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Assieme a lui l’agente Lenin Mancuso
di Luca Grossi
Cesare Terranova nasce a Petralia Sottana, in provincia di Palermo, il 15 agosto 1921. Entra in magistratura nel 1946, svolgendo le funzioni di pretore di Messina. Già nel 1958, come giudice istruttore al Tribunale di Patti, si occupa di numerosi processi a famiglie mafiose.
Per certi versi un precursore per quel suo modo di affrontare le inchieste di mafia con una visione unitaria.
Si è occupato delle prime indagini di mafia sui fratelli La Barbera, la famiglia Rimi di Alcamo e personaggi del “sacco di Palermo”, seguendo la metamorfosi della mafia che in quegli anni stava cambiando la sua essenza, da agricola a imprenditrice, grazie ai numerosi aiuti politici.
Non a caso, occupandosi della strage di via Lazio, avvenuta a Palermo il 10 dicembre 1969, ha messo nero su bianco il dato che la nuova mafia fosse impersonata da amministratori comunali.
Responsabili di quella strage erano stati i corleonesi, e proprio contro Luciano Liggio e Totò Riina ha imbastito importanti processi come quello di Catanzaro, nel 1968, e quello di Bari nel 1969. Liggio & company saranno assolti per “insufficienza di prove”, ma in quella sconfitta c’era comunque la scoperta “giudiziaria” dei corleonesi, fotografando la loro ascesa criminale. Liggio venne portato nuovamente a processo e condannato all’ergastolo per avere ucciso il boss corleonese, Michele Navarra. E tutto ciò è avvenuto in un momento storico nel quale l’associazione di stampo mafioso e l’art. 416 bis non erano ancora stati introdotti nel codice penale.

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© Letizia Battaglia

Dopo aver ampliato la propria conoscenza in materia di mafia con la parentesi parlamentare, torna a rivestire il ruolo di giudice. Al tempo in molti davano per scontato che la scrivania all’Ufficio Istruzione fosse cosa fatta, ma Terranova non riuscì ad arrivarci perché Cosa Nostra arrivò prima.
Il 25 settembre 1979 la mafia lo uccide, insieme al suo collaboratore fidato, Lenin Mancuso. Esce di casa alle 8.30 per recarsi a lavoro alla Corte d’Appello di Palermo. Assieme a Lenin Mancuso entra in auto e si mette alla guida. Poco dopo, la vettura viene affiancata da alcuni killer che, con armi di grosso calibro, aprono il fuoco. Terranova muore sul colpo mentre l’agente di scorta dopo poche ore in ospedale.
Al movente dell’omicidio del giudice Terranova e dell’agente di scorta si è giunti grazie alle prime dichiarazioni di collaboratori di giustizia come Tommaso Buscetta che, in un interrogatorio davanti a Giovanni Falcone, racconta che Liggio è il mandante dell’omicidio Terranova per vendicarsi dell’ergastolo che il giudice gli aveva inflitto nel 1975. Tesi confermata anche dal pentito Francesco Di Carlo, secondo cui il boss corleonese è il mandante e Leoluca Bagarella, Giuseppe Madonia, Giuseppe Gambino e Vincenzo Puccio gli esecutori. Dietro l’omicidio del giudice non si nasconde solo la vendetta di Liggio, ma anche un omicidio preventivo, da parte di Cosa Nostra, per stroncare sul nascere il lavoro che Terranova avrebbe potuto svolgere contro la mafia a Capo dell’Ufficio Istruzione di Palermo.

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