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Assieme all’autrice Francesca Bommarito ospiti anche Leonardo Guarnotta e l’attrice Sonia Bongiovanni che ha letto la prefazione di Nino Di Matteo

Un parco maestoso, un centinaio di giovani studenti e un libro scritto da una sorella ancora in cerca di verità e giustizia per il fratello ucciso dalla mafia nel lontano 1983. È questo l’humus che ha caratterizzato la prima presentazione a Palermo del libro “Albicocche e sangue” (Ed. Iod) di Francesca Bommarito celebrata stamane presso il parco di Villa Trabia. Un luogo incantevole, immerso nel verde, isolato dal frastuono della città, che ha accolto alcune classi di scuole superiori di secondo grado per ascoltare la testimonianza dell’autrice e dell’ex magistrato e membro del pool antimafia di Palermo Leonardo Guarnotta. A moderare il dibattito fra i due è stato Jamil El Sadi, giovane redattore di ANTIMAFIADuemila. A fare da cornice alla presentazione è stata l’arte teatrale degli studenti del Liceo Scientifico Statale "Ernesto Basile" di Palermo - che hanno messo in scena “Il Coraggio di Essere Liberi" a cura di Serafina Moncada (responsabile del progetto "LegalMente”) -, e la lettura della prefazione del libro scritta dal Consigliere togato al Csm Nino Di Matteo e interpretata dalla giovane attrice Sonia Bongiovanni, fondatrice del Movimento Our Voice.


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Una sorella in cerca di verità
Francesca Bommarito
, è la sorella dell’appuntato dei Carabinieri Giuseppe Bommarito, ucciso da Cosa nostra nella strage di via Scobar il 13 giugno 1983 a Palermo assieme al capitano Mario D’Aleo e al carabiniere scelto Pietro Morici. Il volume è un diario inchiesta con il quale l’autrice, oggi psichiatra e psicoterapeuta, ha ricostruito passo dopo passo quel triplice delitto che rientra nella guerra che Cosa nostra dichiarò allo Stato su cui però, per molti anni, è calata una nube densa di silenzio e disinteresse. Per molti, infatti, Giuseppe Bommarito - a differenza dei due colleghi militari - era morto “per caso”, ma per sua sorella no. Per quasi 40 anni ha cercato la verità in lungo e in largo, tra depistaggi e maldicenze. Ripescando carte giudiziarie, intervistando decine di persone - dall’Arma dei Carabinieri ai giornalisti e tanti altri -, indossando i panni di una detective e lottando con ogni mezzo per restituire dignità e rendere giustizia al fratello e alle vite spezzate quel terribile 13 giugno ’83. Una storia che, a distanza di quasi quarant’anni, trova spazio in un libro.


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Attraverso una minuziosa ricostruzione dei fatti, l’autrice ripercorre anni di dolore e ingiustizie, toccando i temi della lontananza dovuta all’emigrazione, dell’amore per la propria terra, del silenzio della società civile fino al suo risveglio, del senso del dovere di tanti carabinieri negli anni delle guerre di mafia. Arrivando alla conclusione che se mai una parte dello Stato è scesa a patti con la mafia, ci sono state persone coraggiose, come suo fratello Giuseppe, che hanno messo a repentaglio la propria vita per difendere questa terra rinunciando a ogni forma di trattativa. “Grazie a questo libro, e soprattutto alle numerose interviste che ho fatto per realizzarlo, ho compreso quanti misteri ci sono ancora dietro ad alcuni fatti di sangue - ha detto stamane Francesca Bommarito rivolgendosi ai rappresentanti dell’Arma presenti fra il pubblico -. C’è bisogno di un pentito di Stato. A partire dall’Arma dei Carabinieri che deve avere il coraggio di dire tutto ciò che sa su queste morti. E lo deve non solo per noi familiari, ma per i giovani a cui dobbiamo dare fiducia e per onorare la memoria di chi ha sacrificato la vita per questo Stato indossando una divisa. Dovete essere degni di indossare questa divisa. Costi quel che costi. Di questo ha bisogno la società, di vedere che voi siete al servizio della comunità”. Rivolgendosi poi ai giovani li ha invitati a “non mollare” e “non lasciarsi travolgere né dalla rabbia né dal dolore, ma di fermarsi, respirare e superare come ho fatto io, come hanno fatto tanti familiari di vittime innocenti delle mafie che vanno avanti per raccogliere la verità”. Ha partecipato all’evento anche Antonella Lorenzi, compagna del capitano D’Aleo, che si è detta "sorella di sangue e di Memoria” di Francesca Bommarito. Il suo primo intervento pubblico dopo quasi 40 anni dalla strage. Tornata a Palermo dall’isola d’Elba, un anno dopo il triplice omicidio, ha voluto continuare il contrasto alla mafia, proprio come D'Aleo, trasmettendo valori di legalità e cultura nelle scuole (per decenni è stata una docente), arricchendone il vocabolario perché, come ha detto la Lorenzi al pubblico, “chi conosce 2000 parole ha più strumenti di chi ne conosce 200”. Ritornare a Palermo, lasciandosi alle spalle la famiglia, era un modo per dare significato, un senso alle altre vittime di via Scobar e al sangue e alle albicocche rinvenute sul luogo della strage che poi hanno ispirato il titolo del libro in questione.


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Leonardo Guarnotta e il seme della legalità
Assieme all’autrice è intervenuto anche l’ex magistrato Leonardo Guarnotta il quale, oltre ad aver puntualizzato - con rammarico - i pericoli che incombono oggi sul fronte della lotta alla mafia viste le recenti elezioni politiche fortemente influenzate da politici condannati per reati di mafia, ha rivolto particolare attenzione ai giovani presenti trasmettendo loro il senso della legalità (guarda il video). “Con il termine legalità ci si può riferire a quel complesso di diritti e doveri, patrimonio inalienabile di ogni cittadino, cioè di ciascuno di noi, che permettano una vita serena a ciascun individuo all’interno di una società - ha spiegato Guarnotta -. Affinché tutto ciò si realizzi è necessario educare anzitutto i giovani, la società del futuro, alla cultura della legalità, il cui recupero passa dalla conoscenza e dall’affermazione di un principio inalienabile e cioè il consapevole esercizio dei propri diritti e del proprio dovere. E sarà proprio la pedissequa pratica quotidiana della cultura della legalità che consentirà ai nostri giovani di essere maestri di sé stessi, di essere padroni del proprio destino e di poter sentire il fresco profumo della libertà che ‘rifiuta l’olezzo dell’indifferenza, del compromesso, della contiguità e quindi della complicità’ per ricordare una delle più belle frasi di Paolo Borsellino. E tutto ciò avverrà se le nuove generazioni saranno capaci di fare ogni giorno il loro dovere, nonostante gli ostacoli, le avversità, le incomprensioni che inevitabilmente incontreranno nel loro cammino. E soprattutto se saranno in grado di farlo fino in fondo secondo l’insegnamento di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, il cui patrimonio ideale e culturale è pregno di valori fondanti, fondamentali, non negoziabili dei quali voi giovani vogliate essere portatori e interpreti nel vostro percorso formativo”. “A voi giovani va il mio affettuoso abbraccio - ha concluso Leonardo Guarnotta -, augurandovi un lungo cammino e soprattutto buona fortuna”.

Foto © Our Voice

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