Il decesso risale al periodo della scomparsa del giornalista dell’Ora
Un padre di due figlie scomparso sotto casa a Palermo nel 1970; i resti di un uomo di 50 anni - alto circa un metro e settanta e con delle malformazioni congenite a naso e bocca - ritrovati pochi giorni fa dentro una grotta alle pendici dell’Etna; ed una figlia - Franca De Mauro - che alla notizia del rinvenimento contatta la Guardia di finanza di Catania (che indaga sul ritrovamento) per sapere se quelli trovati sono i resti di suo padre.
Sono i protagonisti di una vicenda raccontata durante la trasmissione "Chi l'ha visto?”. Secondo l’ipotesi, quelli trovati dai militari del Soccorso alpino della guardia di finanza di Nicolosi in una grotta dell’Etna potrebbero essere i resti del giornalista Mauro De Mauro, scomparso 51 anni fa nel capoluogo siciliano. L’ipotesi “sarà approfondita”, ha dichiarato il tenente colonnello della Guardia di finanza Massimiliano Pacetto in diretta su Rai3. “Stiamo raccogliendo e vagliando diverse segnalazioni - ha detto il militare a CataniaToday -, compresa quella proveniente dal programma Rai. Ci sono dei riscontri che vanno ovviamente verificati”.
Franca De Mauro, una delle figlie del giornalista dell’Ora Mauro De Mauro, leggendo sui media che i resti scoperti risalirebbero a un periodo compatibile con la scomparsa del padre e che il cadavere presenterebbe malformazioni a naso e bocca, ha voluto segnalare il suo caso agli inquirenti per dare loro un input investigativo. La De Mauro però non ha riconosciuto alcun oggetto trovato accanto al corpo, vestito in giacca e cravatta. Inoltre, nelle tasche dell'abito c'era un pettine e la donna ha escluso che il padre lo portasse con sé. Al momento la famiglia De Mauro non ha fatto alcuna istanza attraverso i suoi legali, gli avvocati Giuseppe ed Andrea Crescimanno. Poche certezze e tanti dubbi sul recente ritrovamento. Quello della scomparsa del giornalista, dunque, resta ancora un giallo mai risolto, uno dei tanti che caratterizzano la storia del nostro Paese.
Nel mentre, la Procura di Catania, dopo la segnalazione della figlia di Mauro De Mauro, disporrà un esame comparativo del Dna dei resti umani trovati dai militari del Soccorso alpino della guardia di finanza di Nicolosi per verificare se siano quelli del giornalista Mauro De Mauro. La salma in questo momento si trova nell'obitorio dell'ospedale Garibaldi di Catania per gli accertamenti.
Chi era Mauro De Mauro? Tra inchieste scottanti, mafia e depistaggi
Dopo un passato da "fascista" nella Decima Mas di Junio Valerio Borghese - e in passato accusato di aver partecipato all’eccidio delle Fosse Ardeatine (assolto nel ’48 dalla Corte di Assise di Bologna) -, Mauro De Mauro era riuscito a diventare giornalista. Un integerrimo, uno di quelli con la “schiena dritta”. Era il 1970 quando tre uomini sconosciuti si materializzarono dentro la macchina del cronista che aveva appena parcheggiato davanti a casa sua, in Viale delle Magnolie a Palermo, mentre la sua famiglia lo stava aspettando per cena. L’unico rumore che si sentì prima del silenzio fu una voce in forte accento siciliano che gridò “amuninni” (andiamo). Un omicidio che oltre alla pista mafiosa cela dietro anche un filo collegato ad inchieste che il giornalista stava conducendo. Tra queste, una in particolare (attraverso la realizzazione di un film) sull’omicidio di Enrico Mattei: Presidente dell’Eni che, scontrandosi con le “Sette sorelle”, entrò nel mirino di servizi segreti internazionali e di gruppi terroristici. Ucciso da una bomba piazzata prima che l’aereo decollasse dall’aeroporto di Catania, l’ordigno utilizzato per eliminare Mattei vedeva l’impiego della mano della mafia (come raccontato da alcuni collaboratori di giustizia), ma per conto di altri soggetti.
Ed è proprio la pista legata all’omicidio Mattei, una delle più valide per comprendere le motivazioni della scomparsa del giornalista. Purtroppo, però, cinquantuno anni dopo, di Mauro De Mauro resta solo una memoria oscurata da un reiterato sistema di depistaggio. Una verità “massacrata da un massiccio e mirato depistaggio”, come scrissero i giudici della Corte d'assise di Palermo nelle motivazioni della sentenza che nel giugno 2011 assolse "per non aver commesso il fatto" Totò Riina, accusato di essere il mandante dell'omicidio del cronista siciliano.
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