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Era una fresca serata palermitana, quella del 7 ottobre 1986. Claudio Domino, un bambino di 11 anni, giocava davanti alla cartoleria dei suoi genitori in Via Fattori. Ad un tratto, un individuo arrivato in sella a una motocicletta, con il volto coperto dal casco, lo chiamò per nome. Claudio gli si avvicinò e, per tutta risposta, l’uomo puntò su di lui una pistola: esplose un solo colpo, fatale, in mezzo agli occhi. 

Un delitto atroce, quello consumatosi esattamente trentacinque anni fa nel capoluogo siciliano. Un omicidio ancora irrisolto, avvenuto durante il Maxiprocesso alla mafia: particolare non da poco, dal momento che i genitori di Claudio, con la loro ditta, avevano vinto l’appalto delle pulizie nell’aula bunker dell’Ucciardone, che di quell’evento storico costituiva il teatro.

Il giorno dopo l’omicidio, l’imputato al Maxiprocesso Giovanni Bontate (fratello di Stefano Bontate, che fu capo di Cosa Nostra prima di essere ucciso dai corleonesi), volle leggere in Aula un comunicato: "Noi condanniamo questo barbaro delitto che provoca accuse infondate anche verso gli imputati di questo processo. Siamo uomini, abbiamo figli, comprendiamo il dolore della famiglia Domino. Rifiutiamo l’ipotesi che un atto di simile barbarie ci possa sfiorare". Dichiarazione estremamente emblematica, dal momento che quel “noi” sembrò implicare l’esistenza di un comune denominatore a tutti gli imputati, ovvero un’associazione organica, che fino a quel momento i boss si erano prodigati a escludere pubblicamente.

Ma chi uccise, materialmente, il piccolo Claudio? E per quale motivo? Le ipotesi in campo derivano dalle testimonianze di una serie di pentiti di mafia.

I collaboratori di giustizia Salvatore Cancemi e Giovan Battista Ferrante asserirono che il mandante dell’omicidio del piccolo Claudio sarebbe stato Salvatore Graffagnino, proprietario di un bar poco distante dal luogo dell’omicidio e gestore di un prospero traffico di eroina. Claudio sarebbe stato ucciso da un tossicodipendente inviato da Graffagnino in quanto testimone di uno scambio di stupefacenti tra pusher.

Alcuni pentiti, invece, evidenziarono il presunto ruolo avuto nella vicenda da Giovanni Aiello, conosciuto come “Faccia da mostro”: poliziotto fino al 1977, attivo come funzionario dell’intelligence negli anni Ottanta e all'inizio degli anni Novanta, additato da molti collaboratori di giustizia come una delle figure di raccordo tra Cosa Nostra e le frange deviate dei servizi. 
In particolare, risultano fortemente significative le confidenze che nel ‘96 Luigi Ilardo, rappresentante mafioso della provincia di Caltanissetta, fece al colonnello Michele Riccio, che l'aveva convinto ad agire come infiltrato dentro Cosa Nostra. Testimoniando al processo sulla morte di Ilardo, Riccio ha ricordato che fu proprio il suo confidente a rivelargli i particolari del supposto gioco sporco di “Faccia da mostro”: "Ilardo me ne parlò a proposito di alcuni attentati che erano stati addebitati alla mafia e i cui esecutori erano affiliati a Cosa Nostra, ma che però avevano visto una partecipazione diretta o indiretta di apparati deviati dello Stato. Ilardo mi disse: “parlerò di determinati episodi come la morte di Pio La Torre, del presidente Mattarella, di Claudio Domino, del poliziotto ucciso insieme alla moglie (Antonino Agostino e Ida Castellucciondr), perché dietro ci sono le istituzioni”. E mi fece riferimento che proprio per la morte di Domino i suoi contatti di Cosa Nostra palermitana gli avevano riferito che ci fu la ricerca di un personaggio che doveva appartenere alle istituzioni italiane, il quale aveva fatto un po' da supervisore e, forse aveva anche avuto qualche parte attiva in questi attentati". Luigi Ilardo verrà ucciso dalla mafia nel maggio ’96, pochi giorni prima di entrare nel programma di protezione, in seguito alla soffiata di una “talpa istituzionale”. Anche Consolato Villani, uomo della cosca 'ndranghetista del boss di Reggio Calabria Antonino Lo Giudice, accusò “Faccia da mostro” di essere implicato nell’uccisione di Claudio Domino, oltre che nella strage di Capaci e in altri omicidi. Su questa scia anche il boss Vito Lo Forte, che legò il nome di Aiello all’omicidio dei poliziotti Cassarà e Antiochia, al fallito attentato all’Addaura e alla strage di via d’Amelio.
Aiello è uscito indenne dalle indagini aperte a suo carico. Al momento della sua morte, nell’Agosto 2017, era uno dei principali indagati dalla Procura di Reggio Calabria all’interno dell’inchiesta “’ndrangheta stragista”.

Lo scorso maggio, il Procuratore di Palermo Francesco Lo Voi e l’aggiunto Salvatore De Luca, assicurando appoggio e vicinanza a Ninni Domino e Graziella Accetta, genitori del piccolo Claudio, hanno deciso di acquisire nuovi atti per riaprire l’inchiesta. Sperando di fare luce su un delitto molto lontano nel tempo, ma tanto vicino ai cuori di chi continua a ricercare giustizia e verità per le orribili nefandezze di cui mafia e poteri occulti si sono macchiati.

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