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"Il 'braccio armato', così come io chiamo la mafia, non avrebbe motivo di esistere se non ci fossero 'supporti' a garanzia della sua azione. A distanza di 31 anni da quella strage sono stati scoperti gli esecutori materiali ma non chi ha dato quell'ordine. Ci sono complici ancora da individuare". A con queste parole che Giuseppe Costanza, l'autista del giudice Giovanni Falcone sopravvissuto all'attentato di Capaci del 23 maggio del 1992, in cui persero la vita oltre allo stesso Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti di scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro offre il suo pensiero all'Adnkronos. Domani Costanza non sarà all'Aula bunker del carcere Ucciardone, a Palermo, per le celebrazioni in occasione del 31esimo anniversario dell'eccidio. "Non sono stato invitato, sarò, invece, a Roma per partecipare a una trasmissione tv", dice il presidente dell'omonima Fondazione, fondata lo scorso anno per "fare memoria" e portare la testimonianza di quello che è accaduto soprattutto tra i ragazzi delle scuole. 
"Ora mi auguro che si vada oltre, puntando ai mandanti esterni a Cosa nostra, al livello superiore. Non si può mollare, l'attenzione deve restare alta", dice Costanza, per il quale "il movente della strage di Capaci sta nella nomina a procuratore nazionale di Falcone". "Una settimana prima dell'attentato - ricorda - il giudice mi fece una confidenza dicendomi che avrebbe assunto quel ruolo e si sarebbe organizzato con un ufficio a Palermo. Disse che ci saremmo dovuti spostare in elicottero. Per me dietro la strage c'è quella nomina che a qualcuno ha fatto così tanta paura al punto di decretarne la morte". A distanza di 31 anni da quel giorno Costanza non smette di sperare nella verità. "Ho fiducia che si possa arrivare a scoprirla, spero solo che non servano altri 30 anni perché sia io che gli eventuali responsabili esterni non ci saremo più". 
C'è il rischio che le celebrazioni per la strage di Capaci diventino una passerella istituzionale? "Lo sono state in passato - dice Costanza -. Per anni non sono mai stato invitato, su quei palchi ho visto 'passeggiare' personaggi illustri che non hanno mai avuto a che fare con gli attentati ma che sono saliti alla ribalta. Io che quell'attentato l'ho vissuto sulla mia pelle e sono rimasto in vita sono stato per tanto tempo dimenticato, quasi come fosse una disgrazia il fatto di non essere morto. Oggi c'è un cambiamento e anche nelle Istituzioni vedo un'attenzione maggiore". Il ricordo di Falcone in questi anni Costanza lo ha portato sempre con sé. Un tesoro prezioso da custodire lontano dai riflettori. Il ricordo di un uomo prima ancora che di un magistrato. "Chi era Falcone? Un uomo che alle parole faceva seguire i fatti. Quando a Bagheria uccisero tre familiari del collaboratore di giustizia Francesco Marino Mannoia, mi trovavo in aeroporto - racconta -. Sentii alla radio la comunicazione e appena Falcone prese posto in macchina, l'ho informai e lui diede subito disposizione di andare a Bagheria. Arrivati sul posto trovammo tre persone uccise in un'auto. Poco dopo giunse il procuratore di Palermo Pietro Giammanco e, dopo i rilievi, rivolto a Falcone gli disse: 'Giovanni, mettiti in un'altra macchina. Fai andare avanti Costanza che se succede qualcosa non sei in quell'auto'. Falcone, senza pensarci su due volte, risposte istintivamente: 'Non lascio Costanza da solo'. Poi salì in macchina, prese posto accanto a me, dal lato passeggero, e tornammo in Procura. Io sono medaglia d'oro al valor civile, un riconoscimento di cui sono onorato, ma quelle parole dette da Falcone istintivamente quel giorno per me hanno un valore molto più grande di quella stessa medaglia. Ecco chi era Falcone, un grande uomo prima ancora che uno straordinario magistrato".

Foto © Imagoeconomica

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