emanuele Piazza - i due erano molto amici - avvenuta un paio di settimane prime. "Genova venne ucciso perché faceva parte di un gruppo di cacciatori di latitanti. E in quanto tale era di interesse di Cosa nostra (eliminarlo, ndr)". Ha esordito così Enzo Brusca questa mattina in risposta alle prime domande della Sava sul delitto Genova. Tono di voce profondo, impostato, sicuro di sé, anche se a tratti incomprensibile per problemi tecnici con il microfono. A coinvolgerlo in questo delitto fu suo fratello Giovanni Brusca: "Mi disse che Salvatore Madonia ci avrebbe portato qualcosa. Ma non avevo idea di cosa si trattasse. Un giorno incontrai Madonia e mi disse di avvisare mio fratello che avrebbe portato… ‘l’animale lo scannava e lo portava’… il giorno prefissato è arrivato, e dentro il cofano c’era un cadavere. Lo abbiamo passato su un’altra macchina e io con mio zio lo abbiamo portato via…". "Andava sequestrato - ha ribadito -. Non sapevo se mi arrivasse vivo o morto. Ero pronto a entrambe le estorsioni e questa persona agiva nella zona di San Lorenzo... Zona di Palermo". Genova andava sequestrato "per ricevere informazioni - ha aggiunto Brusca collegato da sito riservato -. Perché si navigava nel buio. Avevamo notizie frammentarie. E non era ben definito sotto chi venivano gestiti e chi coordinava questa persona qua".

L'omicidio Agostino e quel timore di Madonia
Oltre che al "pericolo" per le famiglie di Cosa nostra, Brusca ha ricordato alla Corte che l'omicidio Genova era collegato anche ad un altro evento. Un fatto delittuoso avvenuto qualche tempo prima di quel 30 marzo 1990. "Era successo qualcosa... un omicidio di un marito e una moglie - ha ricordato Brusca rispondendo alle domande della Sava -. E quindi siccome era un fatto grave avvenuto nella zona dei Madonia, cercavo di arrivare fino in fondo perché loro fino a quel momento non avevano fatto luce su questo fatto". Brusca ha poi ricordato che "il marito era un poliziotto". Si trattò, infatti, del duplice omicidio Agostino-Castelluccio, come confermò successivamente il teste. Stando al racconto di Brusca, quando avvenne l'omicidio, Salvino Madonia era impegnato in una faccenda personale e in occasione del dispiegamento di forze di polizia sopraggiunto in seguito all'omicidio Agostino "aveva rischiato anche di essere arrestato". Stando sempre alle dichiarazioni di Brusca, "dalla reazione del Madonia" percepii che "lui non era a conoscenza del delitto Agostino". "Ricordo che Madonia arrivò infuriato da mio fratello (Giovanni, ndr) perché aveva rischiato molto - ha detto Brusca -. Poi ebbe degli abboccamenti con Santi Pullarà, che però non sapeva che io partecipai all'omicidio di Genova. E che c'era un gruppo a Palermo legato ai servizi segreti per individuare i latitanti. Era una somma che ho fatto io". Genova, ha aggiunto Brusca, "poteva essere un confidente dei cacciatori di latitanti".


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Brocato: "Nel libro mastro di Nino Madonia c’erano Gaetano Scotto e Vito Lo Forte"
Prima di Brusca davanti alla Corte è stato sentito Rosario Brocato, sostituto commissario coordinatore della Polizia di Stato in servizio presso il centro operativo della Dia di Palermo, il quale rispondendo alle domande di Domenico Gozzo ha chiarito vicende contenute in alcune note già acquisite dalla Corte. La prima riguardante l'uccisione di Giacomo Palazzolo, che fu ucciso il 24 maggio 1989. Si tratta di una figura che, secondo l'accusa, fu assassinata così come lo stesso Agostino, Gaetano Genova e Emanuele Piazza (uccisi nel marzo 1990), per essersi adoperato anch'egli nella ricerca di latitanti. Con la consultazione di note a sua forma, Brocato ha fatto luce su "attività antidroga condotta dai Carabinieri che iniziò nell'88 e protratta fino al 1989". Di interesse della Corte è il rapporto del 2 giugno del 1989 in cui, ha riferito Brocato, "si fa un excursus di tutta l'attività svolta dai Carabinieri in cui si facevano dei servizi di ocp (osservazione, controllo e pedinamento, ndr) nel territorio, nella zona dell'Arenella, in prossimità del delitto Agostino". "Tra i vari servizi trascritti risulta il pedinamento dei Carabinieri nei confronti di Palazzolo Giacomo - ha detto -. Quando entra a vicolo Pipitone i Carabinieri non lo seguono perché si tratta di una via senza uscita e rischiavano di essere notati. Mentre erano appostati vedono passare Vito Lo Forte e Carollo - due personaggi che gravitavano nell'Arenella - e che erano coinvolti nel traffico di sostanze di stupefacenti. Ma i Carabinieri non vedono più uscire il Palazzolo". Va premesso, ha sottolineato il teste, che "il Palazzolo di riforniva di stupefacenti in un primo tempo presso Greco Biagio e Paolo Lima, che erano due soggetti che svolgevano la loro attività professionale in strutture sportive nella zona est della città. Salvo poi scomparire qualche settimana prima della scomparsa di Palazzolo. Quest'ultimo, invece, per portare avanti la sua attività illegale cercava di approvvigionarsi da altri soggetti, tra questi Vito Lo Forte. Ecco, dunque, il motivo per cui si recò in vicolo Pipitone". Sempre secondo quanto riportato dai Carabinieri in seguito al servizio di ocp, "Palazzolo dava l'idea di non conoscere la zona e quindi, ad introdurlo a vicolo Pipitone, fu l'accompagnatore". In merito ad un’altra nota, invece, Brocato ha precisato che "Vito Lo Forte e Gaetano Scotto vennero identificati". "Scotto Gaetano, identificato con il nominativo 'Tanino', - ha aggiunto - è inserito alla pagina 5 del famoso libro mastro sequestrato nel covo di Nino Madonia in via d'Amelio. Stiamo parlando di attività di estorsione. Mentre Vito Lo Forte è indicato come 'Vitino', insieme a 'Fida' (che sta per Fidanzati)". "In via d'Amelio 48 viene sequestrata una quantità di carte veramente grande che venne catalogata e sulla base della quale facemmo ricerche alla Squadra Mobile - ha detto il teste -. Oltre al libro mastro, in questo covo di via d'Amelio vengono sequestrati una serie di appunti che parlano di traffico di sostanze di stupefacenti, scommesse clandestine, estorsioni ed escono fuori dei nominativi. E tra questi ci sono quelli di Scotto Gaetano, indicato come 'Tanino', (nel libro mastro) e nelle annotazioni 'Vitino-Fida' a identificazione di Vito Lo Forte e Fidanzati".
La prossima udienza è attesa per il 23 giugno in cui verranno sentiti i teste Vincenzo Monastra e Luca Buriesci, ai sensi dell’art.195 limitatamente alle circostanze riferite de relato dal teste Gioachino Genchi afferenti alle mansioni di Coppolino Salvatore e Marchese Francesco al Castel Utveggio.

Foto di copertina © Emanuele Di Stefano

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