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Ammonito dal direttore del carcere di Novara, si difese dicendo trattarsi solo di un saluto, ritenendo poi ingiusto un provvedimento disciplinare. La Cassazione gli ha dato torto

Sanzionato perché colloquiava con i detenuti appartenenti ad un gruppo di socialità diverso dal suo. E' stato giusto, secondo la Cassazione, l'ammonimento inflitto dal direttore del carcere di Novara al boss di Porta Nuova, Alessandro D'Ambrogio, recluso al 41 bis, dove si è pure laureato in Giurisprudenza. La sanzione disciplinare era stata inflitta il 14 luglio dell'anno scorso.

La sentenza è stata emessa dalla prima sezione della Suprema Corte, presieduta da Stefano Mogini, che ha rigettato il reclamo del mafioso ritenendolo inammissibile e condannandolo a pagare 3 mila euro alla Cassa delle ammende.

Il boss subito dopo l'ammonimento aveva deciso di ricorrere al magistrato di sorveglianza di Novara, contestando la decisione del direttore del carcere: secondo la sua versione, aveva soltanto salutato alcuni detenuti e questo non poteva essere considerato una forma di comunicazione, quindi non vi sarebbe stato alcun illecito disciplinare e la sanzione sarebbe stata illegittima. Tesi che erano state rigettate dal magistrato di sorveglianza il 6 ottobre scorso.

Anche per la Cassazione il reclamo del boss è inammissibile - "per manifesta infondatezza" - in quanto "non è consentito il reclamo al magistrato di sorveglianza in relazione al merito del provvedimento disciplinare, ma solo riguardo ai requisiti di legittimità del potere disciplinare", scrivono i giudici. Da qui la condanna a pagare i 3 mila euro.

D’Ambrosio e quell’ordine di MMD per uccidere Di Matteo
Il nome di D’Ambrogio è già conosciuto alle cronache, non solo perché capo del mandamento di Porta Nuova, uno dei più grandi mandamenti mafiosi di Cosa nostra palermitana, ma per una vicenda che ha riguardato Matteo Messina Denaro e il suo ordine di morte contro il magistrato Nino Di Matteo.

Due anni fa in un verbale depositato dai pm Francesca Mazzocco ed Amelia Luise nel processo contro il clan di Porta Nuova, in cui il pentito Alfredo Geraci era imputato, c’erano riferimenti a una riunione del dicembre 2012 in cui, aveva raccontato il pentito Vito Galatolo, giunse la missiva della primula rossa di Castelvetrano, Matteo Messina Denaro per compiere l'attentato contro Di Matteo.

L'ex boss dell'Acquasanta Galatolo aveva raccontato che a partecipare al summit ristretto erano lui assieme al suo vice, Vincenzo Graziano, ed i capi mandamento di San Lorenzo e Porta Nuova, Girolamo Biondino e Alessandro D’Ambrogio. Inoltre aveva spiegato anche il motivo per cui il pm doveva essere ucciso: “si era spinto troppo oltre”.

Geraci aveva raccontato che fu lui a procurare l’appartamento di Ballarò per quell'incontro, affermando, però, di non conoscere effettivamente quelli che erano i contenuti della discussione, tuttavia il suo capo, D’Ambrogio, gli avrebbe fatto delle confidenze importanti facendo capire che Messina Denaro aveva chiesto qualcosa ai mafiosi di Palermo. Sulle dichiarazioni del pentito c’è il segreto istruttorio.

Tuttavia, in quel primo verbale il riferimento è chiaro: “Mi ricordo l’appuntamento che mi è rimasto impresso, c’erano malumori perché praticamente si diceva che Giuseppe Fricano (reggente del mandamento di Resuttana e oggi detenuto, ndr) non era all’altezza di gestire il mandamento, dicevano che c’erano i Madonia seccati, dicevano che c’era Vito Galatolo nervoso per questa cosa. Un giorno mi chiamò Alessandro D’Ambrogio, il capo del mio mandamento mi disse che aveva bisogno di un locale dove fare una riunione". L’incontro, in base al suo ricordo, fu organizzato fra il 2012 e il 2013 in via Albergheria 97. “All’incontro c’erano Vito Galatolo, che scendeva da Venezia; Tonino Lipari, uomo del mandamento di Porta Nuova e referente di D’Ambrogio; Tonino Lauricella, responsabile della famiglia di Villabate; c’era anche Giuseppe Fricano”. “Misi a disposizione la casa della sorella di mio suocero, un appartamento al secondo piano a Ballarò”. “Io rimasi giù per aprire il portoncino a chi arrivava. Mi ricordo benissimo che a Galatolo lo andò a prendere Giuseppe Di Maio in vicolo Pipitone”. Fu quella l’occasione in cui “era stata fatta la presentazione di Tonino Lipari che era stato fatto uomo d’onore di Alessandro D’Ambrogio”. Molto probabilmente si trattava proprio dell'incontro nel quartiere Ballarò di cui riferì lo stesso Galatolo. L'ex boss dell'Acquasanta disse che si tennero due riunioni: la prima in cui si discusse di uomini e ruoli della nuova mafia, poi la seconda riunione, riservata, con Graziano e D'Ambrogio e alla presenza di Biondino.

Proprio quest'ultimo, a detta di Galatolo, avrebbe portato il messaggio di Messina Denaro che nella missiva metteva a disposizione persino un esperto di esplosivi per portare a termine l'azione.

Foto © Imagoeconomica

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