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L'ordine del boss: "Lo scanniamo come un vitello"

"Lo scanniamo come un vitello". Un ordine perentorio di morte decretato dal nuovo boss della famiglia di Bagheria, Massimiliano Ficano, oggi finito in manette, che in passato ha gestito una parte della lunga latitanza bagherese di Bernardo Provenzano. Anche per sventare il progetto omicidiario questa mattina, all'alba, i Carabinieri del Comando Provinciale di Palermo hanno tratto in arresto 8 indagati, in esecuzione di un provvedimento di fermo di indiziato di delitto emesso su richiesta della Dda, in quanto ritenuti a vario titolo, responsabili di associazione per delinquere di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, detenzione e vendita di armi clandestine, estorsione, lesioni personali aggravate, reati tutti aggravati dal metodo e dalle modalità mafiose.
L'indagine, denominata 'Persefone', è seguita da un pool di magistrati coordinati dal procuratore aggiunto di Palermo Salvatore De Luca, ed è stata condotta dal Nucleo investigativo dei carabinieri sulla famiglia mafiosa di Bagheria.
L'omicidio avrebbe riguardato un pregiudicato locale, apparentemente estraneo a Cosa nostra, accusato di mettere in discussione l'autorità del reggente. L'episodio cruciale è stata la sfida lanciata in maniera pubblica contro il boss. 
Oltre a infastidire e ad allarmare la comunità bagherese, era stato violento verso la compagna e il padre (per tali maltrattamenti in famiglia è stato anche lui oggi tratto in arresto). La reazione del gruppo mafioso all'atteggiamento sfrontato dell'uomo al suo rifiuto di sottostare ai divieti imposti dai mafiosi per riportare ordine nel territorio, non si è fatta attendere. 
Su mandato di Ficano, sei persone lo hanno selvaggiamente picchiato, provocandogli un trauma cranico e un trauma alla mano. Lui però aveva deciso di reagire armandosi di una accetta facendo sapere in giro di essere intenzionato a dare fuoco a un locale da poco inaugurato dal boss. Visto il pubblico affronto, è stata sentenziata l'eliminazione, pianificando nel dettaglio l'omicidio. Appena dato l'ordine Ficano, hanno spiegato gli inquirenti, aveva deciso di allontanarsi dal territorio, "molto verosimilmente sia per costituirsi un alibi che per darsi alla fuga per il pericolo di essere arrestato", spiegano gli investigatori. 
Oggi però è stato arrestato. Secondo le indagini dei carabinieri a Bagheria ci sarebbe stato un vero e proprio passaggio del comando da Onofrio Catalano (detto 'Gino') a Massimiliano Ficano, ritenuto più autorevole, e che aveva l'appoggio e il forte legame con il capomafia ergastolano Onofrio Morreale. L'investitura sarebbe avvenuta con il placet dell'allora capo mandamento Francesco Colletti, arrestato nell'operazione Cupola 2.0 e ora collaboratore di giustizia. Ficano, che si vantava della sua tradizione familiare, aveva scontato una condanna definitiva per associazione mafiosa e, approfittando del vuoto di potere, aveva preso il comando anche con metodi violenti. 

Il mantenimento delle famiglie dei detenuti
Le indagini hanno messo in evidenza il controllo capillare del territorio. Ficano poteva contare su una nutrita schiera di uomini fidati, tra i quali gli indagati 'Gino' Catalano, ex reggente, Bartolomeo Scaduto, Giuseppe Cannata, Salvatore D'Acquisto, Giuseppe Sanzone e Carmelo Fricano, dediti al "pervasivo controllo criminale" del territorio. 
Inoltre sono state ricostruite alcune regole interne della famiglia. 
A operare potevano essere solo soggetti 'autorizzati' da Cosa nostra, tenuti a versare periodicamente una quota fissa dei proventi nelle casse della famiglia mafiosa. 
Spaccio di droga e centri scommesse erano il core business del clan e a testimoniarlo c'è un'intercettazione dello stesso capomafia. Non sapendo di essere intercettato e parlando con un suo stretto collaboratore, Ficano spiegava l'importanza del traffico di sostanze stupefacenti e della gestione dei centri scommesse, le attività più remunerative per la famiglia. "Attività che venivano controllate direttamente da capomafia - spiegano gli investigatori dell'Arma - anche se non si esponeva mai in prima persona, delegando i suoi più fidati collaboratori". I proventi servivano a provvedere al sostentamento dei familiari dei detenuti, dovere 'sacro' dei boss liberi "in quanto, in caso di mancato adempimento di tale delicata incombenza, vacillerebbe il vincolo di omertà interna e, di conseguenza, la graniticità di Cosa Nostra", dicono gli investigatori. 
Un altro particolare è quello della rivalità espressa con Palermo. Nel momento in cui, in altre intercettazioni, veniva detto che quando vanno a Bagheria, i palermitani "devono bussare". "Abbiamo fatto la storia", diceva uno degli intercettati, tra gli otto fermati bel blitz. Diceva il reggente Ficano: "Io sono uno di quelli che hanno fatto la storia. E a me in questo minuto mi hanno autorizzato di tutto". "Senza offesa o con l'offesa sono baarioto... noi stiamo a Bagheria e quelli a Palermo. Se ne stiano a Palermo e se vengono a Bagheria devono bussare. Nella storia sempre Palermo faceva quello che diceva Bagheria... non potevano digerire che eravamo corleonesi...".
Nell'ambito dell'operazione è finito in manette anche un anziano imprenditore edile, Carmelo Fricano, detto 'Mezzo chilo', ritenuto vicino alla famiglia mafiosa di Bagheria e, in particolare, allo storico capo mandamento detenuto Leonardo Greco. In passato diversi collaboratori di giustizia lo hanno indicato quale prestanome proprio del capomafia ergastolano. "Le risultanze investigative dell'indagine 'Persefone' - dicono adesso gli investigatori dell'Arma - hanno consentito di raccogliere una serie di elementi di indubbia capacità probatoria circa la sussistenza a carico di Fricano di un quadro gravemente indiziario in ordine al delitto di associazione di tipo mafioso".

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