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La lotta alla Mafia passa anche dal corretto utilizzo delle parole: non è un problema linguistico, ma culturale, che chiama in causa direttamente le nostre coscienze. La prima, la più importante, è proprio la parola “mafia” che, a fasi alterne, nella storia di questo nostro Paese sembra essere più o meno di moda, a tratti sdoganata altre volte quasi di cattivo gusto o, addirittura, lesiva di un certo amor patrio.
Anche le sentenze, quelle che fanno più notizia, sembrano influire sull’utilizzo della parola mafia: è come  se la dimensione del giudizio penale autorizzasse o meno a parlare di mafia, addirittura mettendone in discussione la stessa esistenza e derubricandola a organizzazione vagamente strutturata di malavita di basso rango.
Oggi ricorre il 45esimo anniversario della barbara uccisione (per mano mafiosa!) di Peppino Impastato, il rivoluzionario e giornalista, nonché militante politico ,che proprio sull’utilizzo di una comunicazione diretta , senza fronzoli, ironica e graffiante al punto giusto, aveva messo a punto una delle sue armi più potenti nella lotta alla mafia, rappresentata da Don Tano (Seduto) Badalamenti in quel di Cinisi, lo stesso  mafioso che lo condannerà a morte il 9 maggio del 1978.
I neologismi coniati da Peppino Impastato a Radio Aut, attorno alla parola Mafia, hanno fatto la storia: “Mafiopoli” una per tutte! Onda pazza, la sua trasmissione , andava in onda ogni venerdì sera condotta dallo stesso Peppino con accanto ora questo ora quel compagno a fargli da spalla. In Onda pazza Peppino oltre a non risparmiare la denunzia dei misfatti della mafia sublimava la sua capacità di satira facendo dell'ironia l'arma principale.
Storicamente, gli episodi che, rispetto al tema “parola mafia”,  hanno fatto scuola, sono diversi e di alto spessore.
Il Cardinale Ernesto Ruffini, eminenza grigia delle Chiesa siciliana,   in una lettera  Pastorale dal titolo "Il Vero volto della Sicilia" che licenziò dal Palazzo vescovile con la data 27 marzo "Domenica delle Palme" 1964, sentenziava che la mafia non era precisamente la cattiva pianta le cui "cosche" lottavano ferocemente per spartirsi la città, ma era soltanto il nome che una pubblicistica denigratrice continuava a dare a una forma associativa di delinquenza uguale a quella del resto d' Italia. Per il cardinale i mali della Sicilia erano “Il Gattopardo, Danilo Dolci e la Mafia”, sulle ragioni dei primi due nomi possiamo anche affidarci alla immaginazione del lettore, o meglio alla sua fantasia, mentre la mafia, o meglio il parlare di mafia,- sempre nelle dissertazioni sociologiche del cardinale- danneggiava l’immagine della Sicilia: quindi al tempo stesso se ne negava l’esistenza e si accusava chi in realtà la mafia, quella vera, la combatteva a proprio rischio e ogni giorno.
E come dimenticare una ‘altra pagina memorabile, quella scritta da un giovane, e allora sconosciuto, Salvatore Cuffaro, quando sul palco del Maurizio Costanzo Show, il 26 settembre del 1991, davanti a Giovanni Falcone sentenziò: “c’è in atto una volgare aggressione alla classe dirigente migliore che abbia la Democrazia cristiana in Sicilialavete costruita sapientemente perché avete bisogno di delegittimare le persone migliori che abbiamo, perché questa Sicilia vada sempre più in fondo!” E non contento aggiunse: dovrete rispondere del danno che avete fatto alla Sicilia e delle cose infamanti che avete fatto alle persone migliori”.
Lui di certo rispose, ma  alla giustizia italiana , molti anni dopo, quando con sentenza definitiva di condanna a sette anni, andrà in carcereper favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra e rivelazione di segreto istruttorio.
Insomma, tutto molto pittoresco e surreale, se non fosse tragico!
Non vorremmo, a questo punto, che anche la recente sentenza del giudizio supremo della giustizia italiana rispetto alla Trattativa Stato Mafia, inducesse, quasi autorizzandoci, ad utilizzare meno la parola Mafia. Non è così: la mafia esiste, purtroppo, prolifera nonostante gli sforzi e le vittorie delle forze dell’ordine, della magistratura, nonostante le conquiste della società civile, non dimentichiamolo! Facciamolo oggi, ricordando Peppino ed il suo estremo sacrificio, facciamolo sempre, ricordandoci di dovere lottare nell’essere donne e uomini liberi.

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