Boss dopo 13 anni di carcere al 41bis ritornato a guidare il sodalizio. In manette anche candidato comunali
A Messina, nel corso della notte, Carabinieri, Guardia di Finanza e Polizia di Stato hanno eseguito un’operazione antimafia congiunta che ha portato all’arresto di 33 persone e al sequestro di beni, in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.I.P. presso il Tribunale di Messina, su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia di Messina, per i reati di associazione di tipo mafioso, estorsione, trasferimento fraudolento di valori, sequestro di persona, scambio elettorale politico-mafioso, lesioni aggravate, detenzione e porto illegale di armi, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, con l’aggravante del metodo mafioso.
L’operazione è il risultato di autonome e convergenti indagini del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale Carabinieri di Messina, del G.I.C.O. del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Messina e della Squadra Mobile della Questura di Messina che hanno consentito di documentare l’attuale operatività dei sodalizi mafiosi operanti nella zona centro della città dello Stretto, nel settore delle estorsioni in danno di esercizi commerciali, del traffico di stupefacenti e del controllo di attività economiche nel campo della ristorazione, del gioco e delle scommesse su eventi sportivi.
In particolare, le indagini dei Carabinieri di Messina hanno riguardato la consorteria mafiosa egemone nel rione messinese di “Provinciale” capeggiata dal noto esponente mafioso Giovanni Lo Duca, attiva, fra l’altro, nelle estorsioni in danno di esercizi commerciali e nel traffico di sostanze stupefacenti e hanno portato al sequestro di un bar utilizzato come base logistica dell’associazione mafiosa.
Le indagini della Guardia di Finanza di Messina hanno riguardato le attività del gruppo criminale capeggiato da Salvatore Sparacio, operante nel rione “Fondo Pugliatti”, documentando il controllo di attività economiche e portando al sequestro di una impresa operante nel settore del gioco e delle scommesse.
Le indagini della Questura di Messina hanno riguardato il sodalizio mafioso capeggiato da De Luca, attivo nel rione di “Maregrosso” nel controllo della sicurezza ai locali notturni e nel traffico di sostanze stupefacenti, sodalizio già oggetto dell’indagine “Flower” conclusa nell’ottobre 2019.
Boss tornato a vertici criminali dopo 13 anni di carcere
Dall’inchiesta è emerso come dopo 13 anni trascorsi in carcere, in regime di 41 bis, Giovanni Lo Duca era tornato in libertà riprendendo le redini del sodalizio criminale, proponendosi quale riconosciuto punto di riferimento criminale sul territorio, capace di intervenire autorevolmente nella risoluzione di controversie fra esponenti della locale criminalità. I Carabinieri del Nucleo Investigativo hanno documentato come il sodalizio capeggiato da Giovanni Lo Duca operava mediante il sistematico ricorso all’intimidazione e alla violenza, con pestaggi e spedizioni punitive, per affermare la propria egemonia sul territorio e controllare le attività economiche della zona, nonché per recuperare i crediti derivanti sia dal traffico di sostanze stupefacenti che dalla gestione delle scommesse su competizioni sportive. In questo senso le risultanze investigative acquisite hanno comprovato come il clan mafioso esercitava un controllo capillare del territorio, tanto che qualsiasi iniziativa assunta nel rione era assoggettata al preventivo 'placet' di lo Duca che si proponeva quale soggetto in grado di sostituirsi allo Stato nella gestione delle 'vertenze' sul territorio (in una circostanza, per esempio, è emerso come una donna del quartiere si fosse rivolta al Lo Duca per ottenere la liberazione del proprio figlio minorenne che era stato trattenuto contro la sua volontà da un pregiudicato del posto che lo voleva punire per delle offese pubblicate dal ragazzo su Facebook. Stando alle indagini, Lo Duca sarebbe intervenuto, ottenendo la 'liberazione' del giovane.
La “pax strategica” tra i clan per il controllo di Messina
Gli inquirenti spiegano che i gruppi colpiti dall'operazione antimafia presentano "strettissimi profili di collegamento", adottano "strategie criminali condivise" e operano "in piena sinergia" per il raggiungimento "del controllo del territorio" delle rispettive zone di appartenenza, ricadenti nei quartieri di Provinciale e Maregrosso.
Clan tornano a business droga
La Dda ha inoltre scoperto un grosso traffico di droga distribuita nelle piazze di spaccio dei quartieri di "Provinciale", "Fondo Fucile" e "Mangialupi". Cosa nostra, dunque, ormai sempre più spesso sceglie di fare affari col vecchio business del narcotraffico. La droga veniva acquistata in provincia di Reggio Calabria e nella gestione del business il boss Giovanni Lo Duca operava insieme a Giovanni De Luca, esponente mafioso della zona di "Maregrosso". Francesco Puleo e Ernesto Paone invece erano incaricati di procurare lo stupefacente e organizzare i trasporti con la collaborazione di Giuseppe Marra e Mahamed Naji, mentre Emanuele Laganà era il referente della sponda calabrese per il rifornimento della droga. Nel clan c'erano poi diversi uomini d'onore incaricati delle attività di spaccio al dettaglio.
In manette anche candidato comunali, “10 mila euro per sostegno dal clan”
Tra gli arrestati c'è anche un candidato al Consiglio comunale di Messina, non eletto nel 2018, Si tratta di Natalino Summa, 52 anni, che nella primavera del 2018 si era candidato al consiglio comunale nella città dello Stretto. Ma il 10 giugno 2018 non fu eletto. L'uomo è accusato di voto di scambio. Secondo l'accusa Summa, sottoposto agli arresti domiciliari, avrebbe pagato diecimila euro per il sostegno elettorale del clan Sparacio. Le indagini tecniche degli investigatori peloritani hanno consentito "di captare alcune inequivoche conversazioni", inerenti proprio la prova dell'offerta di denaro, per una somma pari a 10.000 euro, effettuata "al boss dal candidato politico, affinché procurasse un congruo numero di voti per la propria scalata elettorale", spiegano gli inquirenti. Questa attività di procacciamento "vedeva in Francesco Sollima, 52 anni, ritenuto trade union tra il politico Natalino Summa ed il boss Salvatore Sparacio, che l'aspirante consigliere comunale incontrava con il padre Antonino Summa, 81 anni". "I riscontri eseguiti hanno consentito di documentare come l'accordo illecito raggiunto consentisse di raccogliere, nei quartieri di operatività del gruppo mafioso, ed altri a questo collegati, in totale, ben 350 voti", spiegano gli investigatori.