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Oggi si ricorda il tenente della polizia Newyorkese Joe Petrosino che la sera del 12 marzo 1909, intorno alle 20.45, venne colpito da quattro colpi di pistola mentre camminava in Piazza Marina a Palermo.
Ma non fu solo Cosa Nostra a volere la morte del poliziotto italo-americano.

Francesco Filastò: “L'eminenza grigia della ‘Ndrangheta”
Sono due le figure centrali che gravitarono intorno alla vicenda della morte del tenente Joe Petrosino.
Certamente la meno conosciuta è quella di Francesco Filastò, boss di vertice della ‘Ndrangheta a New York.  Nel 1930 tornò in Italia per sfuggire alla giustizia americana e venne accusato dell’omicidio di Joe Petrosino in base ad una dichiarazione rilasciata al procuratore del Re Francesco Loiacono da suo cugino, Antonino Musolino (fratello del famoso bandito Giuseppe Musolino): “Nel 1906…quando venni assunto in qualità di garzone…ebbi occasione di constatare che il bar era stato costruito per fornire un comodo e sicuro luogo di riunione agli affiliati della mano nera. Ci fu un convegno nella sala (..) Io potei osservare che in mezzo alla tavola c’erano due pugnali e che ad un certo momento i convenuti prestarono un giuramento nella cui formula c’entrava il nome di un tenente della polizia americana di nome Petrosino. Venni di poi chiamato io per estrarre i numeri da un fazzoletto di seta bianco. Estrassi il numero 9, che venne da Filastò Francesco.  Certo si è che dopo tre o quattro giorni Filastò Francesco si ecclissò ritornando dopo poco meno di un mese. Fu precisamente durante la sua assenza che arrivò in America la notizia della uccisione a Palermo Petrosino della polizia Americana.”
Secondo il vicequestore di Reggio Calabria, Gregorio Cavatore, il Filastò era il “capo supremo della malavita calabrese Americana” con potenti agganci all’interno della Tammany Hall (la potente macchina politica - clientelare americana capeggiata dal Partito Democratico) e alla massoneria Reggina.
Durante la celebrazione del processo cadde l’accusa di omicidio nei confronti di Petrosino e infine la Corte gli inflisse undici anni di carcere per associazione a delinquere e tentato omicidio nei confronti del cugino Antonio Musolino.

Il padrino - massone di Bisaquino
L’altra figura “grigia” che emerse è quella di Don Vito Cascioferro all’epoca potente boss di Cosa Nostra.
I verbali della polizia lo descrissero come un soggetto collegato ad ambienti di “alto potere”, infatti uno dei suoi contatti più celebri fu Giuseppe Fontana, trait d’union tra Cosa Nostra e l’onorevole Raffaele Palizzolo - imputato anche nell’omicidio di Emanuele Notarbartolo - grazie al quale Don Vito riuscì a controllare una grossa fetta dei flussi migratori dall’Italia agli Stati Uniti. Inoltre il padrino di Bisaquino - fazione del comune di Palermo nonché suo “feudo” - venne iniziato anche in massoneria all’obbedienza del Gran Oriente D’Italia e si fece membro del Circolo dei Civili di Bisaquino, una sorta di club che riunì molte figure nobiliari siciliane. Inoltre divenne principale capo elettore del deputato e Barone Domenico de Michele Ferrantelli, che in seguito salvò Don Vito dall’accusa di omicidio di Joe Petrosino dichiarando che la sera del delitto era ospite a casa sua. Petrosino ebbe già modo di accusare e incarcerare Don Vito per l’omicidio avvenuto il 14 aprile 1903 a New York, del mafioso Benedetto Madonia nell’ambito in quello che venne etichettato come l’“omicidio del barile”, ma dopo il pagamento di una consistente cauzione Don Vito uscì di prigione e tornò in Italia.
Le due figure furono legate alla massoneria e facevano parte di due gruppi criminali che sono stati - fino a poco tempo fa - considerati separati se non addirittura diametralmente opposti.  E allora perché volevano entrambi la morte di Joe Petrosino? Cosa Nostra e ‘Ndrangheta furono “una cosa unica” già in quegli anni? E perché alla fine fu Cosa Nostra a commettere l’omicidio?

La storia
Giuseppe “Joe” Petrosino nacque a Padula in provincia di Salerno il 30 agosto 1860. Si trasferì negli Stati Uniti all’età di 13 anni, dove incominciò a lavorare prima come lustrascarpe e poi come strillone.
Nel 1895 venne nominato sergente della polizia di New York dopo un lungo periodo di gavetta e fu l’ideatore del primo metodo di mappatura delle bande criminali stanziate al Little Italy.
Fu proprio in quel quartiere che il giovane tenente portò avanti una serie di operazioni di ricerca e di cattura nelle quali giocò un ruolo chiave il suo sistema di travestimento.
Si infiltrò anche nell’organizzazione anarchica, responsabile della morte del re d’Italia Umberto I, riuscendo a scoprire l’intenzione di assassinare il presidente americano William McKinley durante la sua visita all'esposizione di Buffalo.
Dopo qualche anni si ritrovò a fronteggiare la prima forma di Cosa Nostra Americana, chiamata al tempo “la mano nera”. Nell’ambito della sua lotta contro la criminalità organizzata risolse nel 1903 il caso più importante della sua carriera, il cosiddetto “delitto del barile”, così chiamato per il fatto che il cadavere di Benedetto Madonia (malavitoso membro di una banda di falsari) venne ritrovato dentro il barile fatto a pezzi.
Nel 1905 dopo una lunga serie di successi il poliziotto italo americano venne promosso a tenente e il presidente degli Stati Uniti Teddy Roosevelt lo dotò di una squadra investigativa composta unicamente da soggetti di origine Italiana chiamata “Italian Branch” che aveva il solo scopo di occuparsi della criminalità organizzata.
Dalle indagini condotte nell’ambito dei flussi migratori, Petrosino comprese che i fili direttivi di Cosa Nostra partivano dalla Sicilia, quindi chiese ai suoi superiori il permesso di recarsi personalmente a Palermo sotto copertura.
Una volta giunto nel capoluogo Siciliano la notizia del suo arrivo lo aveva già preceduto ma nonostante fosse consapevole dei pericoli iniziò comunque a ricercare i casellari giudiziari dei componenti della mano nera e a fine giornata tornava all’Hotel de France in piazza Marina.
La sera del 12 marzo 1909, dopo aver fatto la sua abituale tappa al bar due sconosciuti chiesero di lui e Petrosino lì seguì fuori dall’albergo, dove venne poi sparato mentre camminava lungo la cancellata del parco. Al funerale del poliziotto parteciparono circa 250.000 persone e resterà nella storia per essere stato il più importante funerale del nuovo secolo.
Nel giugno del 2014 ci fu una svolta nel caso Petrosino, Domenico Palazzolo disse in un’intercettazione - svolta dagli investigatori nell’ambito dell’operazione “Apocalisse” - che a uccidere Petrosino fu lo zio del padre, Paolo Palazzolo indagato, processato e poi prosciolto per l'omicidio del poliziotto. “Ha fatto lui l’omicidio del primo poliziotto ucciso a Palermo. Lo ha ammazzato lui Joe Petrosino”.

Foto © Radio Alfa is licensed under CC BY-NC-SA 2.0
  

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