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Commemorato a Porticello l’agente della Catturandi tra memoria storica e presenza dello Stato nei territori

Partecipazione, sentimento, memoria. È quanto resta al termine della commemorazione dell’assassinio di Giuseppe Montana, poliziotto della “Catturandi” di Palermo assassinato 37 anni fa da un commando di Cosa nostra mentre si trovava, assieme alla fidanzata, a Porticello, frazione di Santa Flavia (PA). Un poliziotto esemplare che al comando della “Catturandi” diede duri colpi a Cosa nostra, per esempio bloccando il boss della Kalsa Tommaso Spadaro: re del contrabbando di sigarette. Ma non solo, perché con la sua idea di creare un team dedito alla ricerca di latitanti, vennero arrestati la maggior parte dei 475 mafiosi finiti in galera su disposizione del pool antimafia con il Maxiprocesso.
Nella giornata di ieri, a distanza di 37 anni, si è celebrata nuovamente la memoria di un grande servitore dello Stato. A Porticello, tra piccoli caseggiati, l'odore di salsedine e un lungomare baciato dal sole, la cittadinanza si è riunita per commemorare Montana. Tante le Forze dell’Ordine presenti di ogni ordine e grado: dalla Polizia di Stato ai Carabinieri, dalla Guardia di Finanza alla Marina Militare, ma anche rappresentanti dell’Esercito e dei Vigili del Fuoco. Tutti presenti per commemorare un agente che con le sue attività di indagine ha collaborato con molte forze di polizia in maniera trasversale.
Presenti anche il neosindaco di Porticello, Giuseppe D’agostino, e il Questore di Palermo Leopoldo Laricchia.
A seguire, nella giornata di ieri la commemorazione è continuata presso la trattoria “Franco u piscatori” con un evento organizzato dall’Ass. Universitaria Contrariamente e RUM (Rete Universitaria Mediterranea) intitolato “Basta il ricordo per sconfiggere la mafia?”. Ospiti del dibattito Salvo Palazzolo, giornalista di Repubblica, Aaron Pettinari, caporedattore di ANTIMAFIADuemila, il Questore di Palermo Leopoldo Laricchia, e Marta Capaccioni, attivista del Movimento Our Voice. A moderare il dibattito è stato Giuseppe Iossa, giovane cittadino flaviese, studente della facoltà di Giurisprudenza di Palermo, integrante di Contrariamente-RUM nonché figlio di un agente di Polizia. Ed è proprio l’insieme di questi fattori, uniti alla dedizione personale e associativa nella lotta antimafia, ad averlo spinto in prima persona ad organizzare l’evento. Proprio lì, a Porticello, in casa sua, tra la gente che lo ha visto nascere e crescere. Un modo per rompere l’omertà istituzionale e culturale che da troppi anni in qualche modo ha impedito - direttamente o indirettamente - la celebrazione di dibattiti culturali come quello di ieri.


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Un evento, una sfida: rompere lo status quo
Mi sono sempre chiesto se delle semplici commemorazioni bastassero a sconfiggere la mafia - si è chiesto Giuseppe all’apertura dell’incontro -. Per me no! Per combattere la criminalità organizzata si deve innanzi tutto combattere la mafia che è dentro di noi”. “Porticello è un porto meraviglioso, ma c’è sempre la sensazione che manchi qualcosa - ha continuato -. L’obiettivo dell’evento è quello di rompere uno status quo, cambiare la tendenza che si ha nel credere che le cose qui non cambieranno mai. Questo primo incontro si pone l’obiettivo di contribuire ad un cambiamento qui a Porticello”. Parole sentite le sue, in alcuni momenti strozzate dall’emozione per esporsi, nel suo piccolo, davanti alla comunità che gli ha dato i natali.
La commemorazione ogni anno viene svolta con la deposizione di una corona di fiori alla stele, poi per il resto dell’anno quest’ultima viene abbandonata a se stessa.
‘Contrariamente’ da 18 anni organizza eventi antimafia di analisi, approfondimento e anche di memoria per tutte le vittime, senza fare distinzione tra vittime di serie A e vittime di serie B. Ed essendo nati dentro l’università, vi posso garantire che gli studenti ci sono e hanno voglia di cambiamento. I miei coetanei lo hanno dimostrato anche di recente in occasione del corteo realizzato il 23 maggio e 18 luglio per commemorare la strage di Capaci e via d’Amelio
”, ha detto Giuseppe Iossa. I giovani ci sono, infatti, e sono impegnati. E l’evento svoltosi ieri ne è la testimonianza.


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Lotta alla mafia? Lo Stato sia presente nei territori
Commemorazioni come quella di Beppe Montana sono troppo spesso disertate dalla società civile. Reputo importante prodigarsi da subito con eventi come questo ad ottemperare a questa assenza”. Così Giorgio Pace, coordinatore di Contrariamente, che dopo le parole del compagno ha voluto sottolineare come all’interno dello statuto dell’associazione una delle “mission” è la lotta antimafia anche all’interno della facoltà, “proprio perché nella nostra facoltà si sono formate tante delle vittime che oggi commemoriamo”. “Sicuramente il ricordo è necessario come è necessaria la nostra presenza qui per fare memoria di Beppe Montana a distanza di 37 anni - ha continuato -. Ma non è sufficiente. Serve un impegno costante e quotidiano. Sono necessari eventi come quello odierno che consentano di esporre le varie opinioni per fare memoria”.
Giorgio Pace ha poi posto l’attenzione sull’importanza della “presenza nei territori”, un aspetto fondamentale per “costruire una sana lotta alla mafia”. Al pubblico porta l’esempio del suo quartiere, lo Sperone: “Un quartiere periferico di Palermo in cui è evidente come la mafia non rubi nulla allo Stato, ma semplicemente si appropria degli spazi lasciati vuoti dallo stesso e dalle istituzioni”. Un dilemma “terribilmente evidente quando vengono arrestate le persone per spaccio, ad esempio: unica opportunità per sopravvivere - ha continuato -. Quella è l’unica occasione in cui le famiglie e i quartieri periferici vedono la presenza dello Stato. Uno Stato che interviene rompendo un’esigenza di sopravvivenza”. Solo presenza repressiva, dunque, che però non debella le mafie. Infatti, spiega Giorgio Pace, nei quartieri vi sono strutture “gerarchicamente organizzate in grado di sostituire immediatamente la persona tratta in arresto. La mafia ha cambiato interessi economici, sapendo adattarsi ai cambiamenti della società, ma non ha cambiato il metodo di rimpiazzo immediato con cui nell’arco di pochi minuti riesce a rimpiazzare una persona rimettendo in piedi la piazza di spaccio”. “Dall’altra parte, invece - ha concluso -, quando lo Stato fa il suo dovere riprendendosi i suoi spazi di assistenza sociale alle classi più disagiate, il potere della mafia viene meno perché perde il consenso ottenuto grazie alla sua capacità di offrire beni e servizi. Ecco perché è importante la presenza dello Stato nei territori (a partire dalla società civile, ndr), soprattutto quelli che i movimenti antimafia in primis hanno dimenticato. Forse troppo spesso come movimenti antimafia ci siamo concentrati solo su Palermo città dimenticandoci dei territori periferici, anch’essi bagnati dal sangue di alcune vittime delle mafie ma in cui forse non siamo stati capaci di risvegliare il popolo come abbiamo fatto in centro città. Ecco perché i punti cardini della lotta alla mafia devono essere memoria e presenza”.


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La memoria come antidoto contro la normalizzazione
A seguire è intervenuta Marta Capaccioni, portavoce del Movimento Our Voice, nonché studentessa universitaria presso la facoltà di giurisprudenza ed integrante anch’essa di Contrariamente. “Fare memoria è importante perché chi ha vissuto quei fatti ha la possibilità di trasferire il testimone nelle mani delle giovani generazioni. Senza memoria non si può comprendere come la storia ad esempio si sta ripetendo. Oggi come 30 anni fa, ad esempio, alcuni magistrati sono costantemente delegittimati ed isolati come al tempo Giovanni Falcone. Penso al consigliere togato al Csm Nino Di Matteo, ma anche il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri”. E ancora: “Senza memoria ci si dimentica che in Italia è stata istituita una legislazione antimafia unica nel suo genere, tanto da essere presa come punto di riferimento da molti Stati.
Per non parlare dei collaboratori di giustizia soggetti fondamentali per il contrasto alle mafie. Così come l’intero istituto della collaborazione, senza il quale non avremmo mai saputo e compreso come funziona la mafia né tanto meno quali sono state le complicità esterne alla stessa dietro le stragi e delitti eccellenti
”.
In quanto giovani “dobbiamo ispirarci ai martiri come Montana - ha continuato Marta -, ma senza considerarli ‘eroi’ perché li allontaneremmo dalla realtà. Sono persone, uomini e donne che hanno fatto il loro dovere fino in fondo e il cui sacrificio ci chiama all’assunzione di responsabilità. Esempi come quello del commissario Montana ci invitano a prendere in mano il loro testimone impegnandoci a nostra volta, facendo il nostro dovere fino in fondo. Essendo nei territori”.
Fare memoria è un antidoto contro la tendenza della normalizzazione. A Palermo, infatti la mafia è tornata a sparare commettendo omicidi in pieno giorno, così come uomini condannati per gravi reati di mafia sono tornati a dettare la politica palermitana e regionale: basti pensare al sostegno che il neosindaco Roberto Lagalla (coalizione di centro destra alle recenti amministrative) ha ricevuto da Totò Cuffaro (condannato per favoreggiamento a Cosa nostra) e Marcello Dell’Utri (condannato per concorso esterno a Cosa nostra). “Come giovani studenti e studentesse dobbiamo fare pressione politica dal basso per non abituarci alla presenza di questi soggetti dietro la politica. Non possiamo accettare nessun compromesso politico, etico e morale. Se così non sarà, arriverà il giorno in cui ci abitueremo alla presenza di soggetti come Dell’Utri e Cuffaro alle commemorazioni delle vittime innocenti di mafia e sarà tutto normale perché hanno espiato le pene. Non possiamo accettare tutto ciò perché esiste comunque sia una responsabilità morale e politica che va oltre le pene, soprattutto i soggetti in questione non si pentono di quanto hanno commesso e, al contrario, continuano a negare i fatti”, ha detto Marta Capaccioni.


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La parola alla memoria storica
È stata poi la volta dei relatori che hanno cercato di rispondere alle domande iniziali: Basta il ricordo per sconfiggere la mafia? Basta una corona di fiori per combattere un fenomeno che muta nel tempo e che è capace di penetrare in qualsiasi società esistente inquinandone l’onestà?
Non basta”, dice Salvo Palazzolo che all’epoca dei delitti eccellenti di mafia era uno studente universitario. Anche lui conferma la necessità e l’utilità di eventi come quello di ieri. “Quando la società non c’è - ha detto -, ci sono gli studenti. E lo sottolineò anche perché Beppe Montana aveva un legame forte con gli studenti”. “È importante fare memoria ma in modo attivo”, non solo storico dunque, perché “le indagini del Commissario Montana sono ancora vive. Tanti personaggi degli ambienti mafiosi su cui indagò stanno ritornando. A testimonianza del fatto che Cosa nostra non rinuncia alla presenza nei territori”. “Qui stiamo raccontando storia attualissima - ha continuato Palazzolo -. Ciò che spaventa alla mafia sono i cittadini attivi sul territorio. Cosa nostra cambia ma è sempre la stessa, vuole impadronirsi dei territori. I mafiosi oggi non sparano più, ma si infiltrano nell’economia legale”. Quello di ieri, inoltre, essendo un evento organizzato da studenti assume una doppia valenza soprattutto dinnanzi ad “un’università che dimentica e si dimostra sempre più mera università dei ‘consiglieri’ dei mafiosi e non degli agenti o dei magistrati che hanno sacrificato la propria vita contro le mafie. Ben vengano eventi come questo, vere e proprie assemblee cittadine”. “Il messaggio che deve uscire da questi dibattiti - ha concluso il giornalista di Repubblica - deve essere rivolto alla Politica: la lotta alla mafia deve rientrare nelle agende di governo come priorità”.
Ma la memoria deve essere accompagnata anche da un’ammissione di responsabilità, facendo un’autoanalisi critica rispetto a ciò che fino ad oggi è stato fatto e quali errori sono stati commessi, come suggerisce Aaron Pettinari. “Interroghiamoci: Cosa e dove abbiamo sbagliato finora? Coloro che sono stati uccisi erano tutti uomini o donne soli. Isolati dallo Stato e spesso anche dalla società civile”.
Oggi si è tornati a sparare nelle strade di Palermo e non solo. E c’è preoccupazione perché queste azioni avvengono alla luce del sole, in maniera plateale… E un incontro come quello di oggi è coraggioso per certi versi rivoluzionario, una sorta di affermazione di presenza nel territorio da parte della società civile - ha continuato il caporedattore di ANTIMAFIADuemila -. In tutto ciò la mia categoria ha giocato un ruolo non indifferente sia nel raccontare i fatti sia nel falsificare la narrativa. Abbiamo contribuito alla costruzione del falso mito che la mafia, la ‘Ndrangheta, la Camorra, sono finite e non sono più un pericolo perché non sparano più o perché non esplodono bombe. Qualcosa non ha funzionato, dobbiamo ammetterlo”.


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Oggi per parlare di mafia non si può prescindere della questione sociale - ha continuato -. Bisogna impegnarsi nei territori e pretendere che le istituzioni facciano la loro parte per non abbandonare i territori. Se il fenomeno mafioso esiste e resiste da oltre 150 anni dobbiamo chiederci perché, così come dobbiamo chiederci perché i territori vengono sistematicamente abbandonati”. Allo stesso tempo, la società civile “deve fungere da pungolo per le nostre istituzioni in modo tale che formulino regole del gioco giuste, altrimenti la partita è truccata. E il dubbio mi si conferma guardando alcune riforme normative che si stanno promuovendo a livello nazionale”.
Anche il Questore di Palermo Leopoldo Laricchia - intervenuto a conclusione dell’evento - concorda con gli altri relatori nell’affermare che “il ricordo non basta”, anche se “è necessario perché senza non si può conoscere, comprendere e agire di conseguenza”. “Gli studenti, in primo luogo, devono sapere e comprendere che la politica non si fa cercando di ottenere poltrone. Le poltrone se arrivano sono funzionali al servizio che si deve svolgere. Ma la politica nasce da un impegno quotidiano - ha detto -. Ognuno di noi fa politica se nel suo luogo di lavoro prende determinate scelte, le affronta e le persegue nonostante possano essere svantaggiose per qualche motivo. Quello è fare politica nelle università, nelle scuole, nei movimenti”. “La legislazione è il vostro cimento quotidiano per voi che studiate alla facoltà di giurisprudenza - ha continuato rivolgendosi ai ragazzi di Contrariamente -. La nostra legislazione antimafia non è solo unica e ben strutturata. È anche costata tanto sangue. Quella scia di sangue che stiamo ricordando si lega a questa legislazione. E la comprensione di questo è fondamentale per capire come queste norme vadano maneggiate con rispetto e con cura nelle aule parlamentari, nei tribunali, negli uffici della pubblica amministrazione e in quelle di polizia”. “Anche questo è fare memoria”, ha concluso il Questore.

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