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Le indagini degli inquirenti continuano senza sosta non solo sulla rete di fiancheggiatori, ma anche sul tesoro del boss

Matteo Messina Denaro è un boss “sui generis”. La bella vita, la passione per il lusso, lo stile di vita raffinato e a tratti colto, ma anche viaggi all’estero. Spagna, Tunisia, Albania e Montenegro. L’ex superlatitante di Cosa nostra non è sempre stato a Campobello di Mazzara. È quello che stanno ricostruendo gli investigatori, mettendo insieme vecchie e nuove informazioni sul capomafia arrestato lo scorso 16 gennaio dopo trent’anni di latitanza. Come ricostruisce la giornalista Lara Sirignano dell’Ansa, le piste dei magistrati, oltre alla Sicilia e alla Calabria, portano in diverse parti del mondo, appunto. Viaggi e lunghe permanenze accomunate dalla droga: “follow the drugs”. Un business che, al pari delle scommesse clandestine, è in grado di portare flussi di denaro più utili al mantenere di una latitanza dorata come quella della “Primula rossa” di Cosa nostra. Si stimano 150 milioni di euro l’anno.

Se la penisola iberica è un paese che il capomafia conosce fin dal 1994, quando si fece visitare al centro di oftalmologia Barraquer di Barcellona, le piste che lo collocano in Tunisia e Albania sono molto più recenti. In entrambi i casi ad attirare il boss sarebbe stato il mercato degli stupefacenti e del contrabbando: è ormai accertato in più inchieste che quintali di tabacchi lavorati esteri arrivino in Sicilia dal Nordafrica nascosti tra le casse di pesce trasportate dai pescherecci che attraversano il Canale di Sicilia. In Albania Messina Denaro avrebbe mandato un ambasciatore Luca Bellomo, marito della nipote Lorenza, per poi andare di persona per stringere, dicono gli investigatori, rapporti con esponenti delle istituzioni e dell’imprenditoria. Nell’ultimo viaggio avrebbe fatto anche una puntata in Montenegro per giocare al casinò.

Viaggi per affari, dunque tutti da ricostruire. Così come vanno analizzati i biglietti aerei rinvenuti nel covo di Campobello di Mazara intestati ad Andrea Bonafede per capire ancora se a viaggiare sia stato il latitante o il prestanome. Ciò che è certo è che la malattia ha messo un freno. Appresa la diagnosi del cancro, che secondo gli investigatori gli sarebbe stata fatta in Sicilia, il boss ha fatto rientro nel trapanese, a Campobello, dove poteva godere di una rete sicura di favoreggiatori, ma non solo. Il boss avrebbe scelto di morire vicino alla sua famiglia, come fece suo padre. E di trascorrere gli ultimi anni allentando la maniacale cautela del passato: le cene, le amiche, gli spostamenti.

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