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In aula sentiti i collaboratori di giustizia Antonino Avitabile, Calogero Ganci, Marco Favaloro e Antonino Patti

Avevo sentito dell’omicidio Agostino, una brutta storia. Qualcuno mi disse che era stato ucciso per motivi di Cosa Nostra… Là parliamo di un livello alto…”. A parlare è il collaboratore di giustizia Antonino Avitabile (classe ’67), intervenuto stamani in video collegamento da sito riservato durante l’udienza del processo per l’omicidio del poliziotto Nino Agostino che si svolge a Palermo con imputati il boss dell’Acquasanta Gaetano Scotto (accusato di omicidio) e Francesco Paolo Rizzuto (l’amico dell’agente, accusato di favoreggiamento). Questa mattina Avitabile è stato sentito insieme ad altri tre collaboratori di giustizia convocati dall’avvocato di parte civile Calogero Monastra. Nello specifico: Marco FavaloroCalogero Ganci e Antonino Patti. Tutti ex mafiosi che (fatta eccezione per Patti) sono gravitati attorno alla galassia del mandamento di Resuttana, e quindi della potente famiglia Madonia, il cui vertice, Nino Madonia, è stato condannato in primo grado per il delitto nel processo che si svolge in abbreviato. Avitabile, sentito prima da Monastra e poi della procura generale rappresentata da Lia Sava e Umberto De Giglio, ha parlato della sua attività in Cosa Nostra e soprattutto dei suoi contatti con la famiglia dei Madonia e dei Galatolo avuti dagli anni ’80 fino al 1992, anno del suo arresto. “Fino a quel momento ero con la famiglia Madonia che era mandamento Resuttana”, ha ricordato.
Tra i Madonia avevo rapporti con Nino e intimamente con il fratello Salvatore”, ha aggiunto. Nino Madonia, però, ha fatto intendere il pentito, era quasi inarrivabile. “Era un personaggio di alto livello, prima di poter parlare con lui dovevo parlare con altri. Chi ci poteva parlare direttamente era solo Civiletti (Giuseppe, ndr) o i Galatolo che frequentavo insieme a Pino Guastella”. Si tratta di nomi, ha spiegato il teste, che facevano capo ai Madonia, per conto dei quali “io facevo estorsioni a costruttori e imprenditori”.
In quegli anni in cui estorceva denaro, il teste venne a sapere dell’omicidio del poliziotto Agostino. “Ne sentì parlare da mio padre (Pasquale Avitabile, ndr), da Giuseppe Civiletti e Nino Porcelli”. Ma non gli venne detto molto perché a quel tipo di informazioni, ha spiegato il pentito, “non ci arrivavo… anche per motivi di età… parliamo di un livello alto… non mi si facevano confidenze di queste informazioni. Dentro l’organizzazione non tutte le notizie circolavano liberamente”. E ha aggiunto: “Solo i vecchi sapevano di questi omicidi eccellenti”. Pasquale Civiletti però gli accennò genericamente che Agostino venne ammazzato perché “aveva sbagliato nei confronti della famiglia Madonia. Ma non mi disse il motivo. Le cose certe le sapevano loro, che erano ad altri livelli rispetto al mio”. E ancora. “Mio padre - ha raccontato il collaboratore di giustizia alla corte - mi disse che quelli che comandavano nella zona (il mandamento di San Lorenzo, che include anche Carini, luogo dell’omicidio, ndr) erano i Madonia. Io pensavo che il capo a San Lorenzo fosse Gambino (Giuseppe, ndr) ma mio padre mi disse che comandano “loro” Nino Madonia e “Zu Ciccio” (Francesco Madonia, padre di Nino, ndr). Dettano loro la legge. Si figuri che all’Arenella pure chi comandava erano i Madonia, quando arrivavano i Madonia erano tutti in soggezione. Per me e mio padre Cosa Nostra era la famiglia Madonia”. Il pentito ha anche parlato dell’imputato Scotto. “Conosco Gaetano Scotto, era molto vicino alla famiglia Madonia. Era una persona di gran rispetto, era un personaggio di alto livello. Mio padre mi disse che veniva molto rispettato e aggiunse che era una persona di certo calibro, era un uomo d’onore”. Il testimone ha aggiunto poi che Scotto (Avitabile lo ha chiamato “Tonino”) era in particolare “molto amico di Nino Madonia, camminavano insieme” e nel 1996 “seppi che Scotto aveva preso la reggenza di Resuttana”, feudo dei Madonia.


agostino nino e ilda casteluccio

L'agente, Nino Agostino, con sua moglie, Ida Castelluccio


La “mente” Madonia
Sempre di Madonia ha parlato un altro collaboratore di giustizia, Calogero Ganci, figlio del potente capo mandamento della Noce Raffaele Ganci (deceduto lo scorso giugno), uomo di fiducia di Totò Riina che partecipò alle stragi del 1992. Ganci, noto alle cronache, oltre perché figlio del “macellaio”, anche per aver confessato un centinaio di omicidi della famiglia e per essere stato il pedinatore del giudice Falcone, rispondendo alle domande dell’avvocato Monastra ha detto che Nino Madoniaera una persona molto apprezzata nell’organizzazione, sapeva organizzare e fare il capo”. Ma ha precisato di non sapere se avesse rapporti con i poliziotti o con i servizi segreti come sostengono altri collaboratori di giustizia del calibro di Francesco Di Carlo ed Oreste Pagano. “Non ne sono mai venuto a conoscenza”. A questo punto il procuratore generale Lia Sava ha riportato al testimone alcune considerazioni che fece ai magistrati il 12 giugno 1997. Prima della lettura del verbale, l’avvocato di Scotto, Giuseppe Scozzola, ha fatto muro dicendo trattarsi di mere considerazioni. Ma il presidente ha autorizzato la lettura perché trattarsi di “considerazioni fondate di un soggetto (Ganci, ndr) che conosceva le caratteristiche soggettive di Madonia”. Nello specifico in quel verbale si riportava: “Mi si chiede se i Madonia avessero allacciato rapporti con esponenti dei servizi, rispondo di non potere escludere che i Madonia, ed in particolar modo Nino Madonia, avessero un tale tipo di rapporti. Voglio precisare che Nino Madonia era molto intelligente con spiccate capacità di organizzatore in relazione ad attentati di notevole rilevanza con propensione a ricercare sempre nuove metodologie di esecuzione. Non posso nemmeno escludere che egli potesse avvalersi per l’esecuzione di attentati anche di persone estranee a Cosa Nostra”. Calogero Ganci ha ribadito di non trattarsi “di fatti specifici di cui sono venuto a conoscenza”. “Posso dirle però che Nino Madonia era molto, molto intelligente ma non saprei dirle altro, il resto sono mie considerazioni”. Di rapporti con Nino Madonia ne ha avuti anche Marco Favaloro, il terzo dei collaboratori di giustizia sentito questa mattina in aula bunker. Favaloro ha scontato il suo debito con la giustizia l’anno scorso dopo aver trascorso 30 anni in carcere per mafia e omicidi. “Io e i Madonia ci frequentavamo, sia Nino che Salvo”, ha detto all’avvocato Monastra. “Con loro ho partecipato ad alcuni omicidi”. “Ho conosciuto anche Gaetano Scotto - ha aggiunto. - L’ho frequentato quattro o cinque volte, faceva il costruttore. Aveva fatto un palazzo all’Arenella. Io frequentavo l’Arenella perché ero amico dei Fidanzati e frequentavo il bar del cognato dei Fidanzati”.


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Il legale della famiglia Agostino, Fabio Repici


Vicolo Pipitone, “l’ufficio collocamento di Cosa Nostra”
Favaloro, come anche gli altri testimoni di oggi, ha parlato di vicolo Pipitone, la famosa strada situata all’Acquasanta dove vivevano i Galatolo e dove si riunivano in gran segreto i vertici della Cupola (nello specifico le famiglie di Resuttana, Noce, San Lorenzo e Brancaccio) per prendere le decisioni più delicate e talvolta compiere qualche omicidio.
A Vicolo Pipitone, secondo il collaboratore di giustizia Vito Galatolo, sentito in aula un anno fa, “venivano uomini dei servizi segreti come Bruno Contrada e Giovanni Aiello (alias “Faccia da mostro”, ndr), ma anche il Questore di Palermo Arnaldo La Barbera”. Ma anche “agenti di Polizia come Nino Agostino ed Emanuele Piazza” che si suppone andassero a Fondo Pipitone sotto copertura per raccogliere informazioni sui latitanti. Favaloro ha detto che a Fondo Pipitone ci andava più volte a settima, “capitava anche due volte al giorno”. “C’era un via vai di persone era come se fosse l’ufficio collocamento”, ha aggiunto il teste ridendo. “Alle riunioni non ho partecipato. Ho partecipato a un omicidio nella casetta a pian terreno assieme ai Galatolo, abbiamo ucciso Giuseppe Lauricella. In Vicolo Pipitone oltre ad incontri si svolgevano anche attività criminali”, ha spiegato.
In Vicolo Pipitone ho visto tanti mafiosi di tante famiglie ma nessun carabiniere, poliziotto o agente dei servizi. Lo avrei detto al tempo ai magistrati. Però si vociferava che c’era uno che aveva comprato un appartamento in una traversa di Vicolo Pipitone”. Si tratta di un immobile in “via Ammiraglio-Rizzo”. “Lo comprò Rosario Riccobono, capo mandamento di Partanna Mondello, a un poliziotto”, ha ricordato Favaloro. “Qualcuno si lamentò di questa cosa. Non so se era un poliziotto o un commissario”. Rispetto all’omicidio Agostino Favaloro ha detto di non aver saputo mai nulla e su Scotto, seppur confermando di averlo conosciuto, Favaloro ha detto di non averlo mai visto a Vicolo Pipitone. A parlare dell’ex scannatoio della mafia questa mattina è stato anche Ganci.
Nella seconda metà degli anni ’80 andavamo a Vicolo Pipitone una volta a settimana o una volta al mese dipende cosa dovevamo fare. Potevamo stare lì mezze giornate o giornate intere”, ha ricordato. “Mio padre (Raffaele Ganci, ndr) frequentava Vicolo Pipitone, a volte andavamo assieme oppure lui andava con Salvatore Cancemi che era il sostituto del mandamento di Porta Nuova”. E alla domanda delle parti se avesse mai visto soggetti estranei a Cosa Nostra entrare nella strada o addirittura soffermarsi, il collaboratore di giustizia ha detto di non ricordarlo. E ha poi negato di aver visto “un soggetto con una faccia deturpata con una cicatrice - cioè Giovanni Aiello, l’ex poliziotto che si presume coinvolto nel delitto Agostino - Non ho mai sentito parlare di lui. Nemmeno in televisione”. Lo stesso ha detto anche Favaloro: “Al vicolo non ho mai visto una persona con viso sfregiato”. L’udienza è stata rinviata al 23 febbraio.

Foto © Emanuele Di Stefano

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