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La nuova identità rivelata da due boss di Torretta intercettati. Già vent’anni fa Provenzano chiedeva un ridimensionamento della Cupola

E’ mutevole Cosa nostra. Cambia forma, aspetto, interessi, formazioni. Ora cambia anche nome, non più Cosa nostra ma “Altare maggiore”. La novità emerge da una conversazione tra due mafiosi di Torretta che chiamavano così l’organizzazione mafiosa discutendo di un’estorsione, e non sospettavano di essere intercettati dai carabinieri del nucleo Investigativo di Palermo su ordine della procura. “Altare maggiore”, dunque. Un nome che si avvicina molto a quella sfera profana e esoterica alla quale la mafia è sempre stata legata. L’idea di cambiare identità all’organizzazione, però non è nuova. Già un ventennio fa, come ha ricordato Salvo Palazzolo su Repubblica, il boss cortonese Bernardo Provenzano aveva raccomandato i suoi di procedere in questo senso. “Bisogna cambiare tutti i nomi - disse un giorno il braccio destro di Riina - Non parliamo più di picciotti, né tanto meno di uomini d’onore, di famiglie o mandamenti, mai più nominiamo la Cupola”. Detto fatto, dopo qualche decennio ecco che quel progetto assume forma. Sempre Provenzano, la mente di Cosa nostra dopo le stragi, aveva addirittura nominato una commissione di studio per aggiornare il dizionario mafioso: “Cambiare nomi doveva servire ad evitare altri guai con le intercettazioni", ha spiegato il collaboratore di giustizia Nino Giuffrè. La stessa cosa che pensavano i due boss di Torretta in contatto con i compari d’armi di New York. Nonostante le varie operazioni antimafia, gli arresti e i sequestri Cosa nostra dimostra di non temere nulla. Come una bestia a più teste ogni volta che una viene mozzata ecco spuntarne un’altra. Una sorta di rinascita mutaforma che oggi cerca di riavvicinarsi al mondo esoterico, della Chiesa, dopo che questa per voce e ordine di Papa Francesco, ha scomunicato i padrini. Ora a tentare questa trasformazione, a costruire “l’Altare maggiore” sono i “perdenti” di Cosa nostra, ritornati dagli Stati Uniti dopo un lungo esilio per via della guerra di mafia.

In foto: la cappella del covo di Aglieri a Bagheria

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