Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

Per decenni al 41bis non parlò mai coi pm. Fu lui a dire a Cancemi dei contatti tra Riina e “persone importanti” esterne alla mafia

E’ morto Raffaele Ganci, padrino di Cosa nostra dello storico mandamento della Noce di Palermo, ancora uno dei più potenti, di cui era capo mandamento. Condannato a diversi ergastoli e considerato uno dei capi indiscussi della cupola, venne arrestato il 10 giugno 1993 dopo cinque anni di latitanza insieme ai suoi figli Calogero e Nunzio Ganci e a suo genero Francesco Paolo Anzelmo. Era ritenuto responsabile dell’omicidio del generale e prefetto di Palermo Carlo Alberto dalla Chiesa, ucciso il 3 settembre 1982, ma anche dell’omicidio del giornalista Mario Francese e dei boss Stefano Bontate, Salvatore Inzerillo e Salvatore Scaglione, che uccise durante una grigliata, al quale prese il posto come capo del mandamento della Noce. Ganci fu uno dei membri della commissione di Cosa nostra che decise le morti dei magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nel ’92 dando voto favorevole agli attentati ai quali i figli aderirono al commando esecutivo. Raffaele Ganci era vicinissimo al capo dei capi Totò Riina al punto che questi gli affidò la gestione della sua latitanza: “Io ho la Noce nel cuore”, diceva Riina. Detenuto al 41 bis da ormai 30 anni, ad aprile, era stato trasferito nell’ospedale San Paolo di Milano in seguito all’aggravamento delle sue condizioni di salute. Il boss, che aveva 90 anni, era ospitato all’interno di un reparto detentivo, ufficialmente restava al 41 bis, ma era assistito da uno staff di medici e infermieri. Proprio come era accaduto a Riina, morto il 17 novembre 2017 all’ospedale di Parma. In vita non si è mai pentito né ha mai collaborato con la giustizia come invece ha fatto il figlio Calogero che nel 1996 decise di saltare il fosso. Di tutta risposta il padre, irriducibile di Cosa nostra, lo rinnegò pubblicamente come figlio. Ai magistrati, Calogero Ganci, che aveva avuto un ruolo di pedinamento dell’autista di Falcone in quel 23 maggio del 1992, ha raccontato molto dei suoi anni in Cosa nostra, trascorsi accanto al padre.

Ganci nelle parole del pentito Cancemi
Si tratta di circostanze di cui Raffaele Ganci non ha mai detto una parola agli inquirenti. Eppure di cose da dire ne aveva. Il pentito Salvatore Cancemi raccontò in un verbale rilasciato all’ex procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini (ora in pensione) che Raffaele Ganci gli riferì dell’esistenza di contatti tra Totò Riina e “persone importanti” non affiliate a Cosa nostra.
Sempre Cancemi nel libro-intervista al nostro direttore Giorgio Bongiovanni dal titolo “Riina mi fece i nomi di…” (Massari Editore), alla domanda del direttore se Riina avesse “calcolato che ci sarebbe stata una reazione forte da parte dello Stato” dopo l’esecuzione di un attentato a Paolo Borsellino, aveva risposto di “no” e che “secondo gli accordi che aveva, dovevamo ottenere solo vantaggi” e disse inoltre ai suoi di “stare calmi che lui stava pensando a sistemare tutte le cose”. Sul punto, Cancemi, dicendosi convinto che Riina “per la strage Borsellino ha parlato con persone di fuori”, riferì di una riunione in cui “ha portato la cosa come già fatta” e al termine della quale “Riina e Ganci si sono appartati”. Cancemi riferì che non sentendo “quello che diceva Ganci”, “mi sembrava che gli esprimesse delle perplessità”. “Ho sentito invece - raccontò il pentito - la voce più piena di Riina che diceva: ‘Falù (Raffaele, ndr), fermo. La responsabilità è mia, me la piglio io, si deve fare al più presto possibile”. Una circostanza che rimanda a quella famosa e insolita accelerazione - probabilmente sollecitata da forze esterne alla mafia - del progetto di morte contro Borsellino che oggi è certificata nelle pagine della sentenza di primo grado del processo Trattativa Stato-mafia in cui è stata affrontata la vicenda del papello consegnata allo Stato e contenente le richieste di Cosa nostra per cessare le stragi.
Su Ganci, però, aleggia anche il dubbio che fosse stato uno dei boss che consegnò Riina - reo di aver esposto troppo Cosa nostra con le bombe - o che, quantomeno, nonostante la sua vicinanza a “‘u curtu”, non sarebbe poi stato così sfavorevole ad un suo possibile arresto. Anche perché a domanda diretta di Bongiovanni se Ganci non fosse d’accordo con le stragi volute da Riina, Cancemi rispose che ad una riunione precedente alla sua consegna ai carabinieri avvenuta il 22 luglio 1993, “mi ha detto sfogandosi: ‘Chistu nu vole cunsumare a tutti’”, precisando poi che la perplessità del capomandamento della Noce era più per “i risultati che potevamo ottenere che non altro”. Successivamente il pentito risponde a un’altra domanda diretta del direttore proprio sulla possibilità che Ganci, assieme a Bernardo Provenzano - che era più per una Cosa nostra da basso profilo - si siano messi d’accordo per consegnare Riina dopo il clamore delle stragi. “Io posso dire solo quello che mi consta”, rispose Cancemi. “Non lo so con certezza”. E probabilmente non lo sapremo mai ora che Ganci è morto e si è trascinato con sé un bel gruzzoletto di segreti. Del resto, come ha detto di recente l’ ex procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato (oggi in pensione), Ganci era una di quella “quindicina” di persone - insieme a Santapaola e ai Graviano - che potrebbero raccontare una verità completa sulle stragi di mafia.

ARTICOLI CORRELATI

Trentennale stragi, Scarpinato: ''Italia incapace di affrontare la verità''

La Trattativa Stato-Mafia e la morte di Paolo Borsellino

Stragi del '93: i pm di Firenze interrogano l'ex magistrato Ilda Boccassini

Stragi '92, processo Messina Denaro: parla Ganci

'Ndrangheta stragista, il pentito Ganci: ''I Piromalli erano un punto di riferimento per Cosa nostra

Capaci bis, Calogero Ganci: “Mio padre non mi parlò di soggetti esterni per la strage”

TAGS:

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos