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Nei suoi riguardi è stato chiesto l'ergastolo dalla Procura di Caltanissetta

E' stata fissata per venerdì prossimo a Caltanissetta l'udienza del Pizzolungo quater, il processo per la strage mafiosa del 2 aprile 1985, l'attentato rivolto contro il giudice Carlo Palermo e in cui morirono Barbara Rizzo ed i suoi figli di 6 anni, i gemellini Salvatore e Giuseppe Asta, che in quel momento si trovavano nell'auto che sorpassava la macchina del magistrato nel momento esatto in cui esplose l'autobomba.
In quell'esplosione rimasero feriti lo stesso magistrato, gli agenti che lo scortavano, Raffaele Di Mercurio, Totò La Porta, Nino Ruggirello, l’autista della blindata Rosario Maggio.
Imputato nel processo è il boss dell'Acquasanta Vincenzo Galatolo, detenuto al 41bis, accusato di essere stato il mandante della strage. Nei suoi confronti il procuratore aggiunto di Caltanissetta, Gabriele Paci, ha chiesto la condanna a 30 anni.
Ad accusare Vincenzo Galatolo sono la figlia Giovanna e il pentito Francesco Onorato. La donna ha riferito ai magistrati alcune reazioni avute dal padre in famiglia, proprio nei giorni del delitto: "Non appena il telegiornale diede la notizia mia madre iniziò a urlare, i bambini non si toccano. Mio padre le saltò addosso, cominciò a picchiarla, voleva dare fuoco alla casa". "Avevo vent'anni - ha aggiunto ancora la collaboratrice di giustizia - a casa sentivo mio padre che diceva 'quel giudice è un cornuto'. Poi si verificò l'attentato. E mi resi conto, anche mia madre capì. Non si dava pace". Parole confermate anche dal collaboratore di giustizia Onorato.
Per la strage di Pizzolungo sono stati celebrati tre processi. Il primo contro gli esecutori, tutti appartenenti al clan mafioso di Alcamo, poi assolti in via definitiva dalla Cassazione, dopo una prima condanna in primo grado.
Un vero e proprio scandalo se si pensa che gli assolti dal primo processo, all’epoca rimasti solamente indiziati, sono risultati grazie a successive indagini, anche su altri fatti della mafia trapanese, mafiosi ed esecutori della strage.
A sua del "Ne bis in idem", però, non ci sarà alcun processo contro di loro.
E così la giustizia dovrà percorrere altre vie. Altri due processi hanno visto condannati in via definitiva i capi mafia Totò Riina e Vincenzo Virga e in un altro ancora i boss palermitani Nino Madonia e Balduccio di Maggio.
Questo nuovo processo, come ha spiegato Margherita Asta, la figlia più grande di Barbara Rizzo e sorella maggiore di Giuseppe e Salvatore, che da quel lontano 1985 continua a chiedere verità e giustizia, può portare ad un nuovo segmento di verità: "La speranza è che sia scritto un altro tassello. Così come è avvenuto nel processo contro Riina e Virga come mandanti. Lì è scritto nero su bianco il cortocircuito che c'è stato sui veri esecutori materiali della strage e che il processo argomentativo che fu sviluppato era totalmente errato". E poi ancora, nell'intervista dello scorso dicembre aveva spiegato il perché può essere importante questa sentenza contro il boss dell'Acquasanta: "Una sua condanna collegherebbe ancor di più la strage di Pizzolungo a tutto un apparato di processi che si sono celebrati e che ci stanno celebrando anche a Caltanissetta. Da questo punto di vista ho grandissimo rispetto per i magistrati di Caltanissetta che hanno riaperto questo segmento e che hanno sostenuto un'accusa contro Galatolo ormai 35 anni dopo i fatti. Non è facile ma io ho piena fiducia nel percorso della magistratura". E poi ancora aveva ricordato: "Il tritolo usato a Pizzolungo è lo stesso usato in altre stragi come quella al treno rapido 904, il tentativo di attentato all'Addaura e la strage di via d'Amelio. Può esserci un filo conduttore tra le varie stragi. E poi è importante questo processo perché può trovare una conferma l'esistenza di quelle strutturali collusioni di cui si parla nella sentenza contro Madonia. In quella sentenza si dice che 'il movente, plurimo e articolato, ha comunque alla base la sfida di Cosa nostra alle istituzioni dello stato e in particolare a quegli uomini che manifestavano la precisa volontà di svolgere fino in fondo e senza tentennamenti il proprio ruolo istituzionale di contrasto e repressione nei confronti dell’organizzazione mafiosa, la cui ragione d’essere storica sta nella strutturale collusione con settori importanti dello stato ed in definitiva nella garanzia di poter lucrare comunque attraverso manovre, contatti, alleanze e scambi ‘latu sensu’ politici l’assoluta impunità'”.

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