Si rompe muro d’omertà. Per la questura: “Non esistono zone franche per l’illegalità a Palermo”
Blitz della polizia di Stato a Palermo. Questa notte gli agenti della squadra mobile hanno interrotto la faida tra esponenti legati ai clan per il controllo dello Zen. Eseguiti quattro fermi di indiziato di delitto, con l'aggravante dal metodo mafioso, emessi dalla Direzione distrettuale antimafia. I quattro palermitani - Giovanni Cefali, di 52 anni; Nicolò Cefali, di 24; Vincenzo Maranzano, di 49; Attanasio Fava, di 37 - sono accusati di avere fatto parte del commando che lo scorso martedì, allo Zen, ha fatto fuoco contro Giuseppe Colombo e i figli Antonino e Fabrizio, lasciando sul selciato una decina di colpi, tra proiettili inesplosi e bossoli. La Squadra mobile ha chiuso il cerchio su quello che, fin dai primi momenti, aveva assunto le caratteristiche di un vero e proprio agguato di mafia. In questo modo, sottolinea la polizia, sono state bloccate "le esuberanze criminali di quanti speravano di fare dello Zen una 'Gomorra' palermitana".
"Un'azione così violenta e dimostrativa, incurante di quello che poteva succedere non si era mai registrata. In quel quartiere abbiamo avuto fatti anche più cruenti ma le azioni non avevano mai avuto questo impatto devastante”, ha detto il capo della Squadra mobile di Palermo, Rodolfo Ruperti, durante la conferenza stampa convocata per illustrare i dettagli dell'operazione. Per quell'episodio subito dopo l'agguato erano stati fermati i fratelli Letterio e Pietro Maranzano. Secondo Ruperti quello messo in piedi dai fratelli Maranzano era "un gruppo paramilitare". Un gruppo che "si organizza per uccidere i Colombo e rischia in pieno giorno di creare danno anche a persone che transitavano in pieno giorno e serviva a dimostrare la forza militare di Maranzano e degli odierni arrestati. Si sono presentati con più macchine e motori e, dopo una prima dimostrazione di forza - ricostruisce Ruperti - hanno iniziato a sparare all''impazzata". "Siamo di fronte a una vera e propria operazione antimafia, perché andiamo a colpire quel sottobosco che, attraverso varie effervescenze, alimenta le famiglie dello Zen”, ha aggiunto il capo della Mobile. “I Maranzano sono noti. Loro speravano in una completa omertà da parte delle vittime che, in effetti, abbiamo all'inizio registrato. Ma c'è stata anche la testimonianza di una donna coraggiosa che ci ha fornito indicazioni preziose”. A fornire dettagli "preziosi" agli investigatori - coordinati anche sul campo dai magistrati della Dda - è stata una donna che con coraggio ha spezzato la catena di omertà e che ora è sottoposta a una forma di tutela. Non è la sola. "Le prime dichiarazioni sono state arricchite - ha aggiunto infatti Ruperti - da un'altra testimonianza che ci ha consentito di eseguire il fermo emesso dalla procura". La ricostruzione dei fatti di quella mattinata viene fornita sempre dal capo della Mobile. I Colombo si trovano in bar dello Zen 1 quando arrivano Pietro e Letterio Maranzano e altri, tra cui Nicolò Cefali. Mentre i Colombo vanno via uno di loro dà una pacca a Cefali. "E questo gesto apparentemente innocuo alimenta - spiega Ruperti - la tensione nel bar, immortalata dalle videocamere". Subito dopo i fatti si sviluppano allo Zen 2. Un primo contatto tra i colombo e Nicolò Cefali che piomba sui due li aggredisce e poi si allontana. Seguono vari tentativi di accordo, ma le condizioni per i Colombo sono inaccettabili perché, di fatto, i Maranzano pretendono o "una lezione severa" per i Colombo oppure che gli stessi lascino lo Zen. Giuseppe Colombo non ha il tempo di avvertire i figli: "Ritornato in via Patti per incontrare i figli non ha il tempo di allertarli che sul posto giungono numerose macchine e moto e poco dopo inizia la pioggia di fuoco. A sparare numerose persone, si parla di 'una decina di complici', e almeno tre pistole in base ai bossoli e alle ogive rinvenute. Ma le armi potevano essere anche di più. Purtroppo le armi allo Zen ci sono. Stanotte per eseguire il fermo abbiamo letteralmente circondato il quartiere”. "Dopo la sparatoria in via Patti è stato fatto un grande lavoro investigativo in un territorio di solito impermeabile alle indagini. E' stato un episodio che solo per caso non ha provocato dei morti ma avrebbe potuto innescare una faida tra famiglie collegate alle criminalità organizzata e pronte a tutto”, è stato il commento in conferenza stampa di Andrea Lo Iacono, il vicario del questore di Palermo. Lo Zen “è un quartiere caratterizzato da omertà dove la gente preferisce tacere - ha aggiunto - ma questa operazione dà fiducia alle numerosissime famiglie perbene che vivono allo Zen. Non esistono a Palermo zone franche, territori sottratti al controllo dello Stato”, ha concluso.