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"Non posso essere certo, ma... perché non ricordo perfettamente, ma penso, penso, che almeno inizialmente sia venuto Andrea Bonafede, 'il pelato'. Penso, non lo posso dare per certo. Mi ha esibito una... il referto di una colonscopia". Così Alfonso Tumbarello, medico di Campobello di Mazara accusato di aver curato il boss Messina Denaro durante la latitanza, si è difeso davanti al gip dopo l'arresto per concorso esterno in associazione mafiosa e falso. L'interrogatorio reso al giudice è stato depositato davanti al tribunale del Riesame. Secondo la Procura di Palermo il dottore avrebbe prescritto farmaci e cure per due anni al capomafia intestando la ricetta al geometra Andrea Bonafede, il suo assistito che aveva prestato l'identità al capomafia, sapendo benissimo che il vero paziente era il padrino trapanese e che il vero Bonafede era perfettamente sano. Accuse che Tumbarello, il cui ricorso contro il carcere è stato ieri respinto, ha sempre negato dicendo di aver ricevuto il geometra una volta e di aver appreso da lui stesso che aveva un cancro al colon. Tumbarello ha poi raccontato di aver consegnato al cugino e omonimo di Bonafede le prescrizioni necessarie alle cure per il tumore e di non aver più visto il geometra. Al giudice che gli chiedeva quale spiegazione gli veniva data al fatto che il paziente mandava il cugino a ritirare le ricette, Tumbarello ha risposto: "Mi è stata data la spiegazione che (il geometra Andrea Bonafede ndr) non voleva fare sapere niente a nessuno, in special modo ai suoi familiari, della sua patologia, di questa sua patologia importante, e siccome anche gli altri familiari erano pure assistiti miei, non voleva incontrarli nello studio".
"D'altronde - ha spiegato al giudice - il segreto professionale è la base principale della serietà professionale". Insomma, dopo aver visto la diagnosi di cancro, Tumbarello per due anni avrebbe seguito a distanza senza visitarlo Bonafede (in realtà Messina Denaro), a prescrivergli esami e farmaci "sulla base delle indicazioni di uno specialista oncologo che mi richiedeva di fare degli altri accertamenti". "Ma non chiedeva a Bonafede di venire allo studio?" gli ha chiesto il gip. "Io l'ho sollecitato diverse volte, così come l'ha sollecitato diverse volte la mia segretaria, ma le risposte erano sempre le stesse. 'Non vuole fare sapere niente a nessuno, specialmente ai familiari, di questa patologia", ha risposto.

L'interrogatorio di Andrea Bonafede
"È stata soltanto una bomba che è scoppiata e siamo qua e basta, cioè, dopo il 16 gennaio tutto è stato limpido e chiaro, tutto si è messo, come si suol dire, alla luce del sole". Sono le parole dette al gip da Andrea Bonafede ora in carcere con l'accusa di aver fatto avere al capomafia, ammalato, ricette e prescrizioni fatte dal medico del paese, Alfonso Tumbarello. Al giudice l'indagato ha assicurato di non aver mai saputo che il vero destinatario dei documenti medici fosse il capomafia. "Perché non è andato dai carabinieri dopo l'arresto di Messina Denaro?", gli chiede il gip. "Anche per paura sinceramente... Uno cerca di continuare a fare la sua vita in maniera coerente, mi aspettavo di essere chiamato sinceramente, anche lo stesso giorno o l'indomani, sono passati praticamente quattordici giorni, quindici giorni, e non mi aspettavo di essere arrestato, completamente, per me era una cosa impensabile questa", ha risposto. Agli inquirenti l'indagato ha raccontato di essere stato incaricato dal cugino di prendere le ricette al suo posto perché non voleva far sapere di essere malato. "Ma il dottore non le chiedeva perché non andasse allo studio il suo assistito?" gli ha chiesto il giudice. "No, perché era stato avvertito da lui", ha risposto. Una argomentazione che cozza con quanto riferito da Tumbarello che ha sempre raccontato che fu l'impiegato comunale a dirgli che si occupava lui di prendere le ricette perché il cugino non voleva far sapere che stava male.

Foto © Emanuele Di Stefano

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