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Dall'inchiesta “Hesperia” la lite tra i boss Di Natale e Buffa, ripreso perché diffuse voce che "'u siccu" era morto

Matteo Messina Denaro, classe ’62, trapanese di Castelvetrano, condannato all’ergastolo per le stragi di Capaci, via D’Amelio e per quelle di Roma, Firenze e Milano, è un fantasma dal giugno 1993. Da 29 anni vive nascosto, da latitante. Di lui, solo di recente sono stati resi noti il tono di voce (grazie a registrazioni risalenti al marzo ’93) e qualche fermo immagine sfocato di vecchia data, da raffrontare con i più recenti identikit delle forze dell’ordine. Ma nient’altro. “Diabolik”, come detto, è un fantasma. E lo è al punto che alcuni boss di Cosa Nostra lo credevano morto. Salvo poi essere repentinamente smentiti e ripresi da altri sodali. Questo spaccato di primo piano emerge dall’inchiesta “Hesperia” della Dda di Palermo che ieri ha emesso ordinanza di custodia cautelare per 35 persone accusate di aver favorito la latitanza del super boss. A ipotizzarne la morte è Marco Buffa (arrestato ieri), sodale del mandamento di Marsala.
Le sue uscite sul capo mafia erano arrivate all’orecchio di Francesco Luppino, ritenuto tra i principali fedelissimi di Messina Denaro, per il quale, una volta scarcerato tre anni fa (ma riarrestato ieri), aveva subito ricominciato a tessere una tela di relazioni. Ma a mettere in guardia Buffa per quelle illazioni fu Piero Di Natale, boss di Castelvetrano, anche lui finito in manette nell’inchiesta “Hesperia”. E dai loro dialoghi intercettati non pare che tra i due corresse buon sangue. Buffa era stato ammonito da Di Natale perché era “arrivata notizia” che il 49enne aveva espresso, in un contesto non precisato, perplessità sulla persistenza in vita del latitante trapanese, indicato in tale occasione con l’appellativo di “Ignazieddu”. Ma di fronte a questa accusa Buffa avrebbe cominciato a farsi minaccioso: “Non mi rompete la…. perché… A me mi fate una se.. forte… forte… perché e io non ho detto niente compare… io non ho parlato di…”. Dall’altra parte del telefono però Di natale avrebbe risposto a tono: “A me non mi devi toccare… la min…. a te non te la rompiamo… Invece ti rompiamo il … Ci fai una se.. tu a noi altri…”. “Vedi che è arrivata la notizia di questo discorso…non parlare in giro di questo fatto che hai detto tu che è morto… perché già la notizia gli è arrivata che… che c’è stato qualcuno sta dicendo che ‘Ignazzeddu’ è morto… vedi che a quello quando pare che non gli arriva… perché ha sempre 7… 8 persone che lo informano…”. “Chiedi scusa, perché è vivo e vegeto”, è stato l’avvertimento di Di Natale. “Ma gli è arrivata nelle orecchie, vero? - aveva domandato Buffa preoccupato -. Niente, allora fuochi di artificio succede…”. Ipotizzando che avrebbe pagato care quelle illazioni. Ma Di Natale lo rassicurò: “Parola d’onore, non succede niente”. Questa conversazione tra i due, però, non è la sola ad aver catturato l’attenzione degli inquirenti. 
Di Natale, infatti, avrebbe raccontato a Buffa di aver letto i “pizzini” in possesso di Luppino - il quale riceveva direttamente da Messina Denaro le direttive per designare i referenti sul territorio di Campobello di Mazara, feudo del mandamento di Castelvetrano - e firmati dal boss stesso. “Allora in uno degli ultimi - affermò Di Natale - gli ha detto (a Luppino, ndr): salutami a Sandrone e digli che io sono qua come prima, anzi più di prima e lui è il suo pensiero, perché io a questo l’ho messo qua, a questo l’ho messo qua…”. Il dialogo proverebbe nuovamente che “’u Siccu” è vivo ed è in attività al punto da impartire direttive funzionali alla riorganizzazione degli assetti mafiosi della provincia di Trapani, che, come emerge dall’inchiesta, venivano individuati come "quelli che appartengono a Matteo Messina Denaro”.

(Prima pubblicazione: 07-09-2022)

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