Depositate le motivazioni con cui è stata respinta dai giudici la richiesta di scarcerazione
Ha avuto un ruolo centrale e fattuale nella latitanza del boss di Castelvetrano Matteo Messina Denaro e per questo motivo Laura Bonafede non può essere scarcerata. E' questa nei fatti la valutazione dei giudici del tribunale del Riesame che ha resistono la richiesta di scarcerazione presentata dai legali dalla maestra che, secondo la ricostruzione degli inquirenti, per anni è stata anche la compagna del capomafia. Ne dà notizia l'agenzia ANSA. La donna era stata arrestata nell'ambito delle indagini coordinate dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia, dall'aggiunto Paolo Guido e dal pm Gianluca De Leo,
con le accuse di favoreggiamento aggravato e procurata inosservanza della pena e nei giorni scorsi sono state depositate le motivazioni della decisione. Secondo i giudici Laura Bonafede "ha contribuito in modo fattivo al mantenimento in vita della peculiare rete di comunicazione di Matteo Messina Denaro, affidando la consegna dei propri scritti ai 'tramiti', ideando ella stessa nuovi nomi in codice con cui fare riferimento a terzi soggetti o servendosi di nomi già pensati da boss e distruggendo i messaggi da lui ricevuti in vantaggio dell'ex latitante".
Addirittura l'inizio della relazione tra i due risalirebbe dal 1996. Tuttavia la donna sarebbe stata coinvolta nella gestione degli interessi del boss solo a partire dal 2007.
La convivenza tra i due, insieme alla coppia viveva anche la figlia della maestra, Martina Gentile, indagata per gli stessi reati della madre, "sarebbe stata interrotta nell'aprile del 2015 - specificano i magistrati -. Da aprile del 2017 la convivenza si sarebbe trasformata in mera frequentazione, anche quest'ultima sarebbe stata bruscamente arrestata nel dicembre del 2017 probabilmente a seguito delle perquisizioni disposte dai giudici".
Il progetto di morte contro la nonna della figlia del boss
Nel provvedimento si dà atto anche di un progettato di uccidere la nonna materna di sua figlia Lorenza. Il motivo sarebbe stato determinato dai contrasti nati tra l'ex compagna di Messina Denaro, Franca Alagna, e la famiglia del padrino. Contrasti che, secondo Messina Denaro, sarebbero stati causati proprio da Filippina Polizzi, madre della Alagna e nonna della figlia naturale del boss, Lorenza.
Un elemento utile per ricostruire il piano sarebbe un messaggio del 15 dicembre del 2022 tra l'allora latitante e la Bonafede. "La Bonafede lasciava intendere - scrivono i magistrati del Riesame - che questi (Messina Denaro, ndr) avesse manifestato il proprio intento omicidiario ai danni di Filippina Polizzi, madre di Franca Alagna e ritenuta la vera artefice delle frizioni familiari".
Nel biglietto citato dai giudici la Bonafede, riferendosi a una precedente comunicazione con il capomafia, dice: "al punto 35 mi dici che porterai Quella a salutare Uomo", dove "quella" è la Polizzi e "Uomo" è il boss Leonardo Bonafede, padre della maestra deceduto anni fa. Una frase nemmeno tanto sibillina che lascia intendere la volontà di far raggiungere dalla donna il capomafia morto. Proprio in seguito ai contrasti con la famiglia del padre naturale la figlia di Messina Denaro, Lorenza, lasciò la casa dei Messina Denaro in cui aveva abitato con la madre. Solo dopo l'arresto del padre la ragazza e il padrino di Castelvetrano si sarebbero riavvicinati.
I vivandieri Messina Denaro scelgono il rito abbreviato
Altra notizia che riguarda sempre i favoreggiatori del boss trapanese è quella nei confronti di Emanuele Bonafede e la moglie Lorena Lanceri, in cella sempre per favoreggiamento e procurata innosservanza di pena.
La coppia di Campobello di Mazara che ha ospitato per mesi a casa il boss Matteo Messina Denaro prima dell'arresto, sarà processata col rito abbreviato. Una scelta giunta dopo che la Procura di Palermo, coordinata da Maurizio de Lucia, ha chiesto e ottenuto per entrambi il giudizio immediato. La data del processo non è stata ancora fissata, mentre comparirà il 27 giugno davanti al gup - anche lui ha scelto l'abbreviato - Andrea Bonafede, cugino di Emanuele, pure lui in cella per favoreggiamento. Per mesi ha fatto la spola con lo studio del medico curante del padrino, Alfonso Tumbarello con le prescrizioni mediche necessarie alle cure alle quali l'allora latitante doveva sottoporsi.