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Il pentito di Cosa nostra: “Chi non collabora, lo fa per continuare a delinquere una volta fuori

A che punto si trova oggi la lotta alle mafie? Sull’orlo di un precipizio. Sento parlare di togliere l’ergastolo ostativo, alleggerire il 41bis. Sarebbe la fine, uno sputo in faccia a Falcone e Borsellino, insieme a tutti gli eroi che hanno difeso gli ideali della giustizia a costo della vita”. A dirlo in un’intervista rilasciata a vivicentro.it, è il pentito di Cosa Nostra Gaspare Mutolo. “Il perdono va dato, certo ma a chi si pente, non a chi resta fermo sulle proprie posizioni”, ha spiegato Mutolo. “Chi si rifiuta di collaborare, lo fa per continuare a delinquere una volta tornato a casa, più pericoloso e potente di prima. Farsi “u carcerieddu” restando zitti è una medaglia al valore mafioso. La dissociazione, solo una presa per i fondelli. Ormai lo sanno che la mafia esiste e come funziona, non deve certo spiegarcelo l’Europa, come si fa. In questa materia, abbiamo i ‘docenti’ migliori al mondo”, ha aggiunto. Secondo l’ex autista di Riina, da anni collaboratore di giustizia e oggi pittore, si dovrebbero “rinforzare ed aggiornare le leggi volute da Falcone e Borsellino, non certo affossarle e soprattutto, ricordarsi di farne anche per punire i collusi di Stato, i politici che comprano voti alla mafia e tutti quelli che si lasciano corrompere”. “La mafia - ha continuato - si propaga grazie alla corruzione. Dopo la reazione del popolo alle stragi dei corleonesi, ha scelto di tornare nelle fogne, quelle si, che arrivano ovunque. Silenziose e invisibili, un miasma mortale, occultato da tombini di ottima fattura”. Parlando invece di sé, Gaspare Mutolo ha detto di essere “grato allo Stato che mi ha permesso di sperimentare una vita onesta, scoprendone il vero significato ma ora, nel tempo che mi resta, voglio fare di più.
È umiliante dover chiedere il permesso per andare sulla tomba di mia moglie e mi va stretto il fatto di non poter apparire, di non poter divulgare con maggior forza, la mia esperienza, il lungo cammino interiore che mi ha reso consapevole di tante cose, doni preziosi che potrei offrire ad altri. La missione non è finita
”. E alla domanda su quanto manca per raggiungere il suo giorno di liberazione, Mutolo ha affermato di non saperlo e di sentirsi “un po’ nervoso. Non pensavo ci volesse tanto tempo. È da Luglio che ho presentato la domanda. Mi parlano di burocrazia…che ne so io. Nella mafia la burocrazia non esiste e neppure esisteva quando ho cominciato a collaborare con lo Stato. I protocolli non si rispettavano, perché eravamo in stato di emergenza. Credo che la stesura del mio contratto di collaborazione, abbia richiesto una seduta straordinaria ma io non l’ho neppure mai letto. Se ti fidi di qualcuno, ti butti quando dice che ti tiene. A me sono mancate le carezze di una madre - ha raccontato - la guida di un padre ma da buon soldato, ho imparato a riconoscere il vero valore. Falcone e Borsellino, resteranno i fari più luminosi della mia vita. Oggi ci sono altri valorosi come Di Matteo e Gratteri ma ce ne vorrebbero mille. Vorrei mangiare ancora un gelato a Mondello ma non voglio disobbedire o farmi uccidere sotto protezione. Io sono una vittoria dello Stato, non una sconfitta”, ha concluso.

Foto © Paolo Bassani

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