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Il 30 novembre 1982, il capo dei capi di Cosa Nostra Salvatore Riina, arrivato da Corleone, aveva organizzato una grande cena trappola a San Giuseppe Jato, quella sera furono strangolati il suocero di Michele Micalizzi (in foto), il capomafia Rosario Riccobono (capomafia di Partanna Mondello) poi anche suo fratello Salvatore, il cognato Salvatore Lauricella e il padre Giuseppe. Alla stessa ora, Michele Micalizzi era riuscito a salvarsi la vita: scampato ad un agguato al bar Singapore Two di via La Marmora.
Da quel momento, da elemento di spicco della Cupola fondamentale nel campo del narcotraffico con gli Stati Uniti d'America, divenne uno "scappato".
Ma i tempi mutano e le vecchie scomuniche decadono.
Dal 2019, Come riportato dal collega Salvo Palazzolo su 'Repubblica', il boss è ritornato a vivere stabilmente in Sicilia, dove gestisce il patrimonio dei Riccobono, che la giustizia ha restituito agli eredi nel 2008, per un vizio di forma.
Certamente il suo "rientro" non è passato inosservato e il suo curriculum giudiziario lo conferma: una pena conclusa nel 2015 dopo la condanna a 20 anni e 8 mesi per omicidio e associazione a delinquere. L'affidamento ai servizi sociali e la sorveglianza speciale per due anni, a Firenze.
La sua storia è quella di quei boss che sono tornati a gestire affari criminali dopo avere scontato il loro debito con la giustizia. Nel 2017 Micalizzi, a dimostrazione che i mafiosi non escono mai dal giro a meno che non intraprendano la collaborazione con la giustizia, era stato registrato dai carabinieri mentre indagavano sulla trattativa per la vendita di un famoso bar del centro. Una vicenda in cui erano coinvolti un politico locale e due mafiosi siciliani. Micalizzi non era indagato ma dalle intercettazioni emergevano comunque gli investimenti che lo stesso aveva fatto nel settore dell'edilizia.
Del resto in tanti anni il "tesoro" che fu di Riccobono non è stato mai toccato, così come quello di Micalizzi che a Palermo si è incontrato proprio con il vecchio boss Tommaso Inzerillo, nel quartiere di Passo di Rigano.
In quei giorni, i poliziotti della squadra mobile stavano seguendo le mosse dei mafiosi arrivati dagli Stati Uniti. Ma di cosa parlarono all’epoca Micalizzi e Inzerillo? Fino ad ora non è ancora dato sapere.
Anche quell'incontro fu annotato dagli investigatori, così come la telefonata che ebbe con Giuseppe Corona, intraprendente cassiere di Cosa nostra arrestato nel 2018.
Ma non è solo Micalizzi ad essere tornato sulla scena palermitana.
Vi è anche Salvatore Marsalone, Peppuccio, 69 anni, il più fidato trafficante di droga al servizio di Stefano Bontate.
Questi due scarcerati eccellenti sono stati arrestati assieme ad altre tredici persone la scorsa notte. Le indagini sono state eseguite dai carabinieri del nucleo Investigativo, coordinati dalla procura diretta da Maurizio de Lucia e dal procuratore aggiunto Paolo Guido e dai sostituti Dario Scaletta e Federica La Chioma.
Dall'inchiesta è emersa la presenza ad un ingente traffico di droga dalla Calabria e dalla Campania.
In tre anni, i militari guidati dal tenente colonnello Salvatore Di Gesare hanno bloccato otto corrieri e sequestrato complessivamente quasi 500 chili di droga: cocaina e Hashish.
Nei rapporti si parla di summit da organizzare in luoghi sicuri, del ruolo dei calabresi (fornitori insieme ai napoletani di hashish, cocaina, marijuana e crack) che inondavano le piazze dello spaccio di Palermo, ma anche di Trapani e Licata.
Tra le pieghe dell'inchiesta si fa riferimento al punto di ritrovo degli organizzatori: il "Big Club Sport". Tra loro vi erano Giuseppe Marsalone, 50 anni, detto Francesco o Massimo, il padre Salvatore (detto Giuseppe o Peppuccio) e il figlio Giuseppe (indicati come affiliati alla cosca di Palermo centro); Michele Micalizzi e Grazia Pace, incensurata, legata a Giuseppe Marsalone.
Secondo i carabinieri e secondo la procura Antimafia è la Pace la persona ad essere stata più adatta a intrattenere i rapporti di affari con i trafficanti calabresi. Tuttavia il suo rapporto con Giuseppe Marsalone non è passato inosservato.
L'inchiesta è stata resa possibile anche grazie alle dichiarazioni di Danilo Gravagna e Angelo Casano i quali hanno fatto luce soprattutto sul ruolo chiave che ha avuto la famiglia Marsalone.
In particolare, i carabinieri sarebbero riusciti a identificare "un gruppo di narcotrafficanti dedito all'attività di importazione di stupefacenti di diverse qualità - si legge nell'ordinanza - che sarebbero stati convogliati da diverse regioni italiane sul territorio palermitano" dove "sarebbero stati distribuiti da una fitta rete di venditori al dettaglio, tutti posti sotto la direzione di Giuseppe Marsalone e del padre Salvatore e di Michele Micalizzi".
I trafficanti di un tempo avevano riproposto il “metodo” anni Settanta ai capi delle famiglie mafiose, da Brancaccio a Porta Nuova a Tommaso Natale: ognuno metteva una quota e poi i due vecchi boss gestivano gli investimenti.
Micalizzi e Salvatore Marsalone intanto continuavano a fare la bella vita: il primo nella sua bella villa di Partanna Mondello (dove è ai domiciliari) e il secondo (ora in carcere) nel suo attico da 400 metri quadrati nel palazzo di piazza Leoni al centro della denuncia delle sorelle Pilliu contro il costruttore Pietro Lo Sicco.
Ma cosa ha permesso alla vecchia guardia "perdente" di tornare a Palermo e ricominciare a gestire gli affari? Dopo la morte di Salvatore 'Totò' Riina nel 2017 è caduta la "scomunica" contro le vecchie famiglie perdenti i quali adesso, non solo Micalizzi e Marsalone, stanno tornando.

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