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Luca Tescaroli: "Stiamo cercando di verificare se vi siano state convergenze di interessi da parte di soggetti esterni a Cosa Nostra”

La procura toscana lavora ancora oggi al filone politico della strategia stragista di Cosa nostra. Una stagione di tritolo e patti indicibili tra pezzi deviati dello Stato e mafia.

Come scritto dai giudici della Corte d'assise di Firenze nelle motivazioni di condanna all'ergastolo di Francesco Tagliavia per le stragi del '93 a Firenze, Roma e Milano, fu avviata una trattativa che “indubbiamente ci fu e venne quantomeno inizialmente impostata su un do ut des” per interrompere la stagione delle bombe.

L’ala “oltranzista” di Cosa Nostra, decise di proseguire nella strategia di guerra allo Stato anche dopo l’arresto, il 15 gennaio 1993, del capo dei capi Salvatore Riina. Guerra allo Stato per costringerlo ad abolire l’articolo 41 bis sul carcere duro e la legge che premia chi decide di collaborare con la giustizia. Riina era pronto a “giocarsi i denti” per indurre lo Stato alla resa.

E “l'iniziativa - scrivono - fu assunta da rappresentanti dello Stato e non dagli uomini di mafia”. Tale iniziativa produsse frutti velenosi: uno di questi è senza dubbio la strage di via dei Georgofili; persero la vita cinque persone, i feriti quarantotto: i morti furono la custode dell’Accademia, Angela Fiume, il marito vigile urbano di San Casciano Val di Pesa, Federico Nencioni e le loro figlie, Caterina di appena 50 giorni e Nadia Nencioni, 9 anni. Rimase ucciso anche lo studente palermitano Dario Capolicchio che dormiva con la fidanzata. La ragazza rimase ferita ma si salvò. La madre, Giovanna Maggiani Chelli, scomparsa nel 2019, ha speso la sua vita per la verità sull’eccidio.

La strage di via dei Georgofili arriva a un anno di distanza dall’estate siciliana degli eccidi siciliani del 1992, Capaci e via d’Amelio. Ma il disegno mafioso e non solo è unico. Ancora una volta ci viene in soccorso la dottrina di Giovanni Falcone che per i delitti politici di Palermo (Reina, Mattarella, La Torre) parlò di una convergenza di interessi tra mafia e politica. Del resto, senza la politica la mafia sarebbe un’organizzazione criminale e basta, una "banda di sciacalli" ebbe a dire lo storico capo mafia Riina. E in molte regioni, anche del Nord, la politica non riesce a liberarsi dell’abbraccio mortale con la mafia.


strage georgofili da ranews24


Questo è il cuore del problema: ci si arrovellò il pm di Firenze Gabriele Chelazzi, che in tempi record tra il 1996 e il 2002 concluse i processi contro i mandanti e esecutori mafiosi e morì, stroncato da un infarto, nel 2003 mentre lavorava alla ricostruzione del contesto politico delle stragi. Un lavoro che è tuttora in corso e la procura di Firenze è in prima linea: il procuratore aggiunto Luca Tescaroli e il procuratore aggiunto facente funzioni Luca Turco sono i pm che stanno indagando sui mandanti esterni, nello specifico a carico di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri (cofondatore di Forza Italia), quest'ultimo già condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa, pena scontata.

L'indagine è assai complessa. Chiusa e riaperta più volte le domande di fondo sono sempre le stesse: i soldi della Fininvest erano mafiosi? Perché avvennero le stragi? Chi sono i mandanti esterni? Quale fu il ruolo dei boss Matteo Messina Denaro e dei fratelli Graviano? Le indagini stanno intanto verificando molti aspetti, scandagliando tutte le direzioni, senza riguardi per nessuno.

La verità giudiziaria emersa fin qui sulle stragi mafiose del 1992-94 "è una verità molto importante, molto significativa: probabilmente non è tutta la verità e il nostro ufficio è impegnato a lavorare in questo senso" ha affermato Luca Tescaroli intervenendo all'evento organizzato da 'Repubblica' per i 30 anni dalla strage di via dei Georgofili. "Vi è stata una ferma, determinata reazione da parte dello Stato - ha spiegato - che ha saputo attraverso le sue componenti più virtuose individuare le responsabilità di 32 imputati che sono stati condannati, con sentenze passate in giudicato, proprio per il reato di strage. Sono stati processati con il pieno rispetto delle garanzie dimostrando che lo Stato, rispettando le regole, è più forte". Oggi, ha affermato Tescaroli, "stiamo cercando di verificare se vi siano state convergenze di interessi da parte di soggetti esterni a Cosa Nostra che hanno beneficiato della campagna stragista del biennio '93-94, e questo è un obbligo morale. Lo dobbiamo alle vittime, ai sopravvissuti, lo dobbiamo al grave vulnus che vi è stato per la democrazia. È la coscienza critica e civile del Paese che ci impone di lavorare, e di fare tutto quello che è possibile, per verificare se sia possibile raccogliere prove solide, che ci consentano di affrontare dei processi con una prevedibile condanna nei confronti di chi in ipotesi può aver condiviso il piano terroristico eversivo di quegli anni".

"Dobbiamo riflettere bene quando si mettono in discussione questi strumenti" per la lotta alle mafie, come il 41-bis, "strumenti che si sono rivelati fondamentali per il contrasto di Cosa Nostra" ha affermato il magistrato fiorentino. "La finalità dello stragismo era di incidere sulla politica legislativa attribuita al Parlamento e al governo" - ha ricordato - sottolineando che "sul terreno penitenziario si voleva l'abolizione del regime del 41-bis, si voleva l'abolizione dell'ergastolo, della normativa sui collaboratori di giustizia, della legislazione concernente il sequestro e la confisca dei beni".

"Probabilmente si dovrebbe pensare a rivedere la normativa sui collaboratori di giustizia, nella prospettiva di riallineare un gap significativo tra chi collabora con la Giustizia, e chi invece permane in carcere e rimane irremovibile nella convinzione della necessità di rimanere inseriti in seno a Cosa Nostra". "Questo sarebbe un apporto che potrebbe rivelarsi decisivo anche per le indagini che si stanno svolgendo", ha spiegato Tescaroli, ricordando che "in considerazione degli interventi che vi sono stati da parte della Corte Costituzionale e della nuova disciplina sull'ergastolo ostativo, i benefici penitenziari, liberazione condizionale, permessi premio, affidamenti in prova al servizio sociale, sono diventati estensibili anche ai mafiosi irriducibili". Il magistrato ha osservato che "ci sono stati nel corso del tempo 13 responsabili di eccidi che hanno collaborato, l'ultima collaborazione importante è stata nel 2008" e che "senza quelle collaborazioni i responsabili" delle stragi mafiose "non avrebbero un volto".


georgofili strage pb 23


Le origini dell'indagine di Firenze
Il capo mafia di Brancaccio Giuseppe Graviano dal carcere parla e straparla: il 10 aprile 2016 la Procura di Palermo, nell'ambito dell'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, aveva intercettato nel carcere di Ascoli Piceno il capomafia Graviano mentre parlava con il compagno d'ora d'aria, Umberto Adinolfi, delle stragi del 1993, del 41 bis, dei dialoghi con le istituzioni. Ma ad un certo punto aveva fatto riferimento all'ex premier Silvio Berlusconi: “Berlusca mi ha chiesto questa cortesia. Per questo è stata l’urgenza”. E poi: “Lui voleva scendere, però in quel periodo c’erano i vecchi e lui mi ha detto ci vorrebbe una bella cosa". E ancora: “Nel ’93 ci sono state altre stragi ma no che era la mafia, loro dicono che era la mafia”.
A seguito delle dichiarazioni, ancora da dimostrare, la Procura di Firenze aveva riaperto il fascicolo sui mandanti esterni delle stragi.
Cinque anni più tardi il capomafia di Brancaccio aveva parlato con i magistrati di Firenze confermando che nelle intercettazioni in carcere i riferimenti erano proprio all'ex Presidente del Consiglio.
Ulteriori novità sono contenute in un’informativa della Dia datata 20 aprile 2018 depositata recentemente dai pm di Firenze in cui si m
ettono in evidenza i punti salienti delle conclusioni a cui giunge la Dia sulle parole di Graviano.L'ex premier, così come i suoi legali, hanno negato tutto parlando di accuse infondate. Ricordiamo infatti che le indagini sono state archiviate e riaperte più volte.
Oltre a questo i magistrati stanno facendo degli accertamenti sul capitale originario della Fininvest.

L'identikit della donna vista il 27 maggio
"Età 25 anni, corporatura magra, capelli scuri, corti e lisci, alta circa 1,70". Ecco la descrizione della donna che ventisette anni fa fu notata da un testimone nei pressi del luogo della strage di via dei Georgofili, a Firenze, nella notte tra il 26 e il 27 maggio 1993.
Quell'identikit, realizzato grazie alla descrizione effettuata da un portiere di un palazzo di via Bardi, è stato rinvenuto in un archivio dei carabinieri di Firenze.
E' emerso che quel "fotofit" fu trasmesso alla procura, ma non venne mai diffuso (a differenza di altri identikit). Inoltre il portiere, che ha raccontato quel che aveva visto quella sera, compreso "una cartina di Firenze, a colori, dove erano cerchiati due punti della città in rosso" e la consegna, da parte di due giovani, "di una borsa a un uomo sceso da un Fiorino". E proprio un Fiorino fu il mezzo utilizzato per compiere la strage. Gianfranco Donadio nella sua audizione ha ricordato che anche "nella strage successiva di via Palestro dalla Fiat uno era discesa una donna". Che sia la stessa donna? Il sospetto resta forte perché una fonte del Sisde la descrisse indicando proprio quella "pettinatura a caschetto" rappresentato anche nell'identikit di Firenze.
Analizzando gli elementi acquisiti sulla donna Donadio ha evidenziato come esista un "rapporto della Digos in cui si parla di una donna terrorista appartenente ad un’organizzazione parallela, che avrebbe agito insieme a Cosa nostra nelle stragi del ’93. Qui vi è un’espressa menzione del Sisde che viene richiamata dall’analisi documentale", ha proseguito. "Nella strage successiva di via Palestro dalla Fiat uno era discesa una donna, anche di questa esiste un identikit che venne pubblicato dal Corriere della Sera. Ed è quello famoso di una donna bionda di via Palestro dove c’è scritto che i capelli sono biondi tinti. A dirlo sono due testimoni che guardarono la donna discendere dalla Fiat Uno”. A distanza di trent'anni anni dalla strage di via dei Georgofili, se possiamo ritenere di avere accertato, con il pieno rispetto delle garanzie degli imputati condannati, una parte davvero significativa della verità, non è possibile trascurare l’impegno a continuare nella ricerca della stessa, nel rigido rispetto del segreto investigativo, evitando cedimenti e cercando di impedire l’erosione degli strumenti di contrasto che i vertici di Cosa Nostra volevano far eliminare ricattando lo Stato con il tritolo.

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