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Su 'Il Giornale' l'intervista esclusiva al criminologo Federico Carbone

Il centro 'Scorpione' (la Gladio siciliana), stanziato a Trapani, potrebbe aver avuto un ruolo, marginale o diretto, nel fallito attentato all'Addaura del 21 giugno 1989, consumato quando erano presenti Giovanni Falcone e i colleghi elvetici Carla Del Ponte e Claudio Lehmann, giunti a Palermo per una rogatoria sul riciclaggio dell’inchiesta “Pizza connection".
La notizia è stata data dal quotidiano 'Il Giornale' in un articolo a firma di Gianluca Zanella.
Non è la prima volta che il nome di Trapani viene associato, nei processi, a massonerie deviate, servizi segreti (infedeli) e mafie. Basti pensare alla sentenza di condanna per i boss che nel 1988 avevano ucciso il giornalista Mauro Rostagno, in cui era emerso un rapporto riservatissimo del Sisde del 1991, nel quale si dice che i dirigenti del centro Scorpione incontravano elementi di spicco di alcune famiglie mafiose.
Inoltre sempre in quella provincia nel 1993 era stato scoperto nella villa di un carabiniere un deposito enorme di armi da guerra e di esplosivo di cui non si è mai capito l’origine e che molti ritengono essere uno degli arsenali utilizzati dalla struttura Gladio o da una struttura similare.
Ricordiamo che lo stesso Falcone stava indagando su Gladio nel 1989, cioè ben prima che ne fosse stata rivelata l'esistenza al grande pubblico.
E poi altri casi: come ad esempio la loggia Scontrino, l'attentato all'ora magistrato Carlo Palermo, l'omicidio dell'ex presidente della Corte d'Assise Alberto Giacomelli e l'assassinio del giudice Ciaccio Montalto.
Ma come l'attentato all'Addaura può collegarsi al centro 'Scorpione'?
Il filone parte dal caso di Mauro Rostagno, in particolare da due documenti, la cui autenticità deve essere ancora confermata, prodotti dal centro 'Scorpione' e classificati come “riservatissimo" e già introdotti nel processo per la morte del giornalista.
Il primo documento è datato 18 giugno 1989. Il secondo, 24 giugno 1989. Nel primo (a distruzione immediata) si autorizzava l’inizio di un’esercitazione denominata “Domus Aurea”, la quale doveva svolgersi nella località di Torre del Rotolo, un luogo vicino all’Addaura e vicino alla villa di Giovanni Falcone.
L'attentato all'Addaura ci sarà appena tre giorni dopo.
Il secondo documento, invece, si colloca tre giorni dopo il fallito attentato, e indica nella stessa area il recupero del materiale utilizzato nell’esercitazione “Demage Prince”, nello specifico si parla di tute da sub e “relativo materiale esplodente eventualmente in avanzo da esercitazione”.
Sul quotidiano viene specificato che tra il primo ed il secondo documento il nome dell’esercitazione cambia: prima è "Domus Aurea", poi "Demage Prince".
Il criminologo Federico Carbone, sentito in un’intervista esclusiva per ‘Il Giornale’ spiega che “è una cosa piuttosto comune nelle comunicazioni militari riservate o – come in questo caso – riservatissime. Era un modo per evitare che, a posteriori, si potessero fare collegamenti certi".

La morte di Vincenzo Li Causi e Marco Mandolini
L’inchiesta sulla morte del maresciallo della Folgore Marco Mandolini è stata riaperta dal gip di Livorno nel settembre del 2021 a seguito della richiesta dei famigliari di non archiviare il caso. La nuova pista parla di bombe, di stragi, del periodo a cavallo tra gli anni Ottanta e il 1993, di traffico di armi e di rifiuti tossici in Somalia: in una parola Gladio, o meglio, la sua formazione semi-clandestina e criminale denominata Falange Armata.
Ad oggi la famiglia è affiancata nella ricerca della verità dal criminologo Federico Carbone e dall’avvocato Dino Latini. Mandolini, ricordiamo, è stato ufficialmente trovato morto il 13 giugno 1995 sugli scogli del Romito, alle porte di Livorno. I dettagli del ritrovamento sono raccapriccianti: il corpo è stato ritrovato maciullato con segni di oltre quaranta coltellate e la testa fracassata, probabilmente da un masso pesante 25 chili.
Marco, nome in codice “Kondor” o “Ercole” non era un uomo qualunque: ma un incursore dei corpi speciali dell’Esercito italiano Col Moschin, sottufficiale della Folgore in forza al Sismi, il servizio segreto militare, parlava diverse lingue, tra cui l’arabo e il russo, era un addestratore esperto ma - soprattutto - era stato capo della sicurezza del generale Bruno Loi nella missione Ibis in Somalia del 1993. Dall’omicidio sono passati 29 lunghi anni eppure la famiglia, grazie alla quale la vicenda resta al centro delle cronache, non sa ancora chi e perché ha ucciso Marco.
Marco Mandolini era anche amico, oltre che collega, di Vincenzo Li Causi, capo del centro 'Scorpione' e morto ammazzato il 12 novembre del 1993 in Somalia, secondo la versione ufficiale, durante una sparatoria tra fazioni somale in lotta.
Secondo 'Il Giornale' è probabile che i due militari, in quanto amici, avrebbero potuto condividere dei segreti e informazioni sensibili. Informazioni che, forse, ne potrebbero aver determinato la morte.
Inoltre, stando a diverse testimonianze, sembra che Mandolini si fosse messo in testa di indagare riservatamente sulle reali circostanze della morte di Li Causi. È qui, secondo il criminologo Carbone, che va ricercato il movente della sua uccisione.
Nell'articolo di Gianluca Zanella è stata riportata l'intervista al criminologo in riferimento ai documenti prodotti dal centro 'Scorpione'. "Quello che posso dire" ha detto "è che questa produzione documentale sta assumendo un’importanza che forse nel passato non ha avuto. Se andiamo poi a contestualizzarla rispetto al fallito attentato all’Addaura, diventa particolarmente importante perché ci ritroviamo a collocare all’interno del centro Scorpione Mandolini e Li Causi. E questo è innegabile. Sappiamo grazie ai documenti che Mandolini operava in qualche modo presso il centro Scorpione e che lo stesso Li Causi era subentrato come direttore dopo il colonnello Paolo Fornaro. Ora, la domanda che si pone è: quali operazioni svolgeva, supervisionava, coordinava il centro Scorpione? Di quale natura?  "Dai documenti (in cui si richiede espressamente la presenza di Marco Mandolini, n.d.r), sappiamo che nell’area di competenza del centro Scorpione si sono svolte delle esercitazioni nei giorni immediatamente precedenti e immediatamente successivi al fallito attentato a Giovanni Falcone", ha detto il criminologo.
Inoltre tra febbraio e marzo a Livorno è stato sentito l'ex carabiniere Paolo Belligi che tra la fine del 1993 e l’inizio del 1994 ha preso parte all’Operazione “Ibis” in Somalia. Belligi era arrivato in Somalia poco dopo e il 26 agosto del 1997, presso la Procura di Roma, nell'ambito del processo per l'uccisione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, aveva rilasciato le seguenti dichiarazioni: "Per quanto attiene la morte dell'ex agente Sismi Li Causi Vincenzo ricordo che, secondo voci circolanti nel nostro Reggimento in Italia, si diceva che la versione ufficiale dei fatti, secondo la quale il Li Causi sarebbe stato ucciso accidentalmente nel corso di una sparatoria tra fazioni somale, era poco verosimile in quanto più attendibile quella, di corridoio, secondo la quale il ‘Maresciallo Li Causi’ sarebbe stato ucciso dagli altri due ‘militari’ che quel giorno erano usciti" in servizio con lui. Si vociferava, infatti, che, in passato, il Li Causi avesse effettuato delle indagini delicate". Su sollecitazione di Carbone, la procura di Livorno ha nuovamente convocato il teste che ha confermato pienamente quanto affermato 25 anni fa.

Fonte: ilgiornale.it

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