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Il suo nome compare nell’ordinanza di custodia cautelare della recente operazione “Doppio gioco” della Dda di Catania

Nella giornata di ieri, sono emersi nuovi dettagli legati all’inchiesta “Doppio gioco” che, lo scorso martedì 3 marzo, ha portato a 23 misure cautelari e 336 indagati. Grazie all’operazione, coordinata dalla Dda e dal Comando Provinciale della Guardia di finanza di Catania (con la collaborazione e il supporto dello SCICO), è stata colpita una consorteria criminale (di respiro internazionale) legata al clan dei Santapaola-Ercolano e a Matteo Messina Denaro. Tra i soggetti sottoposti a misure cautelari, c’è anche il cervello dell’organizzazione transnazionale: il barese Francesco Catacchio.

Da anni indagato dalla Guardia di finanza etnea, il quarantenne era un soggetto già noto agli investigatori. Catacchio, infatti, nel 2018 fu coinvolto nell’inchiesta su Vito Martiradonna, alias “Vitino l’Enél” (storico cassiere del clan Capriati), che, secondo l’allora ordinanza del gip, era un uomo in grado di tessere "rapporti con la polizia giudiziaria e con i Servizi segreti per ottenere informazioni sulle indagini". È bene ricordare, inoltre, che quest’ultimo aveva ristoranti nel centro di Bari, appartamenti a Londra e Miami e tesori nascosti nei paradisi fiscali; vantava contatti con la ‘Ndrangheta e con la mafia siciliana; poteva contare su buoni rapporti con i funzionari dei Monopoli e dell’Agenzia delle dogane; godeva del rispetto della malavita barese; e, infine, l’ex cassiere del clan Capriati, Vito Martiradonna, divenne a capo di una holding che in quattro anni aveva movimentato scommesse per un miliardo. Proprio come Francesco Catacchio, anche se con meno quantitativi di denaro.

Dall’inchiesta “Doppio gioco”, infatti, è emerso che il Catacchio era al vertice della consorteria criminale colpita dalla Guardia di finanza per esercizio abusivo di gioco, scommesse, evasione fiscale, truffa aggravata, autoriciclaggio. Era la mente di un’organizzazione mafiosa transnazionale che faceva affari con i Santapaola-Ercolano. Un impero costruito attraverso società in Polonia e nell’Isola di Malta, con le quali avrebbe guadagnato e frodato il fisco per 32 milioni.

Catacchio: molto più di un abile capo scommesse
Amante delle donne e della bella vita, capo delle scommesse, una casa a Ibiza da cui si spostava “per lavoro” verso Malta, Barcellona, New York, Bari. Sono solo alcuni degli aspetti che caratterizzano il profilo di Francesco Catacchio. Vantava buoni rapporti con i siciliani, probabilmente garantiti dai suoi legami con i Martiradonna che, a loro volta, erano in affari con i Placenti: parenti dei Santapaola catanesi e del latitante Matteo Messina Denaro. Ma, quello di Catacchio, non potrebbe definirsi un impero se circoscritto solo al territorio siciliano. Il barese, infatti, era legato anche alla Sacra Corona Unita grazie al suo rapporto stretto con Carmelo Raspante (cognato del boss Francesco Prudentino), alias "il re del contrabbando".

Secondo gli investigatori dell’inchiesta “Doppio gioco”, al duo Catacchio- Raspante era riconducibile la società maltese “Itechnogaming”, che, tra il 2012 e il 2016, avrebbe raccolto scommesse per 670 milioni di euro, “costituendo - è stato scritto nell’ordinanza cautelare - una rete commerciale di agenzie di scommesse, poste invece come meri centri di trasmissioni dati o punti vendita ricariche”.

Grazie alle intercettazioni e agli esami degli hard disk sequestrati sono state inoltre rilevate una trentina di "skin" a disposizione del duo. Trattasi di siti internet creati “ad hoc” per l’accettazione delle scommesse. A Catacchio, in particolare, sarebbero riconducibili numerosi domini utilizzati per aggirare i blocchi dell’Agenzia delle dogane e dei Monopoli, e, inoltre, i siti “www.allinbet24.com”, “www.playinbet.com” e “www.raisebet24.com”. Quest’ultima, secondo gli inquirenti, una volta creata (non essendo autorizzata ad operare in Italia), è stata attribuita ad una società maltese “al fine di occultare il legame con il territorio nazionale e le connessioni con la criminalità organizzata”.

A tal proposito, l’evasione della normativa del settore dei giochi e delle tasse che la consorteria criminale avrebbe dovuto pagare allo Stato italiano, rappresenta uno dei capisaldi dell’ipotesi accusatoria: truffa allo Stato. Ad aggregarsi, anche i reati tributari e l’associazione a delinquere aggravata dalle finalità mafiose e riciclaggio.

Astuto. È, infine, l’aggettivo da aggiungere al profilo criminale di Catacchio, perché, nonostante “Doppio gioco” abbia sottoposto a sequestro un rilevante patrimonio dell’associazione (per un valore complessivo di 80 milioni di euro), il barese non è risultato intestatario di nulla. Evidentemente, la confisca subita nel 2009 dal Tribunale di Bari lo ha segnato profondamente inducendolo ad adottare cautele utili per celare i suoi beni. A riprova di ciò, vi sono le diverse vicende che hanno riguardato altri membri del sodalizio, come Paolo Rampino (genero del boss Carmelo Raspante) che a Ostuni (BR) aveva comprato trulli e terreni, tutti finiti sotto sequestro.

Foto tratta da Lasiciliaweb.it

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