La procura vuole capire come faceva il boss a permettersi una latitanza da 15mila euro al mese
I pm che hanno coordinato l'indagine che ha portato alla cattura del superboss Matteo Messina Denaro stanno dando la caccia ai finanziatori della sua latitanza e vogliono capire come i soldi arrivassero al padrino di Castelvetrano che riusciva a mantenere un tenore di vita elevatissimo. Addosso al capomafia il giorno dell'arresto sono state trovate delle carte di credito riferibili a conti correnti intestati ad alias sui quali, però, non ci sarebbero state disponibilità tali da consentirgli le spese - fino a 15mila euro al mese - abitualmente sostenute. L'ipotesi è che le somme siano state di volta in volta consegnate al boss nel covo in cui si nascondeva, a Campobello di Mazara. Ma chi portava materialmente il Denaro? E da dove arrivava quel fiume di soldi? Si indaga nella cerchia stretta dei favoreggiatori storici e della famiglia del capomafia. La Procura sta effettuando indagini anche patrimoniali per cercare di capire se dietro i finanziamenti ci fossero attività formalmente lecite gestite da prestanome o se i soldi arrivassero dalle estorsioni e da attività illecite.
Ricorso contro il carcere del medico massone
Intanto sono state fissate a venerdì prossimo, 24 febbraio, le udienze davanti al tribunale del Riesame di Palermo in cui si deciderà delle istanze di scarcerazione del medico Alfonso Tumbarello, che ha avuto in cura per oltre due anni il boss Matteo Messina Denaro durante la latitanza, e di Andrea Bonafede, cugino e omonimo del geometra di Campobello di Mazara che ha prestato l'identità al capomafia. Tumbarello è stato arrestato per concorso esterno in associazione mafiosa e falso ideologico, Bonafede per procurata inosservanza della pena e favoreggiamento aggravati. Secondo i pm Piero Padova e Gianluca De Leo, Bonafede si sarebbe occupato di ritirare le prescrizioni di farmaci ed esami clinici fatte da Tumbarello a nome del cugino, di consegnare al medico la documentazione sanitaria che di volta in volta il boss riceveva durante le cure, contribuendo così a mantenere segreta la reale identità del "paziente" e consentendogli di proseguire la latitanza. Tumbarello, invece, avrebbe assicurato a Messina Denaro l'accesso alle cure del Servizio Sanitario Nazionale attraverso un percorso terapeutico durato oltre due anni, con più di un centinaio di prescrizioni sanitarie e di analisi (o richieste di ricovero) intestate falsamente al geometra Andrea Bonafede, mentre in realtà a beneficiarne era il capomafia, assistito personalmente e curato dal dottore. Tumbarello avrebbe così garantito al padrino non solo le prestazioni necessarie per le gravi patologie di cui soffriva, ma anche la riservatezza sulla sua reale identità, e dunque gli avrebbe consentito di continuare a sottrarsi alla cattura e di restare a Campobello di Mazara a capo dell'associazione mafiosa.
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