Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

giletti dedonno 5marzo cop

Quello di via Bernini non era il vero covo di Riina.

"Ce lo hanno raccontato tutti i pentiti e i collaboratori di giustizia. È chiaro che quello era il covo di Salvatore Riina".

Il vero archivio di Riina è stato preso, era un sacchetto di pizzini sequestrato al momento dell'arresto.

"Non è vero neanche questo. Vennero trovati alcuni bigliettini e alcuni numeri di telefono".

Così a 'Non è l'Arena', il programma condotto da Massimo Giletti, l'ex pm di Palermo e ora avvocato Antonio Ingroia sulla ricostruzione detta dell'allora colonnello dell'Arma Giuseppe De Donno (mai indagato né imputato nel processo per la mancata perquisizione del covo di Riina) nel 2013 nell'aula magna dell'Università di Chieti.


giletti ligotti int


Durante la trasmissione è intervenuto anche il legale Luigi Li Gotti, il quale ha detto che l'allora capo di Cosa Nostra aveva "una cassaforte in casa proprio per tenere questa documentazione. Non venne trovato nulla nella cassaforte perché era stata aperta da mani esperte che hanno rimosso la serratura".

"Quello che lascia sconcertati - ha ricordato - è che il colonnello De Donno disse che fu filmato per settimane l'ingresso di via Bernini. Dove sono questi filmati? Perché da questi filmati può venire fuori chi entrava, chi usciva e chi riceveva. E allora De Donno deve dire dove sono questi filmati".

Ricordiamo che l'ufficiale del Ros aveva fatto pervenire una replica all'Adnkronos, nella sera di martedì 28 febbraio. Nello specifico aveva detto di aver sicuramente fatto "confusione tra le attività di osservazione su imprenditori come i Ganci, durate molto tempo, e quelle svolte su via Bernini dove erano coinvolti gli imprenditori Sansone, e durate un paio di giorni. In quel comprensorio insistevano una serie di villette, in una delle quali abitava il boss e la sua famiglia e dove ribadisco, a mio giudizio, non credo ci fosse il 'covo' di Salvatore Riina".

Ma anche in questa ricostruzione vi potrebbero essere eventualmente delle falle.


giletti ultimo 50323


Sul punto la trasmissione di Giletti ha offerto un punto di riflessione in merito alle ‘osservazioni’ sui Ganci "durate molto tempo": il Capitano Ultimo, Sergio De Caprio, rispondendo ad un interrogatorio dell'allora pm Ingroia aveva dichiarato che "avevamo il problema di individuare proprio dove abitava Ganci Raffaele. Ci siamo stati un mese per individuare dove abitava e l'abitazione era in via Corpo di Guardia sotto Monreale. Il problema nostro era che lì non si prestava proprio a svolgere un’osservazione sistematica e quindi tutta la nostra attività era stata condizionata dalla saltuarietà attraverso la quale eravamo riusciti a verificare il Ganci Raffaele. Perché non si poteva stare fissi ad osservare questa casa". Perché "la casa era messa in una situazione tale che se avessimo messo un furgone fisso lì saremo stati individuati. Quindi sarebbe stato pericoloso per il personale ma soprattutto saremmo stati individuati dalla persona che dovevamo seguire. Abbiamo fatto infatti pochi pedinamenti su Ganci Raffaele".

Certamente non vi è ancora nulla di totalmente definito, tranne le parole della sentenza in merito alla mancata perquisizione del covo di Riina.


giletti dedonno ingroia 050322


Quest'ultima era stata giustificata da Sergio De Caprio e Mario Mori - entrambi assolti nel 2005 dall'accusa di favoreggiamento a Cosa Nostra perché "il fatto non costituisce reato" - dalla volontà di non “bruciare” il covo e la neo-collaborazione del pentito Baldassarre Di Maggio.

Sempre la sentenza ha già confutato la motivazione, data al tempo da Ultimo sullo scarso interesse investigativo del covo ritenendo che all'interno non vi fossero documenti importanti. I giudici sulla mancata perquisizione del covo hanno scritto chiaramente: "La posizione apicale del Riina, ai vertici dell'organizzazione criminale, ben poteva far ritenere che lo stesso conservasse nella propria abitazione un archivio rilevante per successive indagini su 'Cosa nostra' e, tenuto conto che la di lui famiglia era rimasta in via Bernini, poteva di certo ipotizzarsi che altri sodali, aventi l'interesse a mettersi in contatto con la stessa, vi si recassero. Al di là di queste argomentazioni di carattere logico, il fatto che il Riina fosse stato trovato, al momento del suo arresto, in possesso di diversi 'pizzini', ovvero di biglietti cartacei contenenti informazioni sugli affari portati avanti dall'organizzazione, con riferimento ad appalti, alle imprese ed alle persone coinvolte, costituisce un ulteriore preciso elemento, in questo caso di fatto, che vale a rendere la condotta contestata agli imputati oggettivamente idonea ad integrare il reato".


giletti ingroia int 1


E poi ancora: "Le argomentazioni difensive riferite sul punto, secondo le quali si riteneva che il latitante non conservasse cose di rilievo nella propria abitazione, perché 'il mafioso' non terrebbe mai cose che possono mettere in pericolo la famiglia, appaiono fondate su una massima di esperienza elaborata dagli stessi imputati ma non verificata empiricamente ed anzi contraddetta dalla risultanza offerta proprio dal materiale rinvenuto indosso al boss. Pertanto, già il 15.1.93, sussisteva la concreta e rilevante probabilità che esistesse altra documentazione in via Bernini; probabilità che è stata confermata in dibattimento dal Brusca e dal Giuffrè, secondo cui Salvatore Riina era solito prendere appunti, teneva una contabilità dei proventi criminali, annotava le riunioni e teneva una fitta corrispondenza sia con il Provenzano che con altri esponenti mafiosi, per la 'messa a posto' delle imprese e la gestione degli affari”.


giletti dedonno ledwall


Come già ricordato i giudici della 3°sezione del Tribunale di Palermo, pur mettendo in luce le diverse pecche operative, assolsero i due ufficiali Mori e De Caprio con queste conclusioni: "Al di là delle, in più punti, confuse (v. dichiarazioni sulla asserita non importanza dell'abitazione ove il latitante convive con la famiglia, perché non vi terrebbe mai cose che possano compromettere i familiari) argomentazioni addotte dagli imputati, che sono sembrate dettate dalla logica difensiva di giustificare sotto ogni profilo il loro operato, deve valutarsi se quei comportamenti omissivi valgano ad integrare un coefficiente di volontà diretta ad agevolare 'Cosa nostra' (…) L'omissione della comunicazione all'Autorità Giudiziaria della decisione, adottata dal cap. De Caprio nel tardo pomeriggio del 15 gennaio stesso, di non riattivare il servizio il giorno seguente, e poi tutti i giorni che seguirono, è stata spiegata dal col. Mario Mori, nella nota del 18.2.93, con lo 'spazio di autonomia decisionale consentito' nell'ambito del quale il De Caprio credeva di potersi muovere, a fronte delle successive 'varianti sui tempi di realizzazione e sulle modalità pratiche di sviluppo' delle investigazioni che si intendeva avviare in merito ai Sansone, una volta che i luoghi si fossero 'raffreddati’”.

Guarda la puntata: la7.it

ARTICOLI CORRELATI

'Non è l'Arena': nuovo filmato solleva dubbi sulla cattura di Salvatore Riina

L'arresto di Totò Riina: fu davvero un atto ''eroico''?

Ultimo e le assurde giustificazioni sulla non perquisizione del covo di Riina

Ridate la scorta ad ''Ultimo''. Ma le domande restano aperte

Processo Stato-mafia: dal covo di Riina al mancato blitz contro Provenzano

“Capitano Ultimo”, è tutto oro quello che luccica?

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos