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Lo Nigro tornato in libertà aveva ripreso il controllo sul territorio

La droga a Palermo arriva soltanto se Cosa Nostra lo sa.
L'esistenza di un traffico dal valore di milioni di euro, l'Ospedale Civico usato come magazzino per lo stupefacente, le ruberie di mascherine Ffp3 (circa 16 mila) e la gestione delle forniture d'acqua.
Sono queste alcune delle attività illecite che la grossa operazione condotta ieri è riuscita a scoprire.
I Carabinieri e la Polizia di Stato, coordinati dal pool antimafia di Palermo, guidato dall’aggiunto Paolo Guido, hanno eseguito 31 misure di custodia cautelare (29 in carcere e 2 agli arresti domiciliari).
Coinvolto anche il mandamento di Ciaculli e i clan di Roccella e Corso dei Mille, una delle famiglie più blasonate di Cosa Nostra.

Infatti durante l'operazione è stato arrestato Antonio Lo Nigro, 43enne detto 'u Ciolla', indicato dagli inquirenti come "elemento di vertice della famiglia mafiosa di Corso dei mille". Suo cugino, Cosimo, era stato incaricato di procurare l’esplosivo per la strage Falcone, poi aveva fatto anche parte del commando che uccise don Pino Puglisi e aveva organizzato le stragi del 1993.
Il ritorno dirompente 'all'affare droga' per Cosa nostra è ormai un’evidenza: sul business degli stupefacenti e sulla spartizione delle piazze di spaccio (soprattutto allo Sperone) gli interessi delle cosche restano fortissimi.

Il pentito Filippo Bisconti infatti ha rivelato che oggi se "arriva un carico di droga a Palermo arriva solo e soltanto se Cosa Nostra lo sa. Nella fattispecie quelli che possono comprare grossi quantitativi di droga a Palermo non sono tanti, uno di questi è Tonino Lo Nigro".
'u Ciolla' dopo un periodo di latitanza era stato arrestato il 6 maggio 2018 a Cassino. Ma dai domiciliari, in una casa di via Messina Marine, avrebbe continuato, scrivono gli investigatori, "ad avere contatti con altri appartenenti al sodalizio mafioso" per occuparsi di droga, perché "lo Sperone è Ciolla", hanno detto in un’intercettazione i fratelli Giuseppe e Alessandro Marsalone il 24 aprile 2020.

Di Lo Nigro hanno parlato anche diversi collaboratori di giustizia tra cui Vito Galatolo, Sergio Macaluso, Francesco Colletti e Antonino Pipitone.
Il 24 aprile 2020 il ritorno in libertà e "da quel momento - sostengono gli inquirenti - Lo Nigro grazie anche alla preziosa collaborazione dei suoi più fidati collaboratori, tra i quali Giancarlo Romano e Piero Mendola, riprendeva il territorio", segno evidente che l'unica garanzia che un 'affiliato' si sia realmente staccato dell'organizzazione e che non torni a delinquere con essa è la collaborazione piena con la giustizia. Con buona pace di chi sostiene il contrario.

Qualche anno fa, in un dibattito, l’allora Procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato aveva evidenziato “l’espansione crescente ed inarrestabile di domanda di beni e servizi illegali, alimentati da normali cittadini". "Le indagini - aggiungeva il magistrato - hanno lumeggiato un panorama sociale che non è mafioso o colluso ma che, ciò nonostante, contribuisce ad alimentare un popolo di consumatori accaniti di varie droghe. Un popolo trasversale di tutte le generazioni, appartenente a varie classi sociali: commercianti, professionisti ed altre figure".
Ma c’è chi dice che la mafia non c’è più. Perché non ci sono i regolamenti di conti interni, non ci sono gli omicidi eccellenti, non vengono messi i lucchetti o la colla ai negozi, non vengono bruciate le macchine o tagliati i copertoni, non scorre più il sangue in città.
E’ tutto straordinariamente pacifico. Eppure a Palermo la maggioranza dei commercianti paga il pizzo e la città è inondata di droga.


puglisi pino pb

Padre Pino Puglisi


Spatuzza, il killer di Don Pino Puglisi, sparito di cella
Tra le strade di Brancaccio, Salvatore Catalano e Giovanni Spanó, hanno parlato del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza. L'intercettazione è finita agli atti dell'inchiesta di ieri.
"Ma chi comanda a Brancaccio?" Aveva chiesto Catalano e la risposta è stata 'u' Ciolla', Antonino Lo Nigro, che gli inquirenti indicano pure come cugino dei fratelli Graviano, i quali "sarebbero morti in carcere in particolare per scontare l'ergastolo per l'omicidio di Padre Pino Puglisi". "Minchia hanno ammazzato un Santo. Però quello che lo ha ammazzato è pentito" ha detto ancora Catalano riferendosi a Spatuzza. "Minchia questo in galera s'annacava. Minchia pareva Totò... a cavallo. Una mattinata: 'ma dov'è? dov'è? boh'. Forse l'hanno trasferito di notte a notte".

L'Ospedale Civico usato come base di appoggio per la droga
Le indagini hanno rivelato un vero e proprio uso strumentale dei locali dell'ospedale per operazioni logistiche legate agli stupefacenti.
Pietro Paolo Garofalo girava per i corridoi della struttura sanitaria come ex pip del cosiddetto 'Bacino d'emergenza Palermo'. Petruzzo "gravato da precedenti in materia di droga", avrebbe "intrattenuto stretti rapporti con Antonino Giuliano fratello di Giuseppe Giuliano", il Folonari, "quest'ultimo appartenente alla famiglia mafiosa di Corso dei Mille, legato a Garofalo da un consolidato rapporto di affari concernente il traffico di sostanze stupefacenti, preesistente, quindi, all'avvio delle indagini". Come il "fratello, Giovanni, è anch'egli  - hanno rilevato gli inquirenti - dedito al traffico di sostanze stupefacenti, entrambi figli di Francesco Paolo scomparso nel ottobre del 1990".

Ci sarebbe proprio Garofalo dietro "uno dei più significativi episodi del uso strumentale dei locali dell'ospedale, avvenuto il 16 dicembre 2020 quando è stato arrestato Maurizio Caiolo, dipendente della società Rekeep, il quale aveva occultato quasi 50 kg di hashish in un magazzino all'interno dell'ospedale civico". Garofalo avrebbe gestito la Maxi partita di hashish parcheggiata al Civico assieme a Luciano Uzzo, Gioacchino Di Maggio e Maurizio Caiolo. Una volta scoperto è stato arrestato con il carico (il suo nome non figura tra gli indagati nell'ultima inchiesta).
"È ampiamente dimostrato - ha scritto il gip Lirio Conti nell'ordinanza - il colloquio in cui Garofalo diceva a di maggio di avere la disponibilità complessiva di 150 kg di cui 50 già pronti per la consegna, che poteva dunque subito far avere".

Le dimensioni del business di Garofalo erano impressionanti. Così indica un'informativa della squadra mobile del 25 novembre 2019. Nello specifico le carte rivelano come l'ex Pip aveva "intenzione di allargare la propria attività al punto che riteneva che l'acquisto di 10 kg di cocaina non sarebbe stato sufficiente alle sue esigenze". In quel periodo nel suo giro ci sarebbero stati anche Vincenzo Petrocciani e Ignazio Lo Monaco. Tonino Giuliano avrebbe gestito, invece, un canale autonomo ma, per le partite di cocaina, si sarebbe rifornito da Garofalo in una conversazione capitata c'è traccia di undicimila euro pagati. Lo Monaco avrebbe mostrato con Garofalo i suoi contatti e inoltre avrebbe parlato di un veliero recentemente sequestrato a Siracusa con 20 tonnellate di hashish. L'imbarcazione sarebbe stata dei montenegrini che volevano evitare la rotta di Palermo. "Io sono con i montenegrini - ha detto Lo Monaco - e con i serbi. Sono i primi al mondo. La problematica è che qua non vogliono lavorare perché non ci sono famiglie di un certo calibro come una volta. Quando invece vedono i calabresi..." riferendosi alla 'Ndrangheta presumibilmente alludendo a una loro maggiore credibilità presso i montenegrini e i serbi.


ffp3 mascherina depos


Razziate 16 mila mascherine Ffp3
Alle 7,07 del 19 febbraio 2021 il telefonino di Garofalo ha permesso agli inquirenti di registrare la pianificazione del furto ai danni dell'Ospedale Civico. L'indagato stava parlando col collega, anche gli Ex pip, informandolo che "ieri abbiamo scaricato tutto il camion con le mascherine tutte al padiglione 4 tramite l'ascensore... noi li possiamo prendere". "Assai sono?" Aveva chiesto Garofalo. E il sodale: "Minchia ce ne sono un bordello". I due avrebbero deciso di coinvolgere anche Tanuzzo, altro Ex pip: "Deve mangiare pure Tanuzzo... 5 cartoni ne deve far scomparire cinquecento a scatola". La squadra mobile poi aveva trovato conferma del furto di venti cartoni da ottocento mascherine ciascuno. Della messa in vendita di queste ultimi se ne sarebbe occupato in seguito un altro operaio, Peppé, che le aveva passate ad un venditore abusivo di sigarette di Ballarò, "dedito anche allo smercio di cocaina", per duecentocinquanta euro a scatola.

Fiumi di droga e di soldi
Durante l'inchiesta sono stati 16 gli arresti in flagranza per detenzione di sostanza stupefacente e sono stati sequestrati circa 80 chili di droga tra cocaina purissima ancora da tagliare, hashish e marijuana per un valore sul mercato di oltre 8 milioni di euro.
Nello specifico, le carte dell'inchiesta, nell'ambito dei traffici, fanno emergere l'esistenza del gruppo di Emanuele Prestifilippo assieme "ai suoi stretti collaboratori Cosimo Salerno e Francesco Oliveri" ma a fare affari con i carichi di cocaina ed eroina ci sarebbe stata pure "un'organizzazione criminale riferibile alla famiglia della Roccella capeggiata da Maurizio Di Fede".
Prestifilippo e i suoi fedelissimi parlano di erba e i loro movimenti, seguiti passo passo dagli investigatori, hanno permesso sette giorni dopo di trovare in un immobile abbandonato sulla strada che da via Natoli di Villabate porta a Ciaculli, il posto dove le piante di marijuana venivano messe ad essiccare.

Il sequestro dello stupefacente sarà ritardato per non danneggiare le indagini e infatti ci sarà modo di intercettare Prestifilippo a colloquio con il capo mandamento Giuseppe Greco "in merito al taglio delle piante di cui aveva raccolto una quantità pari a quella trasportata in due furgoni". Le coltivazioni, in base a ciò che emerge, rendevano molto. Il 5 ottobre 2019 in un'intercettazione a bordo dell'auto usata da Prestifilippo si faceva riferimento a come, assieme a Cosimo Salerno, avevano prodotto 10 kg di marijuana, per i quali "una terza persona non meglio indicata - hanno specificato gli inquirenti - avevo offerto ventimila euro, cifra tuttavia ritenuta insufficiente".
Nei primi mesi del 2019 l'industria della droga è al centro dell'impegno della famiglia mafiosa, che, secondo gli inquirenti, alla Roccella ha una "strutturata associazione per delinquere" di cui Maurizio Di Fede e Tommaso Nicolicchia sono indicati come i promotori e gli organizzatori.

Giuseppe Ciresi e Onofrio Claudio Palma "in qualità di uomini di fiducia e di stretti collaboratori dei promotori. Ad un altro livello corrispondono le figure di Rosario Montalbano, Salvatore Lotà e quella di Francesco Paolo Patuano".
Inoltre sono stati individuati anche alcuni tra i diversi canali di rifornimento dell'organizzazione tanto in “territorio palermitano quanto in terra calabrese" dove i fornitori sarebbero stati fratelli Piero e Giuseppe Parisi.
Gli inquirenti sono riusciti a ricostruire diverse spedizioni di droga.
Il primo arrivo dei due calabresi è registrato il 21 marzo 2019. Il contatto è di Palma e l'incontro per definire l'affare è avvenuto in Piazza Don Bosco con Di Fede e Ciresi, che nei due giorni precedenti avrebbero raccolto le ordinazioni e i soldi per l'acquisto della droga parentesi".


marijuana rull depos


I due fratelli calabresi avevano timore di essere arrestati e una delle condizioni imposte, rilevano gli inquirenti, "è che lo stupefacente debba essere prelevato trasportato dai palermitani e questo vincolo preoccupa Di Fede: 'Ma se ce lo passano da questa parte a Messina se noi lo dobbiamo andare a prendere da quella parte io non posso non rischio'".
L'Audi S3 con a bordo i fratelli Parisi era arrivata alle 11:40 e alle 13:20 era già pronta per la strada del ritorno. Successivamente toccava a Di Fede, Palma e Ciresi su un'auto e a Francesco Paolo Patuano su un'altra per compiere la missione. Ma la Volkswagen Golf con Patuano al casello di Buonfornello incappa in un controllo.  Nel Carter in plastica dell'aria condizionata sono stati trovati 821,10 grammi di eroina e altri 1117,39 grammi di cocaina ed era scattato l'arresto per il conducente.
Ma nonostante quell'arresto il canale calabrese era rimasto aperto e i viaggi erano continuati perché la domanda di droga in città andava soddisfatta.

Il 20 aprile 2019 è stato registrato il terzo viaggio calabrese. Di Fede aveva sfruttato il momento d'oro e lo spiega a Michele Mondino: "Zio Michele, 50 mila euro di roba a me mi hanno dato senza soldi e l'ho presa... e ora adagio adagio vi do i soldi. Diecimila glieli ho portati ora l'altro ieri ne ho portati un altro poco... non è che mi stanno scannando... in questo minuto a sia quella pura che quella tagliata".  Il 3 maggio un’altra attraversata e questa volta scatta l'arresto per il corriere Nicola Chianello. Di Fede non si dà pace perché delle 7 piazze di spaccio dello Sperone ne avrebbe rifornite almeno tre, fra cui I Cancelli e passaggio De Felice Giuffrida. Piazze che avrebbero sfruttato secondo gli inquirenti circa 80 mila euro a settimana.

Cosa Nostra odia e non dimentica
Uno dei presunti boss, arrestati nell’ultimo blitz antimafia della procura di Palermo, aveva vietato alla figlia di partecipare con la classe alle iniziative per commemorare la strage di Capaci.
Era il maggio del 2019, più precisamente durante i preparativi per il ricordo di Giovanni Falcone, e al boss era stata prospettata l’intenzione della moglie di un affiliato di far partecipare la figlia alle relative iniziative scolastiche sul 23 maggio. La reazione era stata feroce: dopo aver dato della "sbirra" alla parente, aveva sottolineato come lui non avesse mai prestato il consenso alla partecipazione a queste iniziative, definite "vergogne", ribadendo che loro non potevano “immischiare le carte con Falcone e Borsellino”. Per il gip si è trattato di un “atteggiamento sconcertante, il fatto che la “formazione” mafiosa non abbia risparmiato nemmeno una bambina in tenera età che, dopo lunga preparazione, si accingeva a partecipare a una iniziativa scolastica in memoria dei rimpianti Giudici Borsellino e Falcone”.

Anche l'acqua è 'Cosa Nostra'
Un servizio pubblico completamente gestito dal consorzio mafioso. “Eh mi dice una cosa “zu Pinu”‘...ma qualche cinque ore di acqua si possono avere per giovedì?”, così nel giugno del 2019 Emanuele Prestifilippo chiedeva acqua a Giuseppe Cottone. I due, assieme a Francesco Greco e Simone Romano si erano spartiti la competenza delle acque. La sottraevano alla condotta ‘San Leonardo’ e la ripartivano in cambio di soldi agli agricoltori di Ciaculli – Croceverde Giardini e Villabate, per un costo che andava dai 13 ai 15 euro per un’ora di irrigazione. E non si limitavano certo a fornire l’acqua, offrivano perfino un servizio di “guardiania” per “8 euro a tumulo di terra”.

Foto originali: it.depositphotos.com

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