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Il capo della DNA si racconta a Repubblica e parla degli attentati del ’92. Tra un mese lascerà la toga

Arriverà un nuovo pezzo di verità sulle stragi. Di questo ne sono convinto. Stiamo lavorando da anni per questo”. A dirlo è Federico Cafiero de Raho, capo della Direzione nazionale antimafia. Tra nemmeno un mese l’ex procuratore capo di Reggio Calabria andrà in pensione (il 18 febbraio). A La Repubblica il capo della DNA (ruolo che riveste dal 2018) ha rilasciato una lunga intervista in cui ha parlato della sua esperienza in magistratura, l’impegno antimafia e soprattutto delle stragi di Cosa nostra avvenute a Palermo ormai trenta anni fa. Parlando di Capaci, de Raho ha ricordato che “quell’attentato era una dichiarazione di guerra aperta. Cosa nostra ha voluto uccidere alcuni uomini dello Stato con modalità stragista. Quelle modalità sono un messaggio da tenere in considerazione”.
Ad, oggi, ha affermato, “sappiamo che Cosa nostra è stata esecutrice e mandante di quegli attentati. E grazie al lavoro della procura di Reggio Calabria sappiamo che la ’Ndrangheta ha avuto un ruolo e sono emersi numerosi soggetti che hanno operato tanto in Sicilia, come in Calabria. Adesso le indagini stanno proseguendo per accertare il ruolo di formazioni istituzionali o para-istituzionali”. Si tratta di “pezzi di apparati investigativi e di sicurezza”, ha sottolineato. A tre decenni dalle bombe la strada della ricerca della verità è ancora in salita. “Procediamo con cautela. Bisogna evitare nuovi depistaggi alla Scarantino, per arrivare a una ricostruzione organica ogni conquista è elemento che va vagliato dai vari uffici - Palermo, Catania, Caltanissetta, Reggio Calabria, Firenze - coinvolti nelle indagini. In più è passato molto tempo”. E questo significa “che le dichiarazioni dei pentiti vanno vagliate con ancora più attenzione e certi accertamenti costano più fatica. Ma si possono e si devono fare e i risultati stanno arrivando”, ha rassicurato il procuratore.
Sempre parlando delle bombe degli anni ’90, de Raho ha detto che queste “hanno cambiato la storia del Paese anche perché hanno creato un senso comune di condanna e la consapevolezza della necessità di reagire alla sopraffazione mafiosa”. Alla domanda della giornalista Alessia Candito se dopo la straordinaria risposta dello Stato, Cosa nostra sia stata fortemente ridimensionata, il capo della DNA ha risposto che questo pensiero “è sbagliato e pericoloso”. “Quasi ci scrolla dalla responsabilità del contrasto alle mafie. Cosa nostra ha solo cambiato strategia, scegliendo l’immersione, l’invisibilità, come la ’Ndrangheta aveva fatto ancor prima. Oggi il ragionamento utilitaristico delle mafie è non fare rumore, muoversi sottotraccia, muoversi nel settore dell’economia legale e illegale”.

Pandemia e mafie
Nel corso dell’intervista de Raho ha risposto anche ad alcune domande in merito alla pandemia e alle ingerenze mafiose nell’economia.
Per le organizzazioni mafiose, secondo de Raho, la pandemia è stata un’occasione “perché ha consentito ai clan di reinvestire le proprie ricchezze nei settori più in difficoltà. Quello turistico-alberghiero, o quello della ristorazione, ci risultano ad altissimo rischio infiltrazione”.
Da tempo le mafie hanno a disposizione professionisti e colletti bianchi in grado di disegnare strategie economiche e finanziarie. I clan entrano nelle aziende con il proprio denaro ma spesso senza che neanche si modifichi la compagine societaria. Il vecchio titolare diventa di fatto solo un prestanome di un’azienda che non controlla più, anche se dai documenti risulta ancora tale”.
Alla domanda se anche il Pnrr rischia di finire per essere preda delle mafie, de Raho ha risposto che questi “questi fondi saranno fondamentali per la ripartenza del Paese e anche per questo è necessario un monitoraggio più che attento”. “Non basta - ha continuato sul punto il procuratore - un controllo cartolare, basato su documenti, bisogna andare fisicamente a vedere cosa succeda nelle strade, sui cantieri. Bisogna vigilare e per questo è necessaria la collaborazione da parte di tutti”.
Gli imprenditori - ha spiegato - devono sostenere un progetto di legalità, Confindustria, Confcommercio, Coldiretti, tutte le associazioni di categoria sono chiamate a vigilare, e i cittadini anche. Ne va del futuro di tutti”. Per quanto riguarda l’intervento istituzionale, de Raho ha riportato che “di recente è stato firmato un protocollo con la Regione Lazio che prevede la trasmissione alla Dia e alla Dna di tutti gli incartamenti relativi alle gare d’appalto. Questo significa avere a disposizione strumenti maggiori e più pervasivi per i controlli”. In questo modo “se fosse esteso a tutte le regioni si potrebbe fare un monitoraggio capillare, sopperendo alla storica mancanza di una banca dati nazionale degli appalti che permetta di individuare tutti i soggetti che intervengono a tutti i livelli”.
Se credo che la pandemia abbia fatto passare in secondo piano il pericolo delle mafie? Non credo. In ogni caso, è un lusso che non ci possiamo permettere”, ha concluso.

Foto © Imagoeconomica

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