Pubblicata la 2° relazione semestrale 2021: a Palermo comandano i vecchi boss, rischio incomprensioni con i più giovani. Confermata centralità dei rapporti con la mafia di New York
“Una mafia sempre più silente e mercantilistica” che privilegia “un modus operandi collusivo-corruttivo ove gli accordi affaristici non sono stipulati per effetto di minacce o intimidazioni ma sono il frutto di patti basati sulla reciproca convenienza”. A descrivere la struttura operativa della mafia siciliana di Cosa nostra è la Direzione Investigativa Antimafia nella seconda relazione semestrale del 2021 pubblicata qualche giorno fa sul sito del Senato. “Estorsioni, gestioni de gaming e traffico di stupefacenti si confermano come come primarie fonti di guadagno per la criminalità organizzata”, spiega la Dia. La criminalità organizzata siciliana “non mostra segni di cedimento la volontà di fare impresa penetrando la rete produttiva, commerciale e della distribuzione, nonché infiltrando le Amministrazioni pubbliche”. Nonostante la continua ed efficace azione investigativa delle Forze di polizia, osserva la Dia, che anche nel semestre in esame ha pesantemente indebolito alcune famiglie e condotto all’arresto di imprenditori e professionisti ritenuti intranei a cosa nostra, “le consorterie mafiose siciliane continuano a manifestare un’elevatissima resilienza ed un’ostinata volontà di riorganizzarsi. Tale caratteristica si realizza sia sul versante occidentale dell’Isola dove pur in assenza di un organismo decisionale di vertice, non ancora ricostituito, resiste una rigida struttura organizzativa, sia sull’assetto catanese ove le famiglie si confrontano con sodalizi meno strutturati ma non meno aggressivi stringendo all’occorrenza alleanze criminali finalizzate al raggiungimento di specifici obiettivi criminali”. Nel documento viene documentato che “la strategia mafiosa è tesa a rafforzare l’interlocuzione con professionisti ed ambienti istituzionali che, abbandonando il tradizionale ricorso a metodi cruenti per il controllo del territorio privilegiano ove possibile l’approccio corruttivo”. “L’azione spregiudicata e violenta del passato ha peraltro ceduto il passo alla necessità di adottare strategie silenti di contaminazione e di corruzione”, scrivono gli analisti. “Accanto al controllo del territorio che resta comunque un’esigenza primaria dell’organizzazione, il percorso intrapreso dalle mafie è quello di inserirsi nel panorama sociale ed economico di riferimento “coinvolgendo” la pubblica amministrazione attraverso la corruzione”. Inoltre si fa presente che “in questo scenario di stagnazione economico-produttiva che risente ancora della crisi pandemica e che aggrava le aspettative soprattutto della popolazione giovanile trovano terreno fertile le consorterie criminali che potrebbero infiltrare le risorse della Regione anche in considerazione dei fondi del PNRR destinati all’isola”. Sempre alta è l’attenzione nel contrasto “all’indebita percezione dei contributi comunitari per il sostegno allo sviluppo rurale. Frequenti sono le attività di contrasto all’attività criminale riconducibile alla c.d. mafia agricola nel contesto della quale si è delineata l’attività volta all’acquisizione di contributi pubblici per l’agricoltura a seguito di false dichiarazioni e frodi in danno dell’U.E.”. Nell’entroterra siciliano infatti, spiega la Dia, “il comparto agro-pastorale rappresenta il settore di traino per l’economia che di conseguenza attira l’interesse delle consorterie mafiose che si avvarrebbero di prestanome e professionisti compiacenti. Il fenomeno continua a manifestarsi in tutta la sua gravità interessando le aree agro-pastorali del cuore della Sicilia e deviando ingenti flussi finanziari che, di fatto, risultano sottratti al reale sostegno delle attività produttive ed allo sviluppo del comparto che è destinato a divenire sempre più marginale”. Queste, in particolare, “sono solo alcune delle manifestazioni di una ‘mafia affaristica’ che si avvale di società di comodo e di imprenditori compiacenti o assoggettati e che continua a confermare il proprio interesse su settori nevralgici per l’economia dell’Isola”.
Attività illecite: il quadro attuale
Ritornando al quadro di situazione attuale e ferma restando l’accertata pervasività delle attività illecite nel tessuto socio-economico tale da attingere finanche alcuni settori della Pubblica amministrazione “il traffico di stupefacenti, le estorsioni e la gestione del gaming restano tra le primarie fonti di guadagno”, segnala la Dia. In particolare l’analisi delle attività di contrasto ha confermato “la tendenza di accordi e convivenze delle organizzazioni mafiose siciliane che si rivolgono a clan in particolare alla ‘ndrangheta per l’acquisto della sostanza stupefacente. Le indagini non hanno evidenziato una particolare propensione al narcotraffico internazionale dei gruppi siciliani i quali piuttosto si rivolgono alle compagini ‘ndranghetiste o anche ai gruppi stranieri locali per l’approvvigionamento di grossi quantitativi da importare nell’Isola”, si legge nel documento.
“Anche nel semestre in corso è emerso infatti il coordinamento tra i mandamenti palermitani al fine di acquistare all’ingrosso sostanze stupefacenti dalle consorterie calabresi con i cui esponenti i contatti erano tenuti da un influente e anziano uomo d’onore di un mandamento palermitano. Questi dava prova di possedere un ramificato e ampio circuito relazionale con membri di diverse altre organizzazioni criminali”, spiegano gli analisti. E ancora. “Al pari di quello degli stupefacenti i fenomeni estorsivi proseguiti anche durante il periodo del lockdown e quello immediatamente successivo sembrano generalmente essersi solo di poco attenuati come evidenziato graficamente nel successivo capitolo 13 rappresentando una fonte di indiscutibile importanza per il sostentamento economico delle famiglie dei mafiosi e dei detenuti nonché un ottimo strumento di controllo e di condizionamento del contesto sociale. Un settore verso il quale la criminalità mafiosa dell’Isola mostra vivo interesse è quello dei giochi e delle scommesse in concessione dello Stato che genera elevati e rapidi guadagni a fronte di bassi rischi. La mafia continua ad investire consistenti capitali attraverso la gestione diretta o indiretta di società concessionarie di giochi e di sale scommesse o mediante l’imposizione di slot machine. Non solo cosa nostra ma più in generale la criminalità organizzata di tipo mafioso risulta attivarsi per assumere la gestione dei centri scommesse riuscendo a realizzare un controllo diffuso sul territorio di competenza nel mercato legale dei giochi e scommesse on line sfruttando società di bookmaker con sede formale all’estero”.
Invece, per quanto attiene al contrasto ai patrimoni mafiosi, “i risultati conseguiti in materia di attività preventiva attraverso i sequestri e le confische che colpiscono le consorterie mafiose nonché i soggetti collusi con cosa nostra hanno permesso allo Stato di limitare fortemente il potere economico mafioso”, appunta la Direzione Investigativa Antimafia. “L’attacco costante al patrimonio criminale organizzato, le numerose misure ablatorie e l’incessante attività interdittiva dei Prefetti nelle varie province incidono fortemente sugli sforzi di riorganizzazione della mafia siciliana indebolendone la sua naturale attitudine alla resilienza dimostrata nel tempo”.
Le roccaforti: Palermo, Catania, Trapani
Con l’ausilio di mappe illustrate, la Dia spiega quali sono le realtà mafiose nelle provincie dell’Isola, partendo dalle città di Palermo, Catania, Trapani e Messina dove storicamente le varie famiglie mafiose hanno maggiormente invaso il territorio. Facendo un quadro generale, la Dia afferma che “la criminalità organizzata siciliana si presenta con caratteristiche diverse nelle varie aree della Regione, in Sicilia occidentale cosa nostra si conferma strutturata in mandamenti e famiglie e improntata secondo schemi meno rigidi rispetto al passato per quanto riguarda la ripartizione delle competenze territoriali delle predette articolazioni mafiose”.
In particolare, molta attenzione viene data al capoluogo, Palermo, in cui la mafia locale risulta “un’organizzazione tendenzialmente unitaria impegnata in un continuo sforzo teso a riorganizzarsi e orientata verso la ricerca di una maggiore interazione tra le varie articolazioni mandamentali in considerazione dell’assenza di una struttura di raccordo di ‘comando al vertice’”. Tale difficoltà di ricostituire una leadership autorevole alimentata dalla continua, incisiva e pressante repressione giudiziaria, “determina inevitabilmente per cosa nostra una situazione di incertezza”, spiega la Dia. In tale ottica e “considerata la costante inoperatività della commissione provinciale di Palermo la direzione e l’elaborazione delle linee d’azione risultano esercitate perlopiù da anziani uomini d’onore detenuti o da poco tornati in libertà”. Riguardo all’architettura della consorteria si evidenzia che negli ultimi anni a Palermo la “competenza territoriale” dei mandamenti e delle famiglie è risultata meno rigida rispetto al passato variando in base a equilibri di potere e ai conseguenti accordi “inter-mandamentali”. Molto spesso si assiste quindi a un “prestito di manovalanza” tra i vari mandamenti palermitani. L’azione dello Stato volta a reprimere l’espansione mafiosa è frutto di un incessante monitoraggio del fenomeno strumentale alle numerose attività investigative eseguite. Tale aspetto “ha consentito nel tempo di confermare come i reati cardine sui quali si impernia l’azione mafiosa sono sempre i medesimi. Dall’imposizione del pizzo che permane ‘necessaria’ soprattutto per il sostentamento delle famiglie dei detenuti, al traffico di stupefacenti spesso condiviso con altre organizzazioni criminali sia nostrane che di etnia straniera. Dal riciclaggio attuato sempre più attraverso una vera e propria interazione con l’economia legale, all’infiltrazione nella Pubblica amministrazione in maniera tale da condizionare ovvero gestire l’iter procedurale in materia di appalti pubblici mediante episodi di corruzione che coinvolgono singoli cittadini, imprenditori e tecnici probabilmente allettati da facili guadagni”. Nella provincia, Ii settori più colpiti dal fenomeno “sono principalmente gli appalti pubblici e il subordinato ciclo dei rifiuti che rappresentano terreno di interferenza di interessi privati nella gestione della “cosa pubblica” oltreché di frequenti ingerenze di Cosa nostra”.
Nel periodo di riferimento “oltre alla citata illecita gestione delle scommesse le estorsioni (c.d. “messa a posto”) e il traffico di sostanze stupefacenti restano tra le primarie fonti di guadagno per Cosa nostra”, si legge. A Palermo, inoltre, “resta forte il legame tra Cosa nostra e la criminalità Nord americana. Lo confermano le ultime operazioni antimafia ed emerge dalla relazione della DIA al Parlamento per il secondo semestre 2021”. "Non va sottaciuto poi il forte legame di cosa nostra con la criminalità Nord americana - prosegue la relazione della DIA -. Pregresse attività d'indagine avevano già documentato una storica e sempre attuale centralità dei rapporti con la cosa nostra di New York. Tali aspetti sono venuti alla luce anche nel semestre in esame grazie agli esiti dell'operazione dei carabinieri 'Crystal Tower' che il 14 luglio 2021 ha portato all'arresto di alcuni esponenti della famiglia palermitana di Torretta (mandamento di Passo di Rigano Boccadifalco), facendo emergere solidi collegamenti tra i membri della famiglia di Torretta con quelli della famiglia Inzerillo che, fino all'avvento dei corleonesi capeggiati da Salvatore Riina, avevano retto il mandamento di Passo di Rigano, fra l'altro, gestendo, lungo l'asse Palermo - New York, ingenti traffici di stupefacenti".
Per quanto riguarda invece Catania, la provincia, leader infrastrutture e industriale della Sicilia, “può essere parimenti considerata il centro di gravità dei principali interessi criminali la cui gestione e controllo è saldamente nelle mani delle più importanti famiglie mafiose operanti nella Sicilia Orientale”. In questo quadrante della Regione, cosa nostra è rappresentata dalle “storiche famiglie Santapaola-Ercolano e Mazzei a Catania; La Rocca a Caltagirone e a Ramacca (CT) dall’omonima famiglia la cui operatività apparirebbe al momento meno attiva”, scrivono gli analisti della Dia. “Nondimeno sul territorio operano da decenni anche altri sodalizi di tipo mafioso tra cui i clan Cappello-Bonaccorsi, Laudani, Pillera - Di Mauro, Sciuto (Tigna), Cursoti, Piacenti e Nicotra i quali seppur fortemente organizzati e per quanto regolati secondo gli schemi tipici delle consorterie mafiose evidenziano maggiore fluidità sul piano strutturale non configurandosi organicamente in cosa nostra. Storica è la vocazione di cosa nostra catanese ad addentrarsi e confondersi nel tessuto economico legale del capoluogo, in quello imprenditoriale e nelle dinamiche della gestione locale della cosa pubblica”. Inoltre viene specificato che “le indagini condotte negli ultimi anni dimostrano proprio la capacità delle mafie catanesi di reinvestire importanti profitti derivanti dai traffici criminali, in attività economiche apparentemente lecite ma realizzate o acquisite con metodi mafiosi con il conseguente depotenziamento e inquinamento dell’iniziativa imprenditoriale ‘sana’”. A Catania, come in molte altre provincie, “droga, usura, estorsioni ma anche edilizia, commercio, gioco d’azzardo, ristorazione, trasporto, agroalimentare e rifiuti permangono tutt’oggi i settori di maggior interesse criminale”. In particolare, “nel corso dell’ultimo trentennio la famiglia Santapaola-Ercolano ha manifestato un’importante capacità espansiva riuscendo ad ampliare i propri interessi in settori criminali sempre più variegati e operando in territori limitrofi grazie alla collaborazione con i sodalizi locali”. “Nel centro città la consorteria è organizzata in gruppi denominati in base al quartiere di riferimento ai quali viene riconosciuta una certa autonomia organizzativa e decisionale. Nel resto della provincia l’organizzazione è rappresentata da sodalizi stanziali i quali sebbene privi di competenze strategiche garantiscono maggiori opportunità criminali e un controllo del territorio sempre più vasto. La consorteria esercita in maniera autorevole la propria influenza anche sulle organizzazioni peloritane mantenendo collegamenti con le famiglie di Mistretta e Barcellona Pozzo di Gotto. Le importanti operazioni condotte nel corso degli anni e le numerose collaborazioni con la giustizia sebbene abbiano indebolito la famiglia, non le hanno tuttavia impedito di continuare a controllare direttamente o indirettamente le più importanti piazze di spaccio e di infiltrarsi nel tessuto economico e sociale della città”. Sempre nella relazione della Dia viene scritto che nel secondo semestre del 2021 “l’operatività della famiglia è testimoniata da significative risultanze investigative che ne confermano l’interesse per l’usura e le estorsioni. Anche il traffico di stupefacenti continua ad essere considerato uno degli investimenti più vantaggiosi potendo essere gestito sul piano territoriale all’interno di veri e propri fortini di difficile accesso per le forze di polizia”. Attenzione viene data anche alla provincia di Trapani. “La storia criminale di questa provincia ci racconta come la stessa nel corso degli anni sia stata fortemente influenzata dalla mafia palermitana”, ricorda la Dia. “I c.d. corleonesi nel periodo della loro egemonia mafiosa “sistemarono” uomini di loro fiducia nelle varie famiglie e mandamenti di Trapani in particolare a Mazara del Vallo e a Castelvetrano” dove vennero dati i natali a Matteo Messina Denaro, che la Dia considera come “punto di riferimento” della mafia oggi. Messina Denaro, figlio dell’ex capo mafia Castelvetranese Francesco Ciccio, è latitante da ormai 30 anni e la Dia ritiene che “il possibile connubio politico-mafioso in questo particolare territorio potrebbe dar vita a una fitta rete di “protezione” che potrebbe favorire l’esecuzione della lunga latitanza” oltre ad “essere in grado di creare situazioni atte a inquinare l’attività amministrativa e la gestione della cosa pubblica”.
Messina Denaro, detto “u siccu”, “nonostante la latitanza resterebbe la figura di riferimento per tutte le questioni di maggiore interesse dell’organizzazione, per la risoluzione di eventuali controversie in seno alla consorteria e per la nomina dei vertici delle articolazioni mafiose anche non trapanesi”. Tuttavia e “benché “u siccu” continui a beneficiare della fedeltà di molti sodali negli ultimi anni numerose sono le attività investigative volte a colpire la vasta rete di protezione del boss”, riporta la relazione della Direzione Investigativa Antimafia.
“Recenti attività d’indagine evidenziano - aggiunge la Dia - intrecci e cointeressenze tra esponenti mafiosi, imprenditori ritenuti vicini a cosa nostra e politici rafforzano sempre più la malavita indebolendo, di conseguenza, l’economia legale. In seno a cosa nostra trapanese è peraltro oramai maturata da tempo la consapevolezza dell’inopportunità di scatenare lotte cruente”. Inoltre viene fatto presente dagli analisti che “se nelle altre realtà criminali isolane cresce nuovamente il racket del pizzo nei confronti di commercianti e imprenditori a Trapani invece la tendenza sembra essere inversa. Pur evidenziandosi alcuni episodi estorsivi finalizzati soprattutto a mantenere il controllo del territorio i mafiosi agevolati dalla costante crisi economica che ha colpito tutti i settori economici a causa della pandemia da COVID-19 offrono capitali illeciti e favori a una cerchia di imprenditori sempre più ampia”. In definitiva, concludono, “si può affermare che cosa nostra trapanese è una mafia tradizionale e moderna allo stesso tempo strutturata e organizzata ad immagine e somiglianza dell’uomo d’onore più ricercato Matteo Messina Denaro”.
Le altre province
La Dia riporta inoltre lo stato dell’arte delle organizzazioni criminali nelle altre province. “Nella provincia di Agrigento si conferma la coesistenza di cosa nostra e della Stidda. Si tratta di due realtà mafiose storicamente radicate nel territorio sempre pronte alla individuazione e alla spartizione delle attività criminali da perpetrare sul territorio di competenza. Nel territorio provinciale in passato si erano verificati numerosi episodi in grado di orientare le scelte degli Enti locali per l’aggiudicazione degli appalti pubblici attraverso l’infiltrazione, il condizionamento o la corruzione. Pratiche che hanno rilevato la capacità della mafia girgentina di fare affari con quella cerchia di personaggi i quali spinti da facili e lucrosi guadagni agevolano sempre più le condotte criminali mafiose. Nel contesto criminale agrigentino continuano infine a operare gruppi di matrice etnica per lo più maghrebini, egiziani e rumeni tollerati dalla mafia in quanto dediti a illeciti non di diretto interesse mafioso quali il riciclaggio di materiale ferroso, traffico di esseri umani per lo più dal nord Africa, sfruttamento della prostituzione e spaccio al dettaglio di sostanze stupefacenti”. Di Cosa e Nostra e Stidda la relazione Dia fa riferimento anche riguardo alla provincia di Caltanissetta e Ragusa. “La tendenza della criminalità organizzata a prediligere una silente infiltrazione nel tessuto socio-economico, sembra consolidarsi anche nella provincia nissena. Le attività di contrasto delle Forze di Polizia evidenziano come il territorio risenta dell’influenza di famiglie mafiose appartenenti a cosa nostra e stidda le quali tendono generalmente al raggiungimento di accordi per la spartizione del mercato dell’illecito. L’articolazione di cosa nostra nissena rimane invariata. Nella parte settentrionale della provincia sono presenti i mandamenti di Mussomeli di Vallelunga Pratameno sotto l’influenza dei Madonia, sul versante meridionale operano invece i mandamenti di Riesi e Gela. Nell’ambito di quest’ultimo oltre alla famiglia di Niscemi sono attive le locali famiglie di cosa nostra degli Emmanuello e dei Rinzivillo. La stidda continua a conservare un’influenza nei territori di Gela e Niscemi”.
E sul Ragusano, anche qui “coesistono distinte organizzazioni mafiose. Da un lato la “stidda” particolarmente radicata nei territori di Vittoria, Comiso, Acate dall’altro “cosa nostra” la quale risente dell’influenza dalle vicine consorterie catanesi. A Vittoria si rileva un assetto pressoché stabile dell’organizzazione stiddara ove il clan Dominante-Carbonaro continua ad essere il sodalizio di maggiore caratura. In antitesi ai Dominante-Carbonaro nel territorio ibleo opererebbero i fratelli Piscopo legati alla famiglia di cosa nostra nissena degli Emmanuello. A Scicli permane invece l’influenza del gruppo dei Mormina propaggine della famiglia Mazzei di Catania e dedito prevalentemente ai settori criminali degli stupefacenti e delle estorsioni. Nel semestre di riferimento le operazioni ed i sequestri eseguiti dalle forze di polizia confermano il traffico e lo spaccio di stupefacenti quali principali fonti di profitto della criminalità organizzata.
Proprio in questo settore le organizzazioni mostrano una composizione prevalentemente multietnica e ben integrata nel tessuto criminale locale”.
Quanto invece per il territorio ennese, cuore rurale della Sicilia che da decenni soffre di una endemica depressione socio economica “rappresenta area di interesse per le articolazioni di cosa nostra nissena, catanese e messinese. Particolarmente incisiva è l’ingerenza dei catanesi che approfittando della minore forza dei sodalizi locali e in assenza di una guida operativa riconosciuta in tale contesto infiltrano la provincia anche stringendo rapporti di collaborazione con la criminalità locale”.
Cosa nostra nella provincia di Enna “risulta articolata in 5 storiche famiglie che operano tra Enna, Barrafranca, Pietraperzia Villarosa di Calascibetta. Gli interessi della criminalità si manifestano per lo più attraverso episodi di natura estorsiva, di infiltrazioni nel settore agropastorale e di gestione dei rifiuti, nonché mediante il traffico e spaccio di stupefacenti e da ultimo anche la coltivazione di Cannabis". Passando al territorio siracusano “si conferma la coesistenza di diverse organizzazioni mafiose. Nonostante le indagini condotte nel tempo abbiano consentito di trarre in arresto esponenti di primo piano dei principali gruppi criminali mafiosi l’operatività delle consorterie non può dirsi sopita rivelando piuttosto tangibili influenze di cosa nostra catanese. Il territorio risulta caratterizzato dalla presenza di due macro gruppi di riferimento che spendono la loro influenza in ambiti geografici ben definiti. Nel quadrante nord della città di Siracusa risulta presente il gruppo Santa Panagia, frangia cittadina della ramificata compagine Nardo-Aparo-Trigila collegata alla famiglia Santapaola Eecolano di cosa nostra catanese. Nel contesto urbano emerge anche il sodalizio dei Bottaro-Attanasio legato al clan etneo dei Cappello. Il clan è molto attivo nelle estorsioni e nello spaccio di sostanze stupefacenti che risulta essere la principale fonte di guadagno per tutte le consorterie”. Infine viene analizzata la provincia di Messina che “in ragione della sua particolare posizione geografica rappresenta lo spartiacque tra varie organizzazioni di tipo mafioso”. “Posta al centro delle aree di interesse di cosa nostra palermitana e catanese, nonché della ‘ndrangheta la mafia messinese - scrive la Dia - acquisisce a secondo della contiguità territoriale l’influenza dell’una o dell’altra organizzazione criminale”. Ne consegue “che i gruppi mafiosi “barcellonesi” e quelli dell’area “nebroidea” attivi nella zona al confine con la provincia di Palermo hanno strutture organizzative e modus operandi analoghi a quelli di cosa nostra palermitana. In tale ottica appaiono plausibili le ingerenze delle consorterie catanesi nelle aree di confine tra le province, nonché nel Capoluogo. Riscontrati da pregresse attività investigative i rapporti delle organizzazioni criminali messinesi con le vicine cosche calabresi sono finalizzati per lo più alla gestione del traffico di stupefacenti pur senza escludere che tali rapporti possano evolversi anche verso l’adozione di una strategia diretta al reimpiego degli ingenti capitali provenienti dai traffici illeciti verso attività imprenditoriali più remunerative presenti nella provincia quali quelle del settore turistico in una fase economica in cui molte attività imprenditoriali, nel tentativo di risollevarsi dalle difficoltà provocate dalla recente pandemia, sono in evidente difficoltà e tendenzialmente disposte a cedere asset aziendali a valori anche inferiori a quelli di mercato. In tale contesto criminale in cui si manifestano continue interazioni tra sodalizi vige una sorta di tacita tolleranza finalizzata alla vicendevole convenienza, alla soluzione di problematiche comuni e alla riduzione o alla completa rinuncia a cruenti azioni criminali che polarizzerebbero inevitabilmente l’interesse istituzionale e mediatico”. Quindi viene osservato come nel semestre in esame “la ripartizione delle aree di influenza dei gruppi messinesi risulta sostanzialmente invariata. Nella parte settentrionale della provincia opera la c.d. “famiglia barcellonese” comprendente i gruppi dei “Barcellonesi”, dei “Mazzarroti”, di “Milazzo” e di “Terme Vigliatore” che nel periodo di riferimento è stata interessata dalla confisca di beni per oltre 8 milioni di Euro. Nel territorio dei Monti Nebrodi risultano attivi i sodalizi dei “tortoriciani”, dei “batanesi” e dei “brontesi”195 nei confronti dei quali talune investigazioni hanno evidenziato l’accaparramento dei terreni agrari e pascolivi per beneficiare di fondi comunitari destinati allo sviluppo delle zone rurali”.
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