Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

Il Pg: “È un mandante, non un esecutore”

È ripreso lunedì il processo di Appello a Caltanissetta contro il superlatitante Matteo Messina Denaro, accusato di essere stato tra i mandanti delle stragi di Capaci e via d’Amelio.
Già nell'ottobre del 2020, in primo grado era stato condannato all'ergastolo, chiesto dall'allora pm Gabriele Paci. Capo della mafia trapanese, Messina Denaro, ricercato dal 1993, è ritenuto uno dei responsabili della linea stragista di Cosa nostra imposta dai corleonesi di Totò Riina, con il quale avrebbe pianificato negli anni '90 l'azione contro le Istituzioni. La primula rossa di Castelvetrano era stato condannato per le bombe al nord Italia del 1993.
La Corte d'Assise presieduta da Maria Carmela Giannazzo ha ascoltato la requisitoria del procuratore generale Antonino Patti: "L'accusa che si muove a Matteo Messina Denaro è di avere deliberato, insieme ad altri mafiosi regionali, che rivestivano uguale carica, le stragi. Quindi ci occupiamo di un mandante, non di un esecutore". "L'imputato - ha continuato Patti - entrò a far parte di un organismo riservato direttamente alle dipendenze di Totò Riina, il gruppo denominato la 'Super cosa'", un nome creato da Salvatore Riina sulla falsa riga della superprocura antimafia progettata da Falcone.
"La decisione di uccidere i due giudici non fu un fatto isolato, ma ben piazzato al centro di una strategia stragista a cui Matteo Messina Denaro ha partecipato con consapevolezza - aveva detto Gabriele Paci nel corso della requisitoria di primo grado - dando un consenso, una disponibilità totale della propria persona, dei propri uomini, del proprio territorio, delle famiglie trapanesi al piano di Riina che ne fu così rafforzato e che consentì alla follia criminale del capo di Cosa Nostra di continuare nel proprio intento: anzi, più che di consenso parlerei di totale dedizione alla causa corleonese". Sempre durante le udienze dedicate alla requisitoria Paci aveva parlato di "unanimità dei consensi al progetto sulle stragi di Totò Riina collegiale". "Totò Riina - aveva detto Gabriele Paci - può contare su un gruppo di persone fidate che si chiama 'supercosa'.  Era stata la 'supercosa', aveva spiegato il procuratore in aula, a decidere "le stragi a Castelvetrano tra il 10 ottobre e il 2 novembre 1991". Alla "supercosa" il Capo dei Capi aveva affidato il compito di organizzare la missione romana nella quale doveva essere assassinato Giovanni Falcone. Questo, aveva affermato, "rafforza Riina non soltanto perché ha un gruppo segreto che fa capo a lui ma perché questo gruppo gli consentirà tra le varie opzioni operative di optare per quella che era più funzionale alla realizzazione dei suoi interessi. Scartata la missione romana sceglie quella di Capaci. Indipendente dall'esito la supercosa rafforzò i propositi di Totò Riina, con un gruppo di persone pronto ad uccidere. Nell'ottobre del '91, con l'appoggio di Messina Denaro, Totò Riina, seppe che aveva questa disponibilità di uomini e mezzi", aveva ribadito Paci.


aula tribunale c imagoeconomica 1481044

© Imagoeconomica


"L'attività deliberativa - ha spiegato il pg Antonino Patti - organizzativa di Messina Denaro in favore delle stragi ha cominciato a esplicarsi nell'ottobre del 1991, che coincide con le riunioni in provincia di Enna", uno dei capitoli più importanti e dirimenti dell’intera stagione stragista di Cosa nostra. Alla fine del 1991, i capi della commissione regionale di Cosa nostra per diversi mesi hanno soggiornato nelle campagne della provincia ennese, territorio meno a rischio di altri, per incontrarsi ripetutamente e discutere la nuova strategia stragista dell’organizzazione. Obiettivo: un progetto di destabilizzazione del Paese e una lista di persone da eliminare: Antonino Giuffré aveva riferito di "Falcone, Borsellino, Salvo Lima, Martelli e Mannino. Giuffré rimase impressionato da quella riunione perché era finito il tempo delle chiacchiere e bisognava agire. Venne etichettata come la 'riunione della resa dei conti'.

I rapporti tra Riina e la famiglia dei Messina Denaro
Il pg ha poi riportato alcune delle dichiarazioni di Giovanni Brusca, capo mandamento di San Giuseppe Jato, scritte nella sentenza di primo grado, in merito ai rapporti tra il capo dei capi e la provincia di Trapani: "Tra Riina e i trapanesi era tutta una persona come se fossero una sola persona". Che il legame era assai forte lo attestano anche le dichiarazioni di Salvatore Cancemi, capo mandamento di Porta Nuova, riportate nella sentenza di Firenze del 1998: "Trapani - ha detto il pg leggendo la sentenza - era la 'roccia' di Riina, vuole dire la roccaforte. I trapanesi costituivano una 'roccia' soprattutto Messina Denaro e il padre Francesco".
Oltre a questo il procuratore generale ha spiegato che i rapporti tra Riina e la famiglia di Messina Denaro (Matteo e Francesco Messina Denaro) non si sono mai incrinati, al contrario di quello che era accaduto con "Brusca Giovanni” in riferimento alla continuazione della strategia stragista. Invece "le nuove leve di Cosa Nostra in quegli anni sono stati sempre, totalmente, perfettamente fedeli a Riina: uno è il nostro imputato Matteo Messina Denaro e l'altro è Giuseppe Graviano".
Per il boss di San Giuseppe Jato, Messina Denaro e Graviano erano come "il secchio e la corda" (stanno sempre insieme ndr), e in effetti, ha spiegato l'accusa "Riina si rivolge a Brusca dicendo che" se "mi dovesse capitare qualcosa, se mi dovessero arrestare, dice Riina a Brusca, i carusi sanno già tutto". "É una espressione di estrema eloquenza perché significa che Riina li aveva messi al corrente di tutto, comprese eventuali strategie stragiste e anche di strategie di trattative di rapporti più o meno inconfessabili con uomini delle istituzioni".


riina salvatore aula bunker shobha

Il capo dei capi, Totò Riina © Shobha


Matteo Messina Denaro è il reggente della ‘provincia’ di Trapani
Graviano Giuseppe
e suo fratello Filippo sono anche i reggenti del mandamento mafioso di Brancaccio a Palermo, un mandamento che secondo il pg è stato il principale protagonista delle "stragi fiorentine, milanesi e romane". Basti vedere l'"identità soggettiva tra i vari protagonisti": "ci trovate Spatuzza, Fifetto Cannella, poi ci trovate Petruccio Barranca, poi ci trovate Cosimo Lo Nigro e Giorgio Pizzo. Tutti elementi del gruppo di Brancaccio. Per cui si può dire che il mandamento di Brancaccio, guidato da Giuseppe Graviano, dai fratelli Graviano, ha avuto un ruolo fondamentale in quelle sette stragi".
"Giovanni Brusca - ha continuato il pg - interrogato sul potere esercitato nella provincia di Trapani dirà: 'il capo ufficialmente era Francesco Messina Denaro, però già nel momento in cui rivestiva questo ruolo, le cariche formali ed esecutive erano rivestite dal figlio Matteo. Faceva le funzioni di capo provincia perché o ne parlava direttamente col padre o si prendeva le responsabilità di quello che si decideva'".
"C'era un totale e reciproco rapporto di fiducia
- ha continuato il procuratore generale - tra Totò Riina e Matteo Messina Denaro".
Antonino Patti in questa parte della requisitoria ha spiegato come il capo dei capi aveva riposto grandi aspettative in Matteo Messina Denaro: "Riina farà fare cinque anni di tirocinio" al giovane picciotto di Castelvetrano.
"Preso atto - ha continuato - che nel 90' - 91' Francesco Messina Denaro non si trovava più in condizioni fisiche" per comandare e per portare avanti "le funzioni di rappresentante provinciale, scelse quale reggente il figlio Matteo. Non tanto in virtù di un diritto ereditario" ma per "le capacità criminali" dimostrate "sul campo e la fedeltà".
Anche dopo le stragi e l’arresto di Salvatore Riina, Matteo Messina Denaro "continuò a esercitare la sua egemonia. Il potere di Riina era talmente forte che non si poneva il problema di mettere a capo della provincia di Trapani Matteo Messina Denaro, nonostante nel '91 avesse appena 29 anni. Era una sua creatura, con tutto il rispetto per Mariano Agate che non poteva rappresentare il futuro. Messina Denaro era incensurato, sconosciuto alle forze dell'ordine - diventerà latitante soltanto il 2 giugno del '93 - e in quel momento libero di muoversi. Matteo era capace a livello criminale e Riina capì che la pasta era quella giusta".
La requisitoria proseguirà il 27 ottobre alle 9.30 nell'aula bunker del carcere Malaspina di Caltanissetta.

ARTICOLI CORRELATI

Matteo Messina Denaro mandante delle stragi del '92

Processo Stragi '92: ''Messina Denaro uno dei mandanti di quell'azione di guerra''

Stragi '92, chiesto l'ergastolo per il boss Matteo Messina Denaro

Condanna Messina Denaro, Paci: ''Fare luce su rapporti con massoneria e servizi''

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos