Domenica 28 luglio 1985: precisamente trentasette anni fa venne ucciso da Cosa Nostra il commissario Giuseppe Montana, poliziotto della catturandi di Palermo, la squadra che lavorava per arrestare i mafiosi ancora latitanti.
La sera il commissario si trovò a Santa Flavia, a pochi chilometri da Palermo. ‘Beppe’, dopo una gita a bordo del motoscafo "Speedy el Sud", scese a terra e venne raggiunto dai colpi di una 357 Magnum e di una calibro 38. I sicari gli spararono in faccia davanti alla fidanzata Assia e agli amici, lasciandolo in lago di sangue. La sua eliminazione avvenne in un contesto storico estremamente peculiare: i giudici del pool antimafia, Paolo Borsellino e Giovanni Falcone stavano preparando l’istruttoria al maxi processo che vide a giudizio tutti i pezzi da 90 della mafia siciliana. Furono proprio le rivelazioni di Tommaso Buscetta che portarono all'arresto di oltre 600 mafiosi nel famoso "maxiblitz di San Michele". Nell'operazione si distinse proprio Giuseppe Montana, nativo di Agrigento, che arrivò a Palermo all'indomani dell'omicidio del generale Carlo Alberto dalla Chiesa.
Ciò che rese Montana un investigatore di spicco fu anche la sua idea di costituire un team speciale per scovare i latitanti. E la cosa funzionò: vennero arrestati la maggior parte dei 475 mafiosi finiti in galera su disposizione del pool antimafia.
Beppe Montana, a sinistra, e Ninni Cassarà, a destra © Archivio Letizia Battaglia
La cattura dei latitanti
Beppe Montana arrivò a Palermo nel 1982 durante la seconda guerra di mafia, che vide i corleonesi di Totò Riina e Bernardo Provenzano da una parte e dall’altra i boss palermitani Stefano Bontade, Totuccio Inzerillo e Rosario Riccobono. Fu a Palermo che insieme al vicequestore Ninni Cassarà, Montana fondò la sezione ‘catturandi’ della squadra mobile che aveva come unico scopo quello di arrestare i boss latitanti. Il commissario lavorò con una decina di ragazzi, tutti giovani e motivati. “La squadra di Beppe era unita, di alto livello, - disse il fratello di Beppe, Dario Montana - formata alla scuola di Cassarà. Facevano sacrifici personali, pagavano affitti di appartamenti che utilizzavano per compiere appostamenti, andavano in giro senza armi, in borghese, per ascoltare ogni sussurro, non sottovalutavano alcuna notizia. Spesso i ragazzi di mio fratello andavano alle feste di paese, magari abbordavano le ragazze per avere informazioni utili, per conoscere il territorio”.
Montana e Cassarà misero su non solo una squadra specializzata in cattura di latitanti, ma elaborarono un nuovo modello investigativo infallibile. Infatti, ebbero risultati significativi come con l'operazione a Bonfornello nel 1984, nel palermitano, dove erano stati arrestati un boss latitante e due mafiosi con posizioni di rilievo insieme a sette affiliati. Tra i criminali catturati durante la sua carriera in polizia, anche gli assassini di Rocco Chinnici e del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, ucciso nel 1982 insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e all'agente Domenico Russo, oltre ad aver seguito diverse attività investigative insieme a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Il generale Carlo Alberto dalla Chiesa e la moglie Emanuela Setti Carraro © Archivio Letizia Battaglia
Montana riuscì anche a scoprire numerose raffinerie di droga e depositi di armi, e insieme a Cassarà e Calogero Zucchetto. Quest’ultimo andava in giro nelle borgate palermitane con il suo motorino a caccia di latitanti o di chi potesse fornirli informazioni. Per questo fu assassinato da due killer di Cosa nostra il 14 novembre 1982.
Il commissario contribuì anche a stilare il famoso “rapporto dei 162”: il primo vero tentativo di delineare una mappa aggiornata di Cosa nostra e degli equilibri in via di definizione a seguito dell’avvio dell’ultima guerra di mafia. Gli indiziati furono 161 affiliati - tra cui il boss Michele Greco - legati tra loro e facenti parte di diverse famiglie della città e della provincia.
I colpi inferti a Cosa nostra stavano sempre più aumentando, così la mafia dovette correre ai ripari: eliminando i fautori di questa rivoluzione investigativa, come accaduto in passato con Boris Giuliano. “L’omicidio di mio fratello, come quello di altri investigatori, è un delitto politico-mafioso - decretò Dario Montana - perché un poliziotto può restare ucciso durante una rapina, ma in questo caso la sua eliminazione ha come obiettivo la distruzione di un patrimonio investigativo”.
I funerali di Beppe Montana © Archivio Letizia Battaglia
Bisognerà aspettare il 1994 per sapere quale fosse il movente dell'omicidio di Beppe Montana e in parte, quello Ninni Cassarà. Il pentito Francesco Marino Mannoia, fratello di Salvatore, rivelerò che i due delitti furono pilotati da una ‘talpa' di Cosa nostra negli uffici della polizia.
E sempre grazie alle sue dichiarazioni vennero condannati all'ergastolo per l'omicidio di Montana, Totò Riina, Michele Greco, Francesco e Antonio Madonia, Bernardo Provenzano, Bernardo Brusca, Raffaele e Domenico Ganci, Salvatore Buscemi, Giuseppe e Vincenzo Galatolo. Fine pena mai, anche per l’esecutore materiale del delitto, Giuseppe Lucchese.
In foto di copertina: Beppe Montana, a sinistra (by “The Vision”)
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