La figlia del confidente dei carabinieri Luigi Ilardo racconta il calvario della propria famiglia a “Non è l’Arena”
Un boss freddato sotto casa perché ha deciso di rompere un patto, di cambiare, di collaborare con la giustizia, rivelare ai magistrati nomi e segreti del gotha di Cosa nostra, e non solo. Una ragazza che, insieme ai membri della sua famiglia, da quell’omicidio vedrà la propria vita precipitare nel totale silenzio e isolamento delle istituzioni. E’ la storia di Luana Ilardo, figlia del confidente dei carabinieri Luigi Ilardo, boss di Cosa nostra nonché cugino di Giuseppe Madonia e reggente di Caltanissetta, ucciso il 10 maggio 1996. Ieri per la prima volta Luana Ilardo è apparsa davanti alle telecamere di “Non è l’arena” condotta da Massimo Giletti. Ai telespettatori la donna, che da anni conduce una fiera battaglia per il raggiungimento della verità e della giustizia per la morte del padre, ha parlato di sé e del calvario della sua famiglia. Luigi Ilardo, come ha ricordato Giletti, era un infiltrato per i carabinieri che a metà anni ’90, grazie alle sue rivelazioni, ha consentito l’arresto di decine di mafiosi e per poco non riusciva a far arrestare anche Bernardo Provenzano, allora ancora latitante. Una vicenda, questa, di cui ancora oggi si discute, come è stato fatto ieri a "Non è l’arena", per le azioni inspiegabili dei vertici del Ros i quali, avendo Provenzano a pochi metri, non diedero l’ordine agli uomini di Michele Riccio (il colonnello con il quale Ilardo collaborava) di intervenire per catturarlo. Ma nel caso Ilardo numerosi sono i misteri davanti ai quali gli addetti ai lavori si sono imbattuti. E altrettanti sono gli interrogativi aperti. Come quelli sulla possibilità che qualcuno all’interno delle istituzioni avesse informato Cosa nostra del percorso di collaborazione con la giustizia del confidente (che avrebbe ufficializzato, caso vuole, tre giorni dopo l’omicidio). E’ possibile, come ha affermato ieri il sindaco di Napoli Luigi De Magistris, che Luigi Ilardo sia stato tradito dallo Stato? E perché?
Sono domande alle quali a 24 anni di distanza manca ancora una risposta nonostante le rivelazioni di pentiti e il processo conclusosi il mese scorso contro gli esecutori materiali dell’omicidio. Intanto però Luana Ilardo, che pretende verità, commenta quello che di certo si sarebbe potuto fare quando il tempo ancora c’era: proteggere suo padre. “La condanna non ci basta perché i mafiosi hanno fatto i mafiosi ma lo Stato non ha fatto lo Stato”, ha detto in studio la Ilardo commentando brevemente la sentenza del processo conclusosi in Cassazione lo scorso 1° ottobre. “Perché ovviamente era chiaro che mio padre, alla luce delle sue decisioni e dei passi che aveva fatto, avesse bisogno di un certo tipo di tutela che non c’è mai stata. Purtroppo - ha continuato - la sua storia evidenzia parecchie falle di un sistema di gestione che non è stato efficace”. Luana Ilardo ha voluto sottolineare l’abbandono che suo padre prima, e i suoi cari poi, hanno vissuto. Un atteggiamento inspiegabile da parte delle istituzioni specie se si pensa che “la scelta e le decisioni che ha preso mio padre le ha prese da uomo libero”, ha precisato la Ilardo. Le ragioni di questo abbandono, sia ai danni del confidente che a quello delle sue figlie, sono dovute, sostiene Luana Ilardo, alla dimensione della collaborazione di un uomo come Luigi Ilardo. “La nostra, quella di nostro padre, è una storia scomoda e quindi c’era tutta la volontà di tenerla insabbiata quasi da farne perdere memoria. Perché i tasti che va a toccare - ha spiegato - sono molteplici, non sono solo quelli mafiosi. Di conseguenza credo che questo abbandono totale da parte delle istituzioni nei confronti di noi familiari sia per questo motivo”. E quali sono questi “tasti" che Luigi Ilardo avrebbe toccato quando, ancora in vita, dialogava con i carabinieri? Sicuramente uno di questi potrebbe essere quello della trattativa Stato-mafia di cui al tempo, siamo a metà anni ’90, iniziavano a delinearsi i suoi primi effetti. Luigi Ilardo, come ha ricordato in studio Massimo Giletti, sarebbe stato a conoscenza di quel patto scellerato tra mafia e politica. Qualche giorno prima dell’omicidio la fonte “oriente” (questo il nome in codice attribuitogli) si trovava a Roma in compagnia di Michele Riccio per incontrare il generale dei carabinieri Mario Mori, lo stesso Mori che venne imputato (poi assolto con sentenza definitiva perché il fatto non costituisce reato) per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra per la mancata cattura di Provenzano. Ilardo, aveva raccontato Riccio a processo, di impeto disse a Mori: “Molti degli attentati che Cosa nostra ha commesso li avete ispirati voi” (lo Stato, ndr). Una pesante accusa alla quale Mori reagì "stringendo i pugni e alzando i tacchi". Altra vicenda oscura di cui pare Ilardo fosse a conoscenza è quella del delitto di Piersanti Mattarella, come ha puntualmente riportato la giornalista Sandra Amurri, anche lei intervenuta in studio, parlando di una riunione avvenuta sempre a Roma nella sede dei Ros alla presenza di Ilardo, Riccio, Gian Carlo Caselli (procuratore di Palermo), Gianni Tinebra (procuratore di Caltanissetta), Teresa Principato (magistrato della Dda di Palermo). In questa riunione, ha dichiarato la Amurri, “Ilardo disse: ‘vi parlerò dell’omicidio Mattarella e delle stragi’. Ma nessuno - ha osservato la giornalista - verbalizzò nulla di quell’incontro se non qualche appunto preso dalla dottoressa Principato che poi disse al processo di aver probabilmente perduto durante un trasloco”. "Sono fatti incredibili”, ha affermato la Amurri. Fatti che andrebbero analizzati per comprendere bene quelli che sono stati gli anni più bui della Repubblica e quindi trovare una chiave di volta anche agli altri misteri che hanno colpito le altre vittime di mafia. “Mi auguro che quella parte di Stato buona faccia di tutto per dare giustizia a noi - ha concluso la Ilardo dopo i vari interventi degli ospiti - . Ma non solo a noi famiglia Ilardo - ha precisato - ma noi che siamo stati vittime di questi giochi pesanti e di potere perché oggi avere solo la giustizia di mio padre non mi basterebbe più”.
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