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 "Questo è il paese felice in cui se ti si pone una bomba sotto casa, e la bomba per fortuna non esplode, la colpa è la tua che non l'hai fatta esplodere"

Il fallito attentato all'Addaura fu soltanto uno dei tentativi messi in atto da Cosa Nostra per uccidere giudice Giovanni Falcone: dal 1983 al 1992, ce ne furono ben quattro. Nel 1985, secondo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Francesco Paolo Anzelmo, si volle uccidere il giudice con un fucile di precisione; il secondo, nel 1989, all'Addaura; il terzo nel 1991 a Roma, Totò Riina inviò nella Capitale un commando di morte fatto di uomini scelti, Matteo Messina Denaro, i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, Lorenzo Tinnirello e Fifetto Cannella; e in ultimo la Strage di Capaci.
Tra i quattro, solo quello dell'Addaura e quello di Capaci furono eseguiti con degli esplosivi e solo l'ultimo di questi si portò a compimento.
Nello specifico la strage dell'Addaura, come definita dalle sentenze, avvenne il 21 giugno 1989, quando furono presenti Falcone e i colleghi elvetici Carla Del Ponte e Claudio Lehmann, giunti a Palermo per una rogatoria sul riciclaggio dell’inchiesta “Pizza connection", relativa al riciclaggio di denaro sporco collegato al traffico di droga di cui Cosa Nostra aveva il controllo.
Quel giorno un borsone pieno di tritolo venne trovato tra gli scogli della spiaggetta della villa, presa in affitto da Falcone all’Addaura per l’estate, dagli uomini della sua scorta.
L’attentato fu risultato diretto a uccidere, l’ordigno era nelle condizioni di esplodere e aveva un raggio di letalità pari a circa 60 metri.
Anche se la bomba non esplose, ci fu comunque al tempo una massiccia campagna di disinformazione messa in atto da molti organi di stampa prima e dopo l'attentato. "Questo è il paese felice in cui se ti si pone una bomba sotto casa e la bomba per fortuna non esplode, la colpa è la tua che non l'hai fatta esplodere" disse Falcone accusato di aver impiegato il collaboratore di giustizia Salvatore Contorno per catturare latitanti e per eliminare appartenenti al gruppo dei 'corleonesi' e con la diffusione della falsa notizia di un incontro a Palermo tra Tommaso Buscetta con il barone Antonino D’Onufrio.
Le attività di indagine, grazie anche alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia - tra cui Giovanni Brusca, Antonino Giuffrè e Baldassare Ruvolo - hanno consentito di ottenere importanti e granitiche verità, riconosciute da un duplice verdetto della corte di Cassazione del 6 maggio 2004 e del 26 marzo 2007.
I giudici hanno individuato Salvatore Riina come mandante; Salvatore Biondino (suo braccio destro e sostituto del capo mandamento di San Lorenzo, all'epoca detenuto, Giacomo Giuseppe Gambino), Antonino Madonia (uomo d'onore della famiglia di Resuttana, in cui è ubicata l'Addaura, e figlio del capo dell'omonimo mandamento Francesco), Francesco Onorato (reggente della famiglia mafiosa di Partanna Modello), Vincenzo Galatolo (rappresentate della famiglia dell'Acquasanta, rientrante nel mandamento di Resuttana) e Angelo Galatolo (figlio di Giuseppe e nipote di Vincenzo), quali esecutori del delitto di strage; Giovan Battista Ferrante (uomo d’onore di San Lorenzo) quale responsabile della detenzione e del porto dell’esplosivo. Una verità che è stata corroborata, a seguito di una successiva indagine, dal rinvenimento dell’impronta del Dna di Galatolo sulla maglietta rinvenuta a ridosso dell’ordigno e che ha resistito ai tentativi di depistaggio dell’artificiere Francesco Tumino e derivanti dalle dichiarazioni del mafioso Angelo Fontana, che accusò falsamente di aver partecipato all’agguato.
Ferrante, sentito dall'allora magistrato di Caltanissetta Luca Tescaroli (oggi procuratore aggiunto di Firenze), comunicò, nel pomeriggio del 15 luglio del 1996, che il fallito attentato all’Addaura, a Mondello, avrebbe dovuto essere eseguito il 20 giugno 1989. Dato di non poca rilevanza, se si considera che i programmi e la presenza della delegazione elvetica, erano tenuti segreti.
Tre giorni prima, Antonino Madonia richiese a Salvatore Biondino di procurargli l’esplosivo e che quest’ultimo, avuta l’autorizzazione da Salvatore Riina, si attivò per recuperarlo, chiedendo il suo aiuto. Inoltre raccontò di essere certo che l’artefice di tutto fosse stato Madonia e in seguito Francesco Onorato confessò il proprio coinvolgimento nell’attentato e consentì, con le sue dichiarazioni, di ampliare le conoscenze sulle modalità organizzative ed esecutive, riferendo di una riunione preparatoria tenutasi presso l’abitazione di Mariano Tullio Troia e che era stato Angelo Galatolo a collocare 'la borsa' contenente l’ordigno.
Nonostante non sia più possibile accertare la verità giudiziaria, in quando il reato di strage caduto in prescrizione, sono molti ancora gli elementi che puntano il dito contro quelle 'menti raffinatissime' di cui il giudice Falcone parlò subito dopo la strage dell'Addaura.

Falcone fece il nome di Bruno Contrada
È un fatto noto che all’indomani del fallito attentato il giudice Giovanni Falcone parlò in un'intervista al giornalista e scrittore Saverio Lodato, allora giornalista dell'Unità ed oggi nostro editorialista, di “menti raffinatissime” che si nascondevano dietro quell'attentato.
"Chiesi a Giovanni Falcone chi fossero le ‘menti intelligentissime e raffinatissime' che avevano guidato la mafia e a cui lui aveva fatto riferimento dopo il fallito attentato dell'Addaura. Fui molto insistente di fronte allo stato d'animo suo. Aveva la consapevolezza che per lui era iniziato un conto alla rovescia. Lo incalzai su quel nome, o su uno di quei nomi, o su più nomi. E lui me lo fece. Il nome era quello del Dott. Bruno Contrada" disse Saverio Lodato, intervenuto su La7 nello speciale di Atlantide, condotto da Andrea Purgatori, dedicato alla memoria del giudice ucciso a Capaci il 23 maggio 1992.
Quello di Bruno Contrada non è un nome qualunque, condannato in via definitiva nel 2007 a 10 anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa.
Per i giudici della Corte di Strasburgo invece, non doveva essere condannato per concorso esterno in associazione mafiosa perché, all'epoca dei fatti (1979-1988), il reato non "era sufficientemente chiaro".

Analisi di un testimone
Leggendo le carte è chiaro che emergono degli interrogativi.
In primo luogo appare assurdo come il magistrato, nonostante quelle dichiarazioni forti pubblicate su l'Unità, sia stato chiamato a testimoniare solo un anno e mezzo dopo dei fatti.
Una lentezza negli accertamenti che ricorda quel che avvenne con Borsellino qualche anno dopo, quando nel celebre discorso di Casa Professa di fatto chiese di essere sentito come testimone dalla Procura di Caltanissetta che indagava sulla strage di Capaci. Non fu mai chiamato, e il 19 luglio 1992 morì assieme agli agenti della sua scorta.
Ma leggendo il verbale del 4 dicembre 1990 in cui Falcone venne interrogato come parte lesa nell’inchiesta sul fallito attentato all'Addaura non si può non evidenziare come non gli sia stata fatta alcuna domanda su cosa intendesse dire con quella terminologia, "menti raffinatissime", detta appena un anno e mezzo prima.
Ovviamente l'allora giudice istruttore del capoluogo siciliano aveva chiaro come "il mio perdurante collegamento con i colleghi svizzeri in tema di indagini concernenti il riciclaggio rafforza ancora di più il sospetto che si sia inteso in qualche modo lanciare un avvertimento per rendere ‘meno pronta’ (le virgolette sono nel verbale, ndr) l’assistenza giudiziaria da parte della Svizzera".
E sempre Falcone, in quell'occasione, dimostrava di avere un'idea di quelli che potevano essere, sul piano pratico, gli esecutori (“Marino Mannoia mi ha detto di essere certo che non poteva essere estranea la famiglia Madonia, sarebbe interessante comparare l’identikit con la fotografia dei componenti della famiglia Madonia, e in particolare con Salvatore Madonia").
Quindi, in altri punti del verbale, riportati dal 'Fatto', si legge anche che "per completezza" Falcone aggiunse due valutazioni: la prima riguardo all'ipotesi improbabile di coinvolgimenti nell’attentato diversi da quelli comunque riferibili a Cosa Nostra (“se avesse avuto una matrice diversa, in un modo o nell’altro l’organizzazione mafiosa avrebbe fatto sapere di essere estranea"); la seconda sull'esclusione di un possibile ruolo degli agenti Emanuele Piazza (al tempo scomparso) e Nino Agostino (ucciso assieme alla moglie il 5 agosto 1989), su cui al tempo la Procura di Palermo stava indagando (“Dalle indagini non è emerso nulla di particolare che possa far ritenere che i due fossero in qualche modo collegati con il mio attentato").
Bastano queste convinzioni per dimostrare che non esistono mandanti esterni?
Assolutamente no, specie se si considerano gli elementi acquisiti nel tempo.
Guardando sempre al verbale Falcone inquadra ulteriormente il contesto di quei giorni in cui si sarebbe dovuto consumare l'attentato.
La coincidenza dell’attentato con la presenza dei giudici svizzeri che sarebbero rimasti sicuramente coinvolti nell’esplosione mi induce a una seria riflessione ove si consideri le abitudini e metodi operativi di Cosa Nostra - analizzava con lucidità - Quasi sicuramente non sarebbero stati uccisi dei magistrati di un altro Paese ove ciò non fosse stato ritenuto opportuno e necessario". E dopo avere premesso che “ove si fosse voluto prendere di mira soltanto la mia persona avrei potuto essere oggetto di attentati in mille altri modi e in mille altri luoghi".

Il centro 'Scorpione', la Gladio siciliana,
Come l'attentato all'Addaura può collegarsi al centro 'Scorpione'?
Il filone parte dal caso di Mauro Rostagno, in particolare da due documenti - la cui esistenza è stata riportata dal quotidiano 'Il Giornale' in un articolo a firma di Gianluca Zanella - la cui autenticità deve essere ancora confermata, prodotti dal centro 'Scorpione' e classificati come “riservatissimo" e già introdotti nel processo per la morte del giornalista.
Il primo documento è datato 18 giugno 1989. Il secondo, 24 giugno 1989. Nel primo (a distruzione immediata) si autorizzava l’inizio di un’esercitazione denominata “Domus Aurea”, la quale doveva svolgersi nella località di Torre del Rotolo, un luogo vicino all’Addaura e vicino alla villa di Giovanni Falcone.
L'attentato all'Addaura ci sarà appena tre giorni dopo.
Il secondo documento, invece, si colloca tre giorni dopo il fallito attentato, e indica nella stessa area il recupero del materiale utilizzato nell’esercitazione “Demage Prince”, nello specifico si parla di tute da sub e “relativo materiale esplodente eventualmente in avanzo da esercitazione”.
Sul quotidiano viene specificato che tra il primo ed il secondo documento il nome dell’esercitazione cambia: prima è "Domus Aurea", poi "Demage Prince".
Non è la prima volta che il nome di Trapani viene associato, nei processi, a massonerie deviate, servizi segreti (infedeli) e mafie. Basti pensare alla sentenza di condanna per i boss che nel 1988 avevano ucciso il giornalista Mauro Rostagno, in cui era emerso un rapporto riservatissimo del Sisde del 1991, nel quale si dice che i dirigenti del centro Scorpione incontravano elementi di spicco di alcune famiglie mafiose.
E poi altri casi: come ad esempio la loggia Scontrino, l'attentato all'ora magistrato Carlo Palermo, l'omicidio dell'ex presidente della Corte d'Assise Alberto Giacomelli e l'assassinio del giudice Ciaccio Montalto.
Inoltre sempre in quella provincia nel 1993 era stato scoperto nella villa di un carabiniere un deposito enorme di armi da guerra e di esplosivo di cui non si è mai capito l’origine e che molti ritengono essere uno degli arsenali utilizzati dalla struttura Gladio o da una struttura similare.
Ricordiamo che lo stesso Falcone stava indagando su Gladio nel 1989, cioè ben prima che ne fosse stata rivelata l'esistenza al grande pubblico.

Sentenza della Cassazione: clicca qui!

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