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Nuove rivelazioni emergono dal recente blitz Operazione “Crystal Tower”

È di poche sere fa l’operazione “Crystal Tower” - coordinata dalla Procura di Palermo nella persona del procuratore aggiunto Salvatore De Luca, dai sostituti Amelia Luise e Giovanni Antoci - in cui i Carabinieri del Nucleo investigativo hanno arrestato dieci persone per associazione mafiosa, detenzione di stupefacenti, favoreggiamento personale e tentata estorsione con l'aggravante del metodo mafioso.
L’attività di indagine ha interessato il vertice della famiglia di Torretta - facente capo al mandamento mafioso palermitano di Passo di Rigano che rappresenta un "persistente e saldo legame" tra Cosa Nostra americana e siciliana, come specificato dai carabinieri - colpendo Raffaele Di Maggio (figlio dello storico boss Giuseppe 'Piddu i Raffaele' Di Maggio), affiancato da Ignazio Antonino Mannino, anche lui con una funzione "direttiva e organizzativa", e da Calogero Badalamenti, a cui sarebbe stata affidata l'area di Bellolampo. L’indagine ha colpito anche Lorenzo Di Maggio, alias 'Lorenzino’, accusato dal pentito Antonino Pipitone di essere stato il raccoglitore dei messaggi diretti a Matteo Messina Denaro. C'è poi il ruolo di Calogero Caruso, detto 'Merendino', "anziano affiliato - sottolineano i carabinieri - e già figura di vertice della famiglia mafiosa torrettese, sotto il quale si andava accreditando il nipote Filippo Gambino", soggetto poi arrestato nell'ambito dell'operazione. Tra i nomi evidenziati dagli investigatori c'è anche quello di Calogero Christian Zito, monitorato in numerosi spostamenti tra la Sicilia e gli Usa e attualmente ricercato. Le indagini si sono concentrate anche sui fratelli Puglisi, due imprenditori edili torrettesi "pienamente inseriti nelle dinamiche" osservate in oggetto all’indagine. In manette sono finiti anche Giovanni Angelo Mannino, Francesco e Natale Puglisi. Obbligo di dimora invece per Paolo Vassallo.
Ma dell’intera operazione ciò che colpisce è la spaventosa insenatura della famiglia mafiosa nel territorio. E anche di come tra questi soggetti echeggino nomi antichi, noti e potenti come Bontate e Inzerillo; piuttosto che collegamenti con la primula rossa Matteo Messina Denaro; e, ancor più preoccupante, un consolidato rapporto bilaterale tra Cosa nostra d’oltreoceano e Siciliana. Tutti nuovi assetti che confermano sempre più la presenza di una forte e ben radicata “Cosa nostra 2.0”.

I retroscena del commissariamento del Comune di Torretta. L’influenza dell’americano Calogero Zito
Dall’operazione “Crystal Tower” sono emersi nuovi dettagli circa i retroscena del commissariamento del Comune di Torretta - avvenuto ad agosto 2019 - e la fitta rete di interessi da cui è scaturito. Questi nuovi particolari sono legati al nome di Calogero Christian Zito, l’unico del recente blitz a cui ancora non è stata notificata l’ordinanza del Gip Filippo Serio.
Secondo gli inquirenti il sindaco di Torretta, Salvatore Gambino, “era stato realmente destinatario delle scelte politiche e istituzionali da adottare provenienti da Calogero Zito” e le indicazioni riguardavano “le alleanze, la nomina degli assessori e del presidente degli incarichi dirigenziali”. A Torretta Zito si impegnava a reperire voti e, dopo le elezioni, dettare il nome del nuovo “vicesindaco, di un assessore e della direzione dell’ufficio tecnico”.
Anche il nome Puglisi è stato ricollegato al commissariamento. I due fratelli imprenditori, Natale (classe ’59) e Francesco Puglisi, si sarebbero schierati per le elezioni del giugno 2018 con Rosario Candela, l’altro candidato sindaco, “sperando in un tornaconto personale in termini di affidamento di lavori pubblici”. Questo portò ad uno scontro fra le “opposte fazioni considerando l’esiguo numero di abitanti (appena quattromila, ndr) e lo straordinario intreccio di parentele determinatosi da tempo - hanno detto gli inquirenti -. Succedeva che l’attenzione degli indagati convergesse sugli stessi gruppi familiari di elettori. Tali problematiche venivano affrontate nel corso di incontri e riunioni riservate, anche con il coinvolgimento degli esponenti mafiosi di Torretta”.
Ma è grazie ad una intercettazione datata 17 luglio 2019, realizzata nel corso dell’operazione “New Connection”, che emerge l’influenza dello Zito. Si tratta di una conversazione intercorsa tra Salvatore Gambino (68 anni), alias “Totò u sciacquato” e Domenico Caruso, in cui veniva fatta luce sui rapporti a cui i due “già candidati nella lista Leali per Torretta - Candela sindaco” avrebbero alluso. I due parlano dell’arresto del vincente sindaco Gambino e anche del pressing che gli Zito (padre e figlio) avevano fatto. “[…] Quel signorino è venuto appositamente dagli Stati Uniti per condizionare e lo sappiamo tutti, era di pubblico dominio, le riunioni con Sarà… è venuto a casa mia, è venuto a casa di tanti altri”. In tutto questo, invece, il boss Raffaele Di Maggio scelse di rimanere “super partes” e pacere fra le due compagini opposte.
Dopo “New Connection” fu ancora “U sciacquato” a parlare con Francesco Puglisi del sindaco: “Questa del sindaco è nata perché controllavamo il discorso di Passo di Rigano… ora Savo può essere che il culo se lo salva però è finito pure lui… se lo bruciarono”.

Controllo del territorio e influenza della vita pubblica
Come insegna la storia della mafia il controllo del territorio si ottiene anche grazie al dirottamento delle gare pubbliche, alle turbative d’asta e di appalti, all’inquinamento della vita pubblica a favore di pochi. Ed anche questo aspetto è emerso dalla recente operazione. Ogni cantiere andava assegnato solo alle ditte del mandamento. Ma a Capaci, ad esempio, si aprì una disputa sollevata dai fratelli Puglisi in quanto i cantieri andarono nelle mani di Francesco Palumeri: “Elemento di spicco del mandamento di Tommaso Natale - San Lorenzo”. I fratelli imprenditori chiamarono in causa Raffaele Di Maggio che “sempre coadiuvato da Ignazio Antonino Mannino e Simone Zito, aveva fatto sì che i suoi sodali Natale Puglisi (’59) e Francesco Puglisi, nonostante le pretese di Palumeri, potessero proseguire nel rispetto delle logiche di Cosa nostra nell’eseguire i lavori commissionatigli”.
Sempre nei paraggi di Capaci, precisamente a Isola delle Femmine, un altro cantiere dei fratelli Puglisi aveva bisogno dell’autorizzazione della famiglia mafiosa locale. A testimoniarlo è un’intercettazione tra Simone Zito e Lorenzo Di Maggio (già esattore dei Lo Piccolo). “Quelli di Palermo, cioè i vertici del mandamento di San Lorenzo - Tommaso Natale, - spiegano gli inquirenti - pur essendo venuti formalmente a conoscenza delle attività pianificate dai fratelli Puglisi, non avevano ancora ricevuto alcuna comunicazione ufficiale e quindi non potevano confermare al referente di Capaci Isola delle Femmine, ovvero Erasmo Lo Bello detto Orazio, che i Puglisi erano autorizzati. Ma alla fine anche in questo caso ci fu il via libera grazie a Raffaele Di Maggio.

Bontate e Inzerillo. Nomi antichi, volti nuovi
Dalla recente indagine è emerso come ancora oggi siano rilevanti alcuni membri di famiglie mafiose di vecchia data, di vecchio stampo; “quelli di una volta”. Si tratta degli Inzerillo e Bontate, ovvero i figli dei boss più potenti di Palermo uccisi agli inizi degli anni ’80 per mano di Totò Riina e dei corleonesi durante la loro ascesa al vertice della cupola mafiosa del tempo.
Dalle riprese effettuate durante l’operazione “Crystal Tower” Giovanni Inzerillo (figlio del boss Salvatore), ad esempio, si evince come abbia effettuato una serie di incontri con il boss di Torretta Lorenzo Di Maggio, l’uomo che gestiva i pizzini dei mafiosi palermitani diretti al superlatitante Matteo Messina Denaro. Quest’ultimo, Di Maggio, cugino del defunto padre di Giovanni Inzerillo. L’oggetto degli incontri ancora è sconosciuto. Ma le indagini sottolineano come Giovanni Inzerillo sia “strettamente legato” a Tommaso Pecorella, cugino di Stefano ed assiduo frequentatore del capomafia di Torretta Raffaele Di Maggio. Pecorella che a sua volta incontrava Francesco Paolo Bontate, figlio del boss Stefano Bontate. Ma anche di questi incontri non si sanno ancora le motivazioni. I rampolli di Inzerillo e Bontate non risultano indagati nell’ambito dell’ultima inchiesta. Ma l’attenzione dell’antimafia è al massimo livello, per evitare pericolosi ritorni al passato.
Insomma, nomi antichi, ma volti nuovi. Una nomenclatura facente parte ad un’importante compagine della storia di Cosa nostra siciliana e non solo. A distanza di quaranta anni ancora si parla di Bontate e Inzerillo. Evidentemente sono nomi deterrenti di un potere che purtroppo, ahinoi, non è ancora tramontato.

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