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Era l’alba del 18 maggio 1993 quando in un casolare sperduto tra le compagne del calatino il capo dello Sco Antonio Manganelli e il collega Alessandro Pansa guidarono l’operazione Luna Piena che mise fine alla latitanza del padrino catanese. Benedetto Santapaola detto Nitto è sicuramente uno dei mafiosi dalla più alta levatura criminale nella storia di Cosa Nostra, tra i più sanguinari e potenti boss.
Soprannominato “Il Cacciatore” per via della sua passione per la caccia, la sua storia criminale si intreccia con la storia stessa degli ultimi 40/50 anni della Sicilia.
Mai nessun pentimento, nessuna collaborazione con la giustizia, Santapaola è stato il simbolo di una mafia che dialoga alla pari con le istituzioni. Stimato e temuto, è stato l’uomo delle mille entrature a Catania, col benestare dei corleonesi i quali lo tenevano in grande considerazione lasciandogli libertà di azione e movimento nel suo territorio.
La scalata ai vertici di Cosa Nostra è rapida per Nitto che, partito dal quartiere di San Cristoforo, inizia a percorrere le tappe criminali a partire da quello che era il suo “capo” Giuseppe Calderone, boss della mafia catanese, per ordine dei corleonesi: è il 1978. Il 13 agosto 1980, Vito Lipari, Sindaco di Castelvetrano, viene trovato ucciso. Casualmente, un’auto con quattro persone a bordo viene fermata da una pattuglia di carabinieri: i viaggiatori sono Nitto Santapaola, Francesco Mangione e Rosario Romeo, provenienti da Catania, insieme con Mariano Agate, boss di Mazara del Vallo. Nell’immediatezza del fermo Santapaola e i suoi compagni di viaggio non vengono neanche sottoposti al guanto di paraffina perché egli stesso dichiara di essere stato ad una battuta di caccia a casa di un amico. Il capitano Vincenzo Melito va anche a Catania per verificare gli alibi, e al suo ritorno i quattro vengono scarcerati dal magistrato pro-tempore. Nel 1984 viene svelata una parte dei fatti. Nei successivi interrogatori sarebbe emerso che Santapaola era andato in provincia di Trapani per risolvere dei problemi che aveva l'imprenditore edile Gaetano Graci (l'amico di cui non era stato fatto il nome nel 1980), che aveva degli interessi nel trapanese, per conto di personaggi al di sopra di ogni sospetto:
«Subito dopo l'aggiudicazione degli appalti, contro operai e tecnici dell'impresa Graci erano iniziate le prime intimidazioni, le minacce, gli avvertimenti; e la matrice - criminalità locale, probabilmente spalleggiata da alcune Famiglie della zona - era stata subito chiara. Un invito estremamente esplicito, insomma, ad andarsi a coltivare i propri appalti altrove. L'invito, invece, non era stato accolto, e a risolvere la faccenda, intercedendo per l'imprenditore catanese, sarebbe intervenuto proprio Santapaola. Tutto il suo peso di boss mafioso sulla bilancia: per mediare, convincere, e - se necessario - minacciare».
Il 5 gennaio 1984 Giuseppe Fava, giornalista fondatore della rivista I Siciliani, viene ucciso davanti al teatro Stabile in via dello Stadio a Catania. Il movente è inizialmente coperto da tutti.
I "quattro cavalieri dell'apocalisse mafiosa", così definiti da Giuseppe Fava nella storica copertina del primo numero de I Siciliani del gennaio 1983, erano i cavalieri del lavoro che gestivano l'imprenditoria edile catanese (e siciliana) a cavallo degli anni settanta-ottanta: Mario Rendo, Carmelo Costanzo, Francesco Finocchiaro e Gaetano Graci.
I rapporti tra il clan di Santapaola e i cavalieri vengono fuori grazie al lavoro della redazione de I Siciliani. Nel primo articolo si fa solo l'accenno a «quello che appare, quello che la gente pensa e quello che probabilmente è vero»: appare che sono tutti inquisiti per reati anche gravi, si pensa che sono stati loro ad ordinare l'omicidio di Carlo Alberto dalla Chiesa e probabilmente c'è una mutua protezione ma non ci sono le prove.
A metà degli anni '80 Giovanni Falcone riuscì a dimostrare un suo interesse quantomeno indiretto nel delitto del Generale dalla Chiesa: il prefetto infatti, appena insediatosi, aveva puntato il suo interesse sugli affari degli imprenditori catanesi Carmelo Costanzo, Gaetano Graci, Mario Rendo e Francesco Finocchiaro e sui loro rapporti con Santapaola [19][20].
La notte del 17 dicembre 1993 scattò l'operazione "Orsa maggiore", che prevedeva 156 mandati di cattura contro affiliati e fiancheggiatori del clan Santapaola per associazione a delinquere di stampo mafioso ed una serie di altri reati (tra cui diversi omicidi, come quello del giornalista Giuseppe Fava e dell'ispettore Giovanni Lizzio, e numerosi danneggiamenti a scopo di estorsione, come l'incendio dei magazzini Standa in via Etnea nel 1990) e si basava in gran parte sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Claudio Severino Samperi. 53 dei 156 ordini di arresto colpirono soggetti già detenuti (tra cui lo stesso Santapaola) e l'operazione occupò in tutto circa mille fra carabinieri, agenti di polizia e finanzieri [49].
Una pagina importante si chiudeva con la cattura di questo grosso latitante ma, come sempre nella storia di questo Paese, la ricostruzione vera e chiara del ruolo del boss nella interlocuzione con parti , più o meno deviate, dello Stato, è assolutamente vaga e incerta.

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