Parigi, Kazakistan, gli affari a Londra poi Corleone, tutti i viaggi e le fortune “non sempre riuscite” della famiglia del capo dei capi
Dopo la morte del boss di Cosa nostra, Totò Riina, avvenuta in carcere nel 2017, non sono passati inosservati gli spostamenti della sua prole. Lucia Riina, arrivata a Parigi nel 2018, decide di lasciare la Francia insieme a suo marito Vincenzo Bellomo dopo solo due anni e poco dopo aver inaugurato il ristorante “Corleone by Lucia Riina”, chiuso dopo essere stato travolto dalle polemiche. Dopo qualche tempo trascorso in Kazakistan, i coniugi Bellomo decidono di tornare a Corleone. All’inizio di quest’anno anche Salvo Riina, terzogenito del “capo dei capi”, dopo aver scontato nel 2008 una condanna a 8 anni per associazione mafiosa ha fatto il suo ritorno a Corleone. Dalle indagini che hanno preceduto la condanna è emersa l’intenzione di Salvo Riina di riorganizzare una cosca mentre intratteneva rapporti con la “Palermo bene”. Oggi, Riina junior si sarebbe dedicato alla scrittura, come riporta La Repubblica in un articolo a firma di Salvo Palazzolo. All'interno del suo “Riina Family life” ha infatti raccontato la sua famiglia ribadendo quello che ai molti potrebbe sembrare scontato: “Quello che sono diventato lo devo ai miei genitori - ha scritto Riina - che non mi hanno fatto mancare nulla”. Maria Concetta Riina e suo marito Tony Ciavarello si sono invece trasferiti dalla Puglia a Malta, luogo dove sarebbe rimasto per qualche tempo anche Salvo Riina. I vari spostamenti accompagnati da altrettanti vicissitudini imprenditoriali hanno acceso un faro anche su Bellomo e Ciavarello; al punto tale che anche il giornalista del quotidiano “La Repubblica”, Salvo Palazzolo, si è chiesto: “Ma cosa hanno fatto Bellomo e Ciavarello nei loro soggiorni all'estero?”. Ufficialmente - ha scritto Palazzolo -, “sembra che il primo abbia lavorato come operaio addetto alla manovra di pale meccaniche, il secondo gestiva fino al 2019 delle società nel settore dei ricambi d'auto, poi sequestrate e confiscate dai carabinieri del Ros”.
Occorre precisare che la parte più interessante riguardo ai generi di Riina passa dalle dichiarazioni rilasciate nel 2014 ai magistrati di Palermo dall’imprenditore Lorenzo Cimarosa: cugino acquisito del boss stragista Matteo Messina Denaro. “Nel dicembre scorso - ha raccontato Cimarosa - il titolare di una concessionaria di Corleone, Peppe Tufanio, mi disse che uno dei generi di Riina aveva cercato di mettersi in contatto con il latitante tramite il capomafia di Mazara del Vallo, Vito Gondola. E questi gli aveva risposto che Messina Denaro non poteva incontrarlo”. Una circostanza particolare che suscita inevitabilmente alcune domande: “Chi era il genero di Riina che cercava il superlatitante? - si chiede Palazzolo - E perché?”. Il giornalista di Repubblica ha notato alcune correlazioni con le intercettazioni in carcere di Salvatore Riina eseguite durante le indagini sulla trattativa Stato-mafia: “Se recupero pure un terzo di quello che ho, sono sempre ricco. Una persona responsabile ce l'ho - ha precisato Riina durante l’intercettazione - ed è Messina Denaro”. Parole che lasciano immaginare che al “capo dei capi” potesse servire uno o più sodali, magari, nel tentativo di recuperare alcune proprietà citate durante le intercettazioni. “Forse uno dei due generi di Riina - ha scritto Palazzolo -. Anni fa, i poliziotti del Servizio centrale operativo pedinarono Lucia Riina e suo marito sino in Svizzera. Per fare cosa?”.
Ciavarello e Bellomo sono infatti noti per la loro vocazione verso gli affari. All’interno di un pizzino scoperto dalla polizia nel 2006, Bernardo Provenzano in persona si era rivolto al boss Salvatore Lo Piccolo per raccomandare Bellomo. "Per quanto riguarda Vincenzo Bellomo ora mi interesso subito - ha risposto il boss - per raccomandarlo alle persone che Lei ha indicato”. Nello stesso periodo l'imprenditore Paolo Sgroi ha ammesso che "una persona, la stessa che viene a prendere i soldi del pizzo, mi comunicò la visita di un certo Bellomo, per vedere se lo potevo aiutare. Effettivamente venne, parlammo due minuti, poi fornì alla Sisa tre prodotti per la pulizia". Si trattava infatti di Vincenzo Bellomo che in quel periodo lavorava come rappresentante presso l’azienda di proprietà dello zio materno. Tony Ciavarello è stato invece condannato per truffa finendo per questo ai domiciliari. Subito dopo, Maria Concetta Riina ha scritto un post su Facebook in difesa di suo marito: “È stato vittima dei veri truffatori che lo hanno usato per i loro sporchi affari. Sono i Riina le vere vittime”. Pochi anni dopo, nel 2009, un altro annuncio diramato via social da Maria Concetta Riina ha ribadito la posizione difensiva della famiglia Riina, questa volta, dopo i controlli eseguiti dalla Guardia di finanza sulla loro azienda di servizi londinese: “Chi abbiamo truffato? Abbiamo aperto a Londra perché qui nessuno ci fa lavorare”.
Foto © Shobha
ARTICOLI CORRELATI
Il curioso ritorno di Salvo Riina a Corleone
Ristorante Lucia Riina a Parigi, tolto il nome dall'insegna
Confiscati beni per 1,5 milioni a eredi del ''Capo dei Capi''