In trasmissione raccontata la storia di un altro omicidio ancora senza colpevoli
Il 16 gennaio 2023 è stato catturato Matteo Messina Denaro dopo trent'anni di latitanza. Ora sappiamo che ha trascorso gli ultimi anni a Campobello di Mazara, che ha un tumore, che è stato operato già due volte e che ad aiutarlo nella gestione della latitanza sono stati i parenti più stretti dell'ex capofamiglia di Campobello, Leonardo Bonafede, deceduto nel 2020 all'età di 88 anni. Oggi sono agli arresti la figlia dello storico boss e tre dei suoi nipoti. Ma cosa facevano prima i cugini Bonafede? Davvero non era possibile immaginare un loro eventuale coinvolgimento nella gestione della latitanza di Matteo Messina Denaro? In una girandola di incredibili paradossi Report ha toccato con mano la commistione, gli intrecci insospettabili, le relazioni inconsapevoli tra favoreggiatori, istituzioni e società civile.
Il caso Marcianò
Se la storia raccontata alle telecamere di Report, nel servizio di Claudia Di Pasquale, fosse vera la cattura di Matteo Messina Denaro avrebbe potuto esserci già nel 2017.
La mattina del 6 luglio 2017 Giuseppe Marcianò, imprenditore agricolo e genero di Pino Burzotta, boss di Mazara del Vallo, era in sella al suo scooter per raggiungere Tre Fontane, la frazione balneare di Campobello di Mazara e viene freddato da alcuni colpi di pistola. Un omicidio sul quale indaga la Dda di Palermo e che a distanza di 5 anni sarebbe ancora “senza colpevoli”. Pochi giorni prima di essere ucciso però, Marcianò aveva incontrato l’imprenditore Vito Quinci, al quale aveva chiesto, su mandato di Cosa Nostra, di ritirare la denuncia contro l’ex sindaco di Campobello, Ciro Caravà.
Quinci aveva accusato l’ex primo cittadino di aver intascato una tangente da 30 mila euro per ottenere l’approvazione del consiglio comunale per la struttura alberghiera. “Ritorna dopo un mese circa, qualcosa del genere, molto impaurito - racconta Quinci a Report - Giuseppe che problemi ci sono? Io mi voglio costituire. Perché costituire? Perché a casa mia ogni mattina si fanno delle riunioni, Matteo Messina Denaro, tutti i boss, perché lì c’era il problema di eleggere i nuovi boss”. Chi partecipava ai summit? “Matteo Messina Denaro, c’erano gli Spezia, c’erano i Bonafede non so se erano gli eredi – dice ancora Quindi, intervistato, raccontando quanto riferito da Marcianò -. Io ora sono in grado di fare arrestare a tutti. Per fare arrestare a tutti, cosa facciamo mi dice, io divento collaboratore di giustizia, prima di diventare collaboratore di giustizia gli faccio mettere le cimici, le telecamere a casa mia, sotto l’albero dove avvengono le riunioni, loro prendono a tutti e a me mi devono arrestare. Agli occhi di tutti non devo essere il collaboratore, devo essere arrestato”.
La provincia di Trapani
"Mi sono chiesto perché mai Provenzano Bernardo e Riina Salvatore, capi riconosciuti di Cosa Nostra, hanno l'uno parenti qui e l'altro grosse proprietà terriere a Castelvetrano" aveva detto il magistrato Paolo Borsellino sentito nell'ambito della commissione parlamentare antimafia.
Nella frazione di Tre Fontane, come riportato da Report, hanno trascorso la loro latitanza estiva (dal 1975 al 1977) Riina e Provenzano grazie all'interessamento del capomafia di Campobello Leonardo Bonafede, che si è occupato anche della latitanza di Francesco "Ciccio" Messina Denaro, padre della primula rossa di Castelvetrano.
Banche, massoneria e imprese soggiogate dalla mafia o complici dei boss, sono infatti una costante dello scenario mafioso trapanese, sin almeno dagli anni ’80. Magistrati e investigatori che se ne sono occupati hanno fatto spesso una brutta fine o, se sono sfuggiti agli agguati, si sono ritrovati quasi cacciati via, da Ciaccio Montalto, magistrato ucciso nel 1983, a Ninni Cassarà che è stato a Trapani prima di arrivare a Palermo (dove fu ucciso nell’estate del 1985), a Carlo Palermo, pm trapanese sopravvissuto all’attentato di Pizzolungo del 1985, a Rino Germanà, capo della Mobile trapanese che doveva essere ucciso nella stagione delle stragi del 1992. Pur fallendo gli obiettivi la mafia ottenne l’effetto sperato: Palermo e Germanà non si poterono più occupare delle indagini sulla mafia trapanese.
Destra eversiva e il mondo dei penitenziari italiani
Report è tornata anche a occuparsi di uno degli autori della strage di Bologna, Luigi Ciavardini, e delle sue attività nel settore carcerario. Dopo aver ottenuto la semilibertà nel 2010 ha riallacciato i rapporti con figure criminali legate al mondo dei Nar (Nuclei Armati Rivoluzionari), protagonisti negli ultimi anni della scena mafiosa romana. L'estrema destra sembra da tempo molto interessata al mondo dei penitenziari italiani. Di recente diversi esponenti di organizzazioni neofasciste hanno aderito a ‘Nessuno Tocchi Caino’, una delle principali e più autorevoli associazioni che si occupa di carceri in Italia. Fondata negli anni Novanta sotto l'egida di Marco Pannella e del Partito Radicale negli ultimi anni sembra essersi focalizzata sulla lotta contro il 41 bis e l'ergastolo ostativo, con una presenza massiccia di detenuti ed exdetenuti condannati per mafia nei suoi organismi dirigenti.
In particolare Report, nell'inchiesta di Giorgio Mottola, ha contattato il procuratore aggiunto di Firenze Luca Tescaroli il quale ha parlato di "Luigi Ciavardini, Carlo Gentile, Matteo Costacurda ed altri soggetti inseriti nel mondo della destra estrema" facendo riferimento "ad una ipotesi relativa alla sussistenza di una associazione per delinquere che aveva come finalità quella di commettere delle rapine in una prospettiva di autofinanziamento di soggetti appartenenti al mondo della destra estrema".
A 'Nessuno Tocchi Caino' ha aderito anche Rainaldo Graziani, il quale ha ricostruito il centro studi Ordine Nuovo, a cui aveva dato origine negli anni '60 suo padre Clemente Graziani insieme a Pino Rauti. Graziani era già stato contattato da Report nel 2019 mentre organizzava un tour in Italia per l’ideologo del nazionalismo russo Aleksandr Dugin.
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